Offendere la reputazione altrui su internet è un reato. Per ricevere tutela, la vittima deve segnalare l’episodio al centro assistenza della piattaforma interessata e, contestualmente, presentare una querela alle autorità competenti entro tre mesi dalla conoscenza del fatto. Tuttavia, secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, detto termine decorre dal momento in cui il messaggio diffamatorio è stato immesso in rete, a meno che il soggetto passivo dimostri di esserne venuto a conoscenza in un altro momento.
La vittima di un post offensivo deve segnalare l’accaduto alle autorità dal giorno della pubblicazione sul web, salvo prova contraria.
Piacere a tutti è impossibile, si sa. Tuttavia, mai avresti immaginato di subire un’umiliazione su internet. Un giorno, infatti, hai acceso il computer e hai letto un post su Facebook in cui un collega ti accusa di essere un ladro per aver rubato il posto di lavoro ad un’altra persona. Sconvolto, ti rechi subito dal tuo avvocato di fiducia per capire come difenderti da un’infamia del genere. In questo articolo parleremo della diffamazione social: quando scatta la querela?
Devi sapere che offendere la reputazione altrui su Internet è un reato. Per ricevere tutela, la vittima deve segnalare l’episodio al centro assistenza della piattaforma interessata e, contestualmente, presentare una querela alle autorità competenti entro tre mesi dalla conoscenza del fatto. Tuttavia, secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente, detto termine decorre dal momento in cui il messaggio diffamatorio è stato immesso in rete, a meno che il soggetto passivo dimostri di esserne venuto a conoscenza in un altro momento. Vuoi saperne di più sull’argomento? Allora ti consiglio di prenderti cinque minuti per proseguire la lettura.
Indice
Diffamazione: cos’è?
Per spiegarti la diffamazione voglio partire da un esempio.
Tizio racconta a Mevio e Sempronio che la loro professoressa di lettere ha avuto dei rapporti sessuali con diversi studenti dell’università. In pochi giorni, la notizia si diffonde ovunque.
Ebbene, la diffamazione consiste nell’offendere consapevolmente la reputazione e l’onore altrui con due o più persone. Tale condotta è punita dal Codice penale [1] con la reclusione fino ad un anno o la multa fino a 1.032 euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena della reclusione sale a due anni e la multa a 2.065 euro.
Oggi la diffamazione è un fenomeno ampiamente diffuso anche sui social network, come Facebook, Instagram, Twitter, Tik Tok, ecc. Ti faccio un esempio.
Un sabato sera, Tizio si reca al ristorante “La trattoria di Peppe”. Il proprietario gli comunica che il locale è molto pieno e che non ci sono abbastanza camerieri per servire velocemente tutti i clienti, quindi ci sarà da attendere un po’ tra una portata e l’altra. Tizio accetta comunque di mangiare presso la trattoria, ma dopo soli dieci minuti si alza e va via spazientito. Il giorno dopo, decide di scrivere una cattiva recensione del locale sul proprio profilo Facebook sostenendo di aver aspettato ben 3 ore senza essere servito.
La diffamazione sui social può realizzarsi con una falsa recensione, ma anche con una foto, un messaggio inviato ad un gruppo WhatsApp, un commento, un post e così via. Per la configurabilità del reato sono necessari, da un lato, l’offesa all’onore ed al decoro di qualcuno e, dall’altro lato, che il contenuto diffamatorio (e non solo provocatorio) raggiunga due o più persone. Considerato che i social sono dei luoghi virtuali frequentati da un numero indeterminato di utenti, è molto facile che l’offesa si espandi a macchia d’olio. Occhio però: anche dei semplici “like” lasciati al post diffamatorio in segno di apprezzamento possono gettare le basi per il concorso di persone nel reato.
Non dimentichiamo poi che quando la diffamazione avviene su internet c’è l’aggravante del mezzo della pubblicità che prevede una pena ancora più rigorosa, ossia la reclusione fino a tre anni o la multa non inferiore a 516 euro.
Infine, va precisato che il reato ricorre anche se non si indica il nome e il cognome della persona a cui è rivolta l’offesa. Basta, infatti, che la vittima sia facilmente individuabile dalla collettività. Pensa, ad esempio, alla frase “il vigilante che lavora al Comune di via Tasso è un porco”.
A questo punto ti è chiaro che il reato di diffamazione sui social si configura se una persona riceve un’offesa su internet tramite un post, un commento, un video oppure una foto. Che fare allora? La vittima deve presentare una querela presso le autorità competenti (carabinieri, polizia postale o Procura della Repubblica) entro tre mesi dalla conoscenza del fatto. Come ti ho già anticipato in premessa, sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione per precisare che il termine dei tre mesi decorre dalla data in cui il messaggio diffamatorio è pubblicato sui social, salvo prova contraria.
Quindi, in altre parole, la conoscenza del fatto (cioè dell’offesa) coincide con quello in cui il post è immesso in rete, a meno che la vittima non dimostri di aver avuto contezza in un altro momento. Secondo gli Ermellini, vista anche la possibilità di bloccare gli utenti sui profili social, bisogna individuare il cosiddetto “dies a quo” (cioè il termine iniziale dal quale deve decorrere la querela) prendendo come riferimento «una data contestuale o temporalmente prossima a quella in cui la frase o l’immagine lesiva sono immesse sul web» [2].
Nella querela, ovviamente, è necessario indicare il post offensivo, l’autore ed il profilo social. Inoltre, è utile indicare eventuali testimoni (cioè le persone che hanno letto le offese), accertare l’indirizzo IP (per verificare la linea telefonica associata ad internet) ed allegare uno screenshot del post (autenticato dal notaio altrimenti non ha alcun valore).
Inoltre, è possibile richiedere – tramite un’istanza di sequestro preventivo – di oscurare la pagina del social network, onde evitare che la condotta diffamatoria possa proseguire ulteriormente.
Nel caso in cui alla querela segua un processo penale, la persona offesa potrà costituirsi parte civile ed ottenere un risarcimento del danno in caso di condanna del responsabile.
La vittima può, altresì, citare in giudizio l’autore del contenuto diffamatorio pubblicato sui social network, quindi intentare una causa civile e dimostrare di aver subito un danno alla propria reputazione oppure all’immagine.