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Truffa del commercialista: che fare se arriva la cartella? 

3 Agosto 2021 | Autore:
Truffa del commercialista: che fare se arriva la cartella? 

I rimedi a favore del contribuente in caso di comportamenti infedeli del professionista, che non ha versato le imposte o ha falsificato la documentazione.

Non è raro il caso del contribuente che affida al suo commercialista l’incarico di tenuta della contabilità e anche quello di provvedere ai pagamenti necessari. Talvolta, però, il professionista è infedele e si comporta in maniera illecita, intascando i soldi per sé senza versarli all’Erario. Il Fisco però, prima o poi, se ne accorge e quando verifica che mancano all’appello determinati versamenti di tasse e imposte invia l’avviso di accertamento esecutivo o la cartella esattoriale. Quando c’è una truffa del commercialista, che fare se arriva la cartella? 

La prima cosa da fare è la denuncia penale all’autorità giudiziaria, perché tale condotta è illecita e costituisce reato. Ma questo non risolve affatto il problema fiscale. Contro la cartella ricevuta bisogna sempre fare ricorso al giudice tributario, evidenziando i comportamenti di cui si è stati vittima, in modo da far constatare al giudice che l’omesso versamento delle imposte  è avvenuto non per colpa del contribuente, bensì per il comportamento infedele e fraudolento del professionista incaricato. Però, bisogna fare presto, perché – truffa o non truffa – i termini per proporre ricorso rimangono inalterati (sono sempre quelli di 60 giorni dal ricevimento della cartella).

A volte, succede che la cartella arrivi prima che il contribuente si sia reso conto degli illeciti commessi dal commercialista al quale si era affidato: così proprio grazie ad essa egli capisce di essere stato vittima di truffa. Vediamo quindi che fare in questi delicati casi e che rimedi ha il contribuente per evitare il pagamento delle sanzioni ed essere risarcito. 

Quando il commercialista è responsabile verso il cliente

Il commercialista è un professionista iscritto all’Ordine dei Commercialisti e degli Esperti contabili (Odcec). In virtù di ciò, egli è abilitato a prestare numerosi e qualificati servizi in materia fiscale e contabile. Poiché il commercialista svolge una professione intellettuale e riservata agli iscritti all’Albo, gli è richiesta una «diligenza qualificata» [1] nell’adempimento delle prestazioni verso il cliente.

Nei casi che la legge [2] definisce «di speciale difficoltà», il commercialista risponde dei danni solo in caso di dolo o di colpa grave; altrimenti, deve risarcire i pregiudizi arrecati anche per colpa lieve, e cioè per qualsiasi negligenza o imperizia che pregiudichi la posizione del cliente, come gli sbagli nella tenuta della contabilità o le dichiarazioni presentate in ritardo o con dati errati. 

Accertamento fiscale e responsabilità del contribuente 

Il principio della responsabilità del commercialista verso il cliente non vale, invece, nei rapporti esterni, e cioè nei confronti del Fisco. L’Amministrazione finanziaria esercita sempre la sua pretesa nei confronti del contribuente, anche quando i calcoli dei tributi dovuti sono stati fatti dal commercialista, incaricato di tenere la contabilità e di redigere le dichiarazioni fiscali. 

Quindi, il destinatario degli avvisi di accertamento, delle cartelle di pagamento e di qualsiasi altro atto impositivo rimane sempre il contribuente, al quale vengono anche applicate le sanzioni dovute in caso di mancato o ritardato versamento delle imposte. Se ciò è frutto di un errore del professionista incaricato, il cliente potrà poi rivalersi sul commercialista, che sarà tenuto anche al risarcimento dei danni (direttamente o con la propria polizza assicurativa professionale). 

Truffa del commercialista: come comportarsi? 

La Corte di Cassazione [3] ha affermato da tempo che il contribuente deve vigilare sull’operato del professionista di cui si è avvalso per presentare le dichiarazioni dei redditi e versare le imposte, e risponde delle conseguenze negative a meno che non dimostri che il commercialista abbia mascherato il suo inadempimento, cioè abbia compiuto una truffa per far credere falsamente al cliente che le tasse erano state regolarmente pagate. 

Per prevenire questi fenomeni illeciti, è bene che il cliente si faccia rilasciare dal professionista incaricato le ricevute di presentazione delle dichiarazioni e dei versamenti (che attualmente sono quasi sempre telematiche): se il commercialista gliele rilascia falsificate, la sua responsabilità per truffa sarà evidente e il contribuente andrà indenne dal pagamento delle sanzioni applicate (rimarrà comunque sempre tenuto al pagamento dei tributi). 

Se la truffa viene scoperta a distanza di tempo, magari proprio quando arriva la cartella esattoriale che contiene l’indicazione dei tributi non versati per gli anni precedenti, il cliente dovrà: 

  1. denunciare il commercialista infedele per il reato di truffa[4], sporgendo querela presso la Procura della Repubblica o anche tramite la polizia giudiziaria, come la Guardia di Finanza, entro tre mesi dalla scoperta del fatto; 
  2. impugnare la cartella in Commissione tributaria, entro 60 giorni dalla data di ricevimento, evidenziando la condotta truffaldina del commercialista e allegando al ricorso la copia della denuncia presentata e degli eventuali documenti ad essa allegati che provano il reato. 

Tieni presente che per questi adempimenti non bisogna aspettare troppo: una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio [4] ha stabilito che non può essere rimesso in termini il contribuente che impugna tardi la cartella di pagamento, dopo aver scoperto la truffa del commercialista. Come abbiamo appena visto, i termini utili per sporgere la querela sono più lunghi di quelli per sporgere ricorso (90 giorni contro 60 giorni), ma anche questi ultimi sono perentori e non possono essere superati, a pena di decadenza.

L’istituto della rimessione in termini evita per legge [5] la decadenza, quando la parte dimostra di esservi incorsa «per causa ad essa non imputabile», come appunto è una truffa commessa in suo danno; ma i termini utili per la proposizione del ricorso rimangono immutati. Nel caso deciso, la parte aveva atteso oltre un anno tra il momento in cui aveva sporto la denuncia-querela e quello in cui aveva presentato il ricorso. È stato inutile per il contribuente sostenere che bisognava attendere l’esito della denuncia e del procedimento penale instaurato: il Collegio ha rilevato che «se così fosse, il contribuente potrebbe impugnare gli atti impositivi anche dopo anni dalla relativa notifica, in tal modo, usufruendo di un regime speciale più favorevole a quello che riguarda gli altri contribuenti», e ciò non è ammissibile. 

Responsabilità del commercialista: approfondimenti

Per approfondire i temi trattati leggi:


note

[1] Art. 2236 Cod. civ.

[2] Art. 1176 Cod. civ. 

[3] Cass. ord. n. 28291 del 11.12.2020.

[4] Art. 640 Cod. pen.

[5] Ctr Lazio, sent. n. 3642/21.

[6] Art. 153 Cod. proc. civ.


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