Esclusa da pubblica selezione per incarico di Direttore Generale per cui avevo tutti i requisiti previsti dal bando a favore di altro concorrente vincitore che ha rivestito ruolo per tre anni e che, a seguito di indagine della Procura, è stato condannato penalmente per aver dichiarato falsi requisiti nella domanda per la selezione.
Sarebbe mia intenzione inoltrare richiesta di risarcimento danni per perdita di chance all’Ente e richiedere il dovuto indennizzo economico che avrei percepito se il vincitore non avesse dichiarato il falso per cui è stato condannato.
Preliminarmente, occorrerebbe avere contezza del tipo di falso di cui si è macchiato il candidato risultato poi vincitore del concorso. Sebbene vi sia giurisprudenza (tra le tante: Consiglio di Stato, Sez. V, 27/04/12 n. 2447; Consiglio di Stato, Sez. VI, 1/11/2011 n. 5973) secondo cui, in presenza di falsità delle dichiarazioni rilasciate all’atto di partecipazione del bando, alla Pubblica Amministrazione non è lasciato alcun margine di discrezionalità circa la scelta di escludere il vincitore, secondo un altro orientamento (Giudice del Lavoro del Tribunale di Brindisi con sentenza 13/11/19 n. 2502), la falsità va valutata caso per caso, distinguendo le dichiarazioni mendaci relative ai requisiti di partecipazione da quelle inerenti ai titoli di merito, facendo discendere nel primo caso l’esclusione della graduatoria, mentre nel secondo caso solo la rettifica del punteggio.
In pratica, l’orientamento che da ultimo sembra sopravanzare è quello in ragione del quale solo la falsità dei dati decisivi per l’assunzione comporta automaticamente la decadenza/esclusione dal concorso. Il determinarsi di falsi documentali o di dichiarazioni non veritiere (art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000) in occasione dell’accesso al pubblico impiego è causa di decadenza, per conseguente nullità del contratto, allorquando tali infedeltà comportino la carenza di un requisito che avrebbe in ogni caso impedito l’instaurazione del rapporto di lavoro con la PA.
In tutti gli altri casi, la falsità non comporta la decadenza automatica, ma la PA, in qualità di datore di lavoro, può comunque agire con azioni disciplinari, giungendo a comminare finanche il licenziamento.
Nel caso di specie, dunque, sarebbe opportuno accertarsi dell’incidenza della falsità ai fini della partecipazione alla selezione pubblica.
Affinché maturi il risarcimento per danno da perdita di chance lavorativa occorre provare che si sarebbe potuto ottenere il posto in luogo di colui che ha vinto grazie alle proprie falsità. Secondo la Corte di Cassazione (Cass. civ., Ord., n. 9085/2020), «Non scaturisce il diritto al risarcimento del danno patrimoniale equivalente alle retribuzioni che gli attori, ove vincitori, avrebbero potuto percepire, poiché essi non sono in grado di fornire la prova che sarebbero risultati certamente vincitori; non scaturisce il danno da cosiddetta perdita di chance, poiché manca una valutazione comparativa tra candidati idonea a soddisfare i principi giurisprudenziali elaborati riguardo (ossia gli elementi atti a dimostrare, seppure in modo presuntivo, e sulla base di un calcolo delle probabilità, la possibilità che essi avrebbero avuto di vittoria del concorso, che non può derivare dal calcolo matematico tra numero dei concorrenti e i posti da assegnare, dovendo essere comparati titoli e requisiti posseduti dai candidati)».
Secondo la giurisprudenza, dunque, va rigettata la domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno in misura corrispondente alle retribuzioni che i ricorrenti avrebbero potuto percepire, se manca la prova che gli stessi avrebbero con sicurezza vinto il concorso.
Secondo la Suprema Corte (sent. n. 11165 del 9 maggio 2018), «in tema di risarcimento del danno per perdita di chance di promozione, incombe sul singolo dipendente l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo, il nesso di causalità tra l’inadempimento datoriale e il danno, ossia la concreta sussistenza della probabilità di ottenere la qualifica superiore».
Nel caso di specie, peraltro, sussiste un ulteriore ostacolo alla possibilità di ottenere il risarcimento da perdita da chance. Come sembra desumersi dal tenore del quesito, anche la PA è stata ingannata dalla condotta fraudolenta del concorrente il quale, dichiarando il falso, ha ingiustamente percepito emolumenti dalla stessa. Dunque, un primario interesse ad agire contro il condannato è della stessa PA.
Secondo il Tar Molise (sent. n. 46 del 31 gennaio 2019), la responsabilità della Pubblica Amministrazione per perdita di chance lavorativa obbliga al risarcimento in caso di bando di concorso con requisiti illegittimi, nei confronti degli aspiranti partecipanti al concorso impossibilitati di partecipare da una clausola illegale e che avevano discrete possibilità di superare la selezione concorsuale.
Il caso riguardava alcuni aspiranti candidati che si erano visti precludere la possibilità di accedere alla selezione pubblica per via di una clausola (la residenza in uno dei comuni del Molise) dichiarata poi illegittima dal giudice amministrativo. In questo caso, secondo il Tar, è dovuto il risarcimento agli esclusi per perdita di chance lavorativa.
La sentenza da ultimo citata è molto importante perché spiega cosa si debba intendere per risarcimento del danno derivante da perdita di chance lavorativa. Secondo il Tar Molise, il danno da perdita di chance si verifica tutte le volte in cui il venir meno di un’occasione favorevole, cioè la perdita della possibilità di conseguire un risultato utile, è determinato e causato dell’adozione di un atto illegittimo da parte della PA (nell’ipotesi, l’illegittima esclusione dei ricorrenti dalla procedura selettiva), determinando un mancato guadagno.
