Cass. pen., sez. IV, ud. 10 maggio 2021 (dep. 2 agosto 2021), n. 30188
Presidente De Gregorio – Relatore Brancaccio
Ritenuto in fatto
- Con la decisione in epigrafe, la Corte d’Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Lucca il 31.5.2017, ha confermato la condanna a quattro anni e sei mesi di reclusione nei confronti di D.D. , per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva – così limitata l’iniziale imputazione già dalla sentenza di primo grado, che ha affermato la responsabilità dell’imputato soltanto per il punto 3 della contestazione (la distrazione delle somme ricevute come illecito finanziamento) ma non per la distrazione dei beni strumentali e la bancarotta fraudolenta documentale -, rimodulando soltanto la misura delle pene accessorie fallimentari, ridotte a cinque anni, in seguito alla pronuncia della Corte costituzionale n. 222 del 2018. I reati per i quali si è proceduto si riferiscono al fallimento della (OMISSIS) s.r.l., dichiarato con sentenza del 22.2.2006 e, in particolare per la posizione del ricorrente, alla distrazione ed all’occultamento di somme depositate sul conto corrente bancario intestato alla società presso l’istituto M.P.S., commessa, quale procuratore speciale della società, in concorso conM.V. ,giudicato separatamente quale legale rappresentante della fallita.
- Propone ricorso l’imputato avverso la sentenza d’appello, tramite il difensore, deducendo quattro motivi. 2.1. Il primo ed il secondo argomento di censura eccepiscono violazione di legge e vizio di motivazione carente e manifestamente illogica quanto all’affermazione di colpevolezza del ricorrente per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva. La tesi difensiva, analoga a quella già eccepita nelle ragioni d’appello e disattesa dai giudici di secondo grado, è che la condotta del ricorrente, ferma la sua materialità, su cui non vi è discussione, non sarebbe sussumibile nello schema legale del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, bensì in quello di bancarotta da operazioni dolose in relazione al quale non vi è stata prova del nesso causale con il fallimento; anzi, risulta che la spregiudicata attività di finanziamento della fallita avesse per un periodo consentito di riportare in bonis la società stessa, decotta, poi, per altre cause, verosimilmente collegabili alla sua reale attività produttiva. La curatela fallimentare aveva esercitato azioni recuperatorie che avevano riportato in attivo la società, sicché il ceto creditorio non aveva subito danni. Inoltre, la XXX non ha mai conseguito la disponibilità del denaro acquisito tramite, in sostanza, un illecito riconducibile all’art. 137 TUIB (mendacio bancario) – attuato simulando la fornitura di un bene in leasing per consentire il finanziamento di un’altra impresa, mediante la falsa rappresentazione di dati economici – poiché il denaro della finanziaria transitava soltanto sui conti della fallita senza entrare mai nel suo patrimonio. 2.2. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge processuale per nullità dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., dell’udienza preliminare e degli atti conseguenti. Anche detto argomento difensivo ricalca quello rigettato in appello ed eccepisce l’illegittimità delle ricerche poste alla base del decreto di irreperibilità, che ha dato luogo alla notifica presso il difensore dell’avviso di chiusura delle indagini preliminari e degli atti seguiti. Il ricorrente ricostruisce nuovamente, così come aveva fatto in appello, i passaggi che, a suo giudizio, inficerebbero le ricerche della polizia giudiziaria prodromiche al decreto di irreperibilità, ricerche non esperite in maniera effettiva ai sensi dell’art. 157 c.p.p., poiché non fu tentata la notifica presso il luogo di lavoro in L’Aquila e presso la sua dimora in tale città, nè presso i familiari, mentre si tentò la strada di rintracciare telefonicamente l’imputato. 2.3. Il quarto motivo di ricorso censura la motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’affermazione di responsabilità per le condotte di bancarotta fraudolenta, con riguardo agli elementi di prova esistenti a suo carico, in particolare evidenziando la superficialità del riferirgli la condotta distrattiva, tanto più che neppure gli è stato contestato il ruolo di amministratore di fatto della fallita nè un inserimento organico nella società. Il ricorrente si trova sottoposto a processo e condannato unicamente in ragione della sua qualifica di procuratore speciale, con delega ad operare sul conto corrente intestato alla fallita presso la MPS di Livorno, essendogli stato attribuito dai giudici di merito quasi un ruolo di extraneus nel reato, in relazione al quale, tuttavia, è mancata la ricostruzione del necessario elemento soggettivo, inteso come consapevolezza che la propria condotta di apporto determini un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo invece richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (si richiama Sez. 5, n. 11936 del 2020). La Corte d’Appello ricava tale dolo specifico dall’essere stato l’imputato “vicino” agli altri protagonisti della vicenda, dall’essersi accreditato la somma di Euro 275.000 e dall’essere stato egli stesso beneficiario di uno dei finanziamenti “illeciti”, tramite la sua azienda “Antico Forno di D. “. 2.4. Il quinto motivo di ricorso deduce violazione di legge quanto alla mancata declaratoria di prescrizione del reato già al momento della pronuncia della sentenza d’appello. Il periodo di sospensione dei termini di prescrizione calcolato dalla Corte d’Appello, pari a 1 anno, sette mesi e 13 giorni, è errato, a giudizio della difesa, che ricalcola ciascun periodo citando gli orientamenti di legittimità in tema di computo di un tempo massimo di sospensione pari a 60 giorni in caso di rinvio per impedimento del difensore o dell’imputato, a far data dalla cessazione dell’impedimento attestata dalla certificazione prodotta. Il motivo era stato proposto in appello e la Corte territoriale lo ha ritenuto infondato, rigettandolo. 2.5. Il sesto motivo di ricorso eccepisce vizio di omessa motivazione in ordine alle statuizioni civili, liquidate nonostante il ceto creditorio fosse già interamente soddisfatto e in violazione del principio secondo cui il danno deve essere conseguenza immediata e diretta della condotta, laddove la condotta del ricorrente extraneus era stata fonte di reddito e non di depauperamento per la società fallita.
