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Reddito di cittadinanza: spetta a chi ha un conto gioco?

31 Luglio 2021 | Autore:
Reddito di cittadinanza: spetta a chi ha un conto gioco?

Diritto alla carta Rdc: bisogna dichiarare il possesso di un portafoglio virtuale? Quali sono gli importi massimi consentiti?

Il gioco d’azzardo non tramonta mai, nonostante le misure messe in atto negli ultimi anni per contrastarlo: a causa del moltiplicarsi delle possibilità di giocare online, non sono pochi i cittadini italiani che dispongono di un conto gioco.

Il conto gioco è una sorta di portafoglio elettronico, nel quale sono accreditati i bonus, le somme vinte, i depositi e dal quale vengono effettuati i prelievi. Ma, trattandosi sostanzialmente di uno strumento con cui si movimentano somme di denaro, il Reddito di cittadinanza spetta a chi ha un conto gioco?

Ci si domanda, in particolare, se questo denaro destinato al gioco, ancorché non accreditato in un vero e proprio conto corrente, rientri nel patrimonio mobiliare del contribuente e possa dunque determinare il superamento dei limiti massimi prescritti per il diritto al reddito di cittadinanza. Ci si chiede inoltre se le somme movimentate attraverso il conto gioco debbano essere dichiarate, alla pari di qualsiasi variazione del patrimonio mobiliare.

Alla domanda ha risposto la Cassazione, con una recente sentenza [1], nella quale ha chiarito se sia necessario, o meno, comunicare le variazioni nel saldo del conto di gioco con modello Rdc Com Esteso, ossia attraverso il modulo che si utilizza per comunicare tutte le variazioni che possono influire sul reddito di cittadinanza.

Per quanto riguarda le variazioni del patrimonio mobiliare, in particolare, il modello Rdc Com esteso deve essere inviato entro 15 giorni dall’acquisizione di somme o valori superiori alle soglie massime previste per il diritto al reddito di cittadinanza.

Tra l’altro, è fondamentale non dimenticare che l’utilizzo del reddito di cittadinanza per giochi che prevedono vincite in denaro o altre utilità è vietato. Ma procediamo con ordine.

Quali sono le soglie massime di patrimonio mobiliare per il diritto al Rdc?

In merito al patrimonio mobiliare del nucleo familiare beneficiario di Rdc, la soglia massima consentita è pari a 6mila euro. Questa soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo.

I massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, e di 7500 euro per ogni componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza.

Inoltre, il patrimonio mobiliare influisce sull’Isee, che a sua volta influisce sul diritto al reddito di cittadinanza: ha diritto al Rdc chi ha un Isee non superiore a 9.360 euro.

Che cosa fa parte del patrimonio mobiliare?

Nel patrimonio mobiliare, come definito ai fini Isee e ai fini Rdc, rientrano le seguenti voci:

  • depositi e conti correnti bancari e postali: bisogna considerare il saldo contabile attivo al lordo degli interessi al 31.12 del 2° anno precedente e la giacenza media;
  • conti correnti esteri;
  • carte prepagate ricaricabili aventi un proprio Iban;
  • libretti a risparmio libero/vincolato (tutte le forme di deposito libero o vincolato, i libretti nominativi o al portatore, sia bancari, che postali e coop);
  • conto terzi individuale/globale;
  • depositi titoli di massa o in serie, nominativi o al portatore o all’ordine, azioni, depositi a custodia per i fondi di qualsiasi tipologia: bisogna considerare il controvalore dei titoli indicato nell’estratto inviato dal gestore al 31.12 del 2° anno precedente;
  • titoli di Stato ed equiparati, obbligazioni: bisogna considerare il valore nominale al 31.12 del 2° anno precedente;
  • carte di credito prepagate ricaricabili senza iban: bisogna considerare il saldo attivo al 31.12 del 2° anno precedente;
  • rapporti fiduciari: bisogna considerare il controvalore contabile a fine anno di ogni rapporto fiduciario indicato nel resoconto periodico;
  • gestione collettiva del risparmio (Sgr e Oicr), Sicav, sia italiano sia estero;
  • certificati di deposito e buoni fruttiferi anche postali;
  • assicurazione mista sulla vita e di capitalizzazione, polizze vita Unit-linked;
  • partecipazioni azionarie in società italiane ed estere quotate in mercati regolamentati;
  • partecipazioni in società non azionarie e partecipazioni azionarie in società non quotate in mercati regolamentati: bisogna indicare il valore della frazione del patrimonio netto, determinato sulla base delle risultanze dell’ultimo bilancio approvato anteriormente alla data di presentazione della Dsu oppure, in caso di esonero dall’obbligo di redazione del bilancio, determinato dalla somma delle rimanenze finali e dal costo complessivo dei beni ammortizzabili, al netto dei relativi ammortamenti, nonché degli altri cespiti o beni patrimoniali al 31.12 del 2° anno precedente;
  • ditta individuale: bisogna considerare il patrimonio netto al 31.12 del 2° anno precedente, determinato dalla somma delle rimanenze finali e dal costo complessivo dei beni ammortizzabili, al netto dei relativi ammortamenti, nonché degli altri cespiti o beni patrimoniali.
  • altri strumenti e rapporti finanziari: in questa categoria rientra tutto ciò che non è appositamente specificato; possono rientrarvi, ad esempio, i lingotti d’oro, ma può rientrarvi anche il conto di gioco.