Nel caso oggetto del quesito, invece, non ci si duole della procedura selettiva, bensì della falsità di uno dei concorrenti. La perdita di chance è invece intimamente collegata all’illegittima esclusione dalla procedura selettiva imputabile al comportamento colposo o doloso della PA.
Così la sentenza del Tar Molise sopra citata: «È palese, dunque, la sussistenza del rapporto causale tra il fatto ostativo (l’esclusione dalla selezione) e il pregiudizio della perdita di una ragionevole probabilità di conseguimento del risultato atteso dai ricorrenti, di collocarsi, previo superamento della prova, in una posizione non solo idonea ma utile nello scorrimento di una delle sei graduatorie di concorso definitivamente approvate. Ai fini della risarcibilità della cosiddetta perdita di chance, in conseguenza dell’illegittima esclusione di un candidato da un concorso pubblico, questa deve essere valutata, caso per caso, considerando la probabilità che l’interessato aveva, se legittimamente ammesso alla procedura, di risultare vincitore del concorso e quindi di beneficiare della relativa assunzione nel posto pubblico messo a concorso (cfr.: Cons. Stato, sez. III, 6 maggio 2013, n. 2452)”.
Diverso sarebbe stato se il Tar avesse annullato il concorso e la PA, non rispettando quanto stabilito in sentenza, avesse deciso di conservare il posto di colui che ingiustamente era risultato vincitore oppure, nonostante l’annullamento della selezione, avesse deciso di “pescare” dalla medesima graduatoria senza ricorrere a nuova selezione.
Tirando le fila di quanto detto sinora, a sommesso avviso dello scrivente, alla luce del breve quesito posto, non sussistono le condizioni per poter chiedere il risarcimento da perdita di chance lavorativa, atteso che non sembrano esservi profili di responsabilità in capo alla PA. Sarebbe infatti necessario che una sentenza accerti la responsabilità della PA, cosa che in genere avviene tramite una decisione del Tar che si pronuncia sulla legittimità della procedura selettiva.
Ad esempio, a proposito del reato di falso, il Tar Lazio (sent. n. 5555/2020) si è pronunciato su un caso in cui il ricorrente lamentava una perdita di chance a seguito di un presunto falso che gli era stato attribuito e dal quale poi era stato totalmente assolto dall’autorità giudiziaria penale. Nella fattispecie, il ricorrente era stato accusato di aver falsificato le firme dei professori sul proprio libretto di esami di università. Nonostante l’esito positivo del processo penale, l’università gli aveva annullato le prove, impedendogli così di laurearsi nei tempi auspicati. Anche in questa circostanza, quindi, la richiesta di risarcimento per perdita di chance veniva avanzata per un comportamento illegittimo della PA, la quale aveva disatteso un provvedimento dell’autorità giudiziaria (l’assoluzione penale).
Anche in quest’ultima sentenza viene ribadito che, per ottenere il risarcimento da perdita di chance lavorativa, occorre provare due condizioni:
- l’illegittimità dell’operato della PA;
- la certezza o elevata probabilità di essere assunti o di ottenere il risultato auspicato.
Nel caso di specie, preliminarmente andrebbe valutata anche la rilevanza del falso ai fini dell’assunzione.
Solo per completezza d’esposizione, va infine precisato che il danno da perdita di chance non può equivalere allo stipendio che si sarebbe percepito se si fosse stati assunti, né il giudice può ordinare l’assunzione, in quanto la legge italiana contempla l’azione di reintegro solamente nelle ipotesi di illegittimo licenziamento.
In pratica, la perdita di chance non può essere retribuita come se il danneggiato avesse effettivamente superato la selezione ed effettuato la prestazione lavorativa, poiché la prestazione lavorativa in effetti non c’è mai stata e il diritto a percepire la retribuzione deve escludersi nell’ipotesi in cui il rapporto di lavoro non si sia mai instaurato. Come ricordato, la c.d. restitutio in integrum (comprensiva di t.f.r. e trattamento previdenziale) spetta, sotto il profilo giuridico ed economico, solo al dipendente che illegittimamente sia stato licenziato o allontanato dal servizio (cfr.: Cons. Stato IV, 18.11.2011 n. 6103; Cass. civile, sez. lavoro, 10.5.2005 n. 9717).
Come ha ricordato la più volte citata sentenza del Tar Molise, ai fini della risarcibilità della perdita di chance, in conseguenza dell’illegittima esclusione di un candidato da un concorso pubblico, questa deve essere valutata, caso per caso, considerando la probabilità che l’interessato aveva, se legittimamente ammesso alla procedura, di risultare vincitore del concorso e, quindi, di beneficiare della relativa assunzione nel posto pubblico messo a concorso.
Relativamente al calcolo del danno da perdita di occasione favorevole, deve utilizzarsi il cosiddetto “coefficiente di riduzione”, in forza del quale si assume come base di riferimento il bene finale cui si aspirava e si operano diminuzioni sulla base di ragionati parametri di riduzione che esprimano il grado di probabilità di conseguire il guadagno, in relazione al caso concreto (T.A.R. Lazio, 5.1.2018 n. 71; Cass., 21.7.2003 n. 11322).
Quasi sempre, dunque, la determinazione del risarcimento avviene secondo una valutazione equitativa, ex art. 1226 c.c., commisurandola ove possibile al grado di probabilità che quel risultato favorevole avrebbe potuto essere conseguito.
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Mariano Acquaviva