- Il Sostituto Procuratore Generale Paola Filippi ha chiesto, con requisitoria scritta, l’inammissibilità del ricorso, di talché il reato non sarebbe prescritto. 3.1. Sono state depositate memorie di replica della difesa del ricorrente alla requisitoria del PG.
Considerato in diritto
- La sentenza impugnata va annullata senza rinvio, agli effetti penali, perché è estinto per prescrizione il reato di bancarotta distrattiva in relazione all’unica condotta per la quale vi è stata condanna, in seguito alla pronuncia di primo grado, e cioè quella riferita al concorso nella distrazione delle somme ricevute come illecito finanziamento dalla fallita commessa daM. ,socio e legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l.
- Rileva il Collegio che, in considerazione della non manifesta infondatezza del primo e del quarto motivo dedotti dal ricorrente in punto di sussistenza del coefficiente soggettivo del reato, il ricorso è idoneo – diversamente dai casi di inammissibilità per manifesta infondatezza delle censure – ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione che consente di rilevare d’ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, una causa di non punibilità nelle more intervenuta, nel caso di specie costituita, appunto, dalla prescrizione del reato (cfr. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 e Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818, in motivazione). Deve essere rilevata, pertanto, la prescrizione del reato, essendo decorso il tempo massimo previsto dal legislatore per effetto del disposto degli artt. 157 e 161 c.p., dalla data del fallimento – il 22.2.2006 – che la giurisprudenza di legittimità individua come tempus commissi delicti (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 45288 del 11/5/2017, Gianesini, Rv. 271114). La stessa Corte d’Appello, rispondendo al motivo che eccepiva già nel giudizio di secondo grado il maturarsi della prescrizione, ha individuato al più il tempo di estinzione del reato alla data del 22.3.2020, tenuto conto del periodo ordinario massimo di dodici anni e sei mesi decorrente dalla data del fallimento e aggiungendo anni uno, mesi sette e giorni tredici per le diverse sospensioni disposte nel corso del giudizio. In proposito, rispondendo in tal modo anche al quinto motivo di ricorso che invoca la declaratoria di prescrizione già prima della pronuncia d’appello, il calcolo che propone il ricorrente non tiene conto dei principi di diritto consolidati dalla giurisprudenza di legittimità. Considerato che il ricorrente si lamenta soltanto del computo dei termini di alcuni dei periodi di sospensione, concordando con gli altri individuati dalla Corte d’Appello, e precisamente ritiene che i rinvii effettuati alle udienze di seguito indicate avrebbero dovuto essere contenuti nel limite di 60 giorni, trattandosi di legittimi impedimenti, il Collegio rammenta che: – quanto al rinvio dell’udienza tenutasi dinanzi alla Corte d’Appello il 21.11.2019, è stato correttamente applicato il principio secondo cui, qualora il giudice, su richiesta del difensore, accordi un rinvio dell’udienza, pur in mancanza delle condizioni che integrano un legittimo impedimento per concorrente impegno professionale del difensore, il corso della prescrizione è sospeso per tutta la durata del differimento, discrezionalmente determinato dal giudice avuto riguardo alle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario, ai diritti e alle facoltà delle parti coinvolte nel processo e ai principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione (Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 2015, Torchio, Rv. 262914). La richiesta difensiva di legittimo impedimento per concomitanti impegni professionali è stata valutata intempestiva, e su tale aspetto le censure del ricorrente si limitano apoditticamente a sostenere, invece, la sua tempestività e conformità ai crismi interpretativi indicati dalle Sezioni Unite, sicché il paradigma del rinvio da applicare è quello, appunto, poc’anzi richiamato dell’operatività della sospensione per tutto il corso del tempo che separa le due udienze (peraltro il rinvio, nel rispetto del criterio di minor sacrificio dei tempi del processo a carico dell’imputato, è stato disposto al 21.2.2020); – quanto ai rinvii decisi per le udienze del 11.4.2012 e del 30.10.2013, la tesi del ricorrente è che, di fronte ad un impedimento per ragioni di salute dell’imputato, che indica una seria patologia, senza alcuna prognosi di durata, ma con indicazioni evincibili esplicitamente quanto alla sua indeterminatezza, il giudice non possa che considerarlo di durata pari ad un giorno e