Bisogna comunicare il saldo del conto di gioco per il diritto al Rdc?

Ai fini del diritto al reddito di cittadinanza, bisogna comunicare tutti i valori e le somme che fanno parte del patrimonio mobiliare, compresi eventuali conti di gioco: non farlo costituisce reato [2], così come costituisce reato non comunicare le variazioni che possono incidere sul diritto al sussidio.

Il decreto sul reddito di cittadinanza [2] prescrive infatti che:

  • chiunque renda o utilizzi dichiarazioni o documenti falsi, o attestanti cose non vere, oppure ometta informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni;
  • l’omessa comunicazione entro i termini delle variazioni del patrimonio o del reddito, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del Rdc, è punita con la reclusione da uno a tre anni.

In argomento, la Cassazione [1] ha chiarito che l’apertura di un conto gioco, non dichiarato all’atto di presentazione della domanda per ottenere il reddito di cittadinanza, può costituire reato, secondo quanto disposto dal decreto sul Rdc [2].

Questo, nonostante la normativa non elenchi il conto gioco tra le voci del patrimonio mobiliare da dichiarare al fine di ottenere il diritto al sussidio: la disciplina del reddito di cittadinanza prevede, infatti, che vadano comunicate e siano di conseguenza rilevanti anche le variazioni della propria situazione patrimoniale di origine irregolare.

In parole semplici, ciò che rileva è l’esatta disponibilità economica di chi richiede il reddito di cittadinanza: un conto gioco può dunque risultare sufficiente a dimostrare la capacità del beneficiario a movimentare somme di denaro ben superiori alla soglia che ha determinato l’accesso al Rdc.


note

[1] Cass. sent. n. 29706/2021.

[2] Art. 7 DL 4/2019.

Autore immagine: pixabay.com

Cass. pen., sez. III, ud. 8 giugno 2021 (dep. 29 luglio 2021), n. 29706

Presidente Marini – Relatore Galterio

Ritenuto in fatto

  1. Con ordinanza in data 26.2.2021 il Tribunale di Bolzano, adito in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo della somma di Euro 10.345,50 disposto nei confronti di B.R. , indagato per il reato di cui al D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, art. 7, convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, per false indicazioni od omissioni di informazioni dovute nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del “reddito di cittadinanza”, ritenendo che la titolarità in capo a costui di un conto gioco, necessariamente collegato ad una carta di credito, acceso presso una società di gioco online evidenziante movimentazioni per gli anni 2017 e 2018 sia per le ricariche, destinate cioè alle singole poste di gioco, che per i prelievi di gran lunga superiori al reddito mobiliare di Euro 6.000 annui dichiarato con riferimento all’annualità 2017 e di Euro 11.000 riferimento all’annualità 2018 costituisse omissione rilevante ai fini della configurabilità del reato provvisoriamente contestato. 2. Avverso il suddetto provvedimento l’indagato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al D.L. n. 4 del 2019, art. 7, comma 1, che l’indicazione del conto gioco nella dichiarazione sostitutiva unica prevista per l’accesso al sussidio non costituisca informazione dovuta trattandosi di voce non prevista nella modulistica prestampata che il richiedente è tenuto a compilare e che, in ogni caso quand’anche si volesse far rientrare la suddetta informazione nella voce “conto corrente” non sarebbe stato, possibile l’informazione richiesta, ovverosia la giacenza media annua, che nessuna società di scommesse sarebbe stata in grado di indicare. Lamenta, inoltre, che nessuna adeguata risposta fosse stata fornita dal Tribunale del Riesame in ordine alla specifica contestazione difensiva sulla provenienza delle somme sul conto da vincite al gioco realizzate dall’indagato. 2.2. Con il secondo motivo lamenta la mancanza di motivazione circa la sussistenza di un pericolo di aggravamento del reato o protrazione delle sue conseguenze. 2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 47, comma 3, l’esistenza di un errore scusabile sulla legge extrapenale, errore su cui non era spesa alcuna motivazione. Con successiva memoria redatta in data 1.6.2021 la difesa ha ulteriormente illustrato il ricorso sostenendo, quanto al primo motivo, che le informazioni dovute per l’accesso al sussidio sono quelle indicate dal D.L. n. 4 del 2019, art. 2, corrispondenti agli indicatori della dichiarazione ISEE, ovverosia il reddito, il patrimonio immobiliare ed il patrimonio mobiliare, in nessuna delle quali è ricompreso il cd. conto-gioco e che, disattendendo tale norma, si incorrerebbe necessariamente nella violazione del principio di tassatività dei comportamenti penalmente rilevanti sancito dall’art. 25 Cost., che impone al giudice di non applicare la norma al di fuori dei casi dalla stessa previsti; quanto al terzo motivo evidenzia che l’errore sulla norma extrapenale è dato dal fatto che l’indagato non poteva sapere cosa dovesse essere dichiarato ai fini del calcolo ISEE, essendosi basato sui quesiti contenuti nel modulo per l’autocertificazione.

Considerato in diritto

  1. Il primo motivo è inammissibile, compendiandosi in censure di mero stampo motivazionale precluse dal divieto sancito dall’art. 325 c.p.p., per la ricorribilità innanzi a questa Corte avverso i provvedimenti di sequestro e che comunque non si confrontano con i rilievi svolti dall’ordinanza impugnata. Il Tribunale del riesame ravvisa il fumus del reato provvisoriamente contestato, al di là dell’obbligo di dichiarare nell’autocertificazione il conto gioco, sull’esistenza di una liquidità in capo all’istante di gran lunga maggiore del reddito da costui dichiarato per accedere al sussidio statale stante la riconducibilità a costui del conto acceso presso la società BML Group Limited on line dedicato al gioco, sul quale risultano confluite ingenti somme di danaro che, lungi dall’essere virtuali, sono, secondo i giudici della cautela, collegate, invece, a pagamenti effettivi con modalità predefinite, quali carta di credito o prepagata o mezzi ad esse equipollenti e che dunque presuppongono la corrispondente provvista derivante da un conto corrente nella titolarità in capo all’indagato, direttamente o indirettamente collegato allo stesso conto gioco. Quello che lamenta il ricorrente, che non contesta nè la titolarità del conto, nè le movimentazioni di somme sia in entrata che in uscita negli anni 2017 e 2018, bensì la riconducibilità delle somme ivi transitate al suo patrimonio, non facenti parte a suo avviso di quanto costituiva oggetto di autodichiarazione al fine di fruire del sussidio statale, non costituisce pertanto un vizio di violazione di legge, ma configura, a dispetto del nomen juris della rubrica, una contestazione della ricostruzione in fatto e, dunque, di natura squisitamente motivazionale sulle caratteristiche del conto gioco acceso presso una società on line, e sui collegamenti che lo stesso presenta con il proprio patrimonio mobiliare. Non soltanto trattasi all’evidenza di una sollecitazione ad un esame del merito della questione, inequivocabilmente precluso a questa Corte di legittinnità) che non può verificare nè la natura del conto, nè le sue fonti di alimentazione, nè le sue caratteristiche, nè a fortiori le modalità di compilazione della modulistica che va presentata per il conseguimento del reddito di cittadinanza, ma in ogni caso la censura svolta non evidenzia vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. Attraverso le dispiegate doglianze si viene, invece, a censurare, nè più nè meno, la logicità e completezza di un percorso motivazionale al contrario contraddistinto da coerenza ed esaustività, di talché non potrebbe in nessun caso versarsi in ipotesi di motivazione apparente, che è la stessa dettagliata confutazione articolata dalla difesa ad escludere. 2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per il terzo motivo che, attenendo alla configurabilità dell’elemento soggettivo, introduce una doglianza, logicamente preliminare al terzo motivo, che postula una valutazione in fatto afferente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, indagine questa preclusa al giudice della cautela al quale è demandata una valutazione sommaria circoscritta alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, senza doversi estendere alla più pregnante verifica dei gravi indizi di colpevolezza richiesta ai fini dell’emissione delle misure cautelari personali (ex multis Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018 – dep. 27/04/2018, Armeli, Rv. 273069). 2. Il secondo motivo deve essere anch’esso dichiarato inammissibile, non avendo l’elemento del periculum mai costituito oggetto delle censure articolate con l’atto di riesame. Va infatti rilevato che nel giudizio di riesame, pur informato al principio decisorio, il quale si sostanzia nel potere per il Tribunale di annullare o riformare in senso favorevole all’imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell’atto di impugnazione, così come di confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell’ordinanza cautelare (Sez. 1, n. 3769 del 21/10/2015 – dep. 28/01/2016, Lomonaco, Rv. 266003), resta ferma la regola secondo la quale la parte impugnante ha l’onere di specificare le proprie doglianze, che non necessariamente devono essere svolte contestualmente alla presentazione del gravame stante la facoltatività, prevista dell’art. 309 c.p.p., comma 6, della indicazione dei motivi a sostegno dello stesso, ben potendo riempirsi di contenuto anche oralmente innanzi al giudice adito. Essendo tale onere diretto a sollecitare il giudice del riesame a rendere risposte adeguate e complete, potendo altrimenti quest’ultimo fermarsi, in presenza di un decreto motivato, alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione della misura a condizione che dimostri di averli valutati, ne consegue che, in mancanza di tale devoluzione, incorrano nella censura di inammissibilità le contestazioni svolte innanzi alla Corte di legittimità su punti che non possono trovare risposte per mancanza di cognizione addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere da parte di chi ha sollecitato il riesame (Sez. 6, n. 16395 del 10/01/2018 – dep. 12/04/2018, Contardo, Rv. 272982). All’esito del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.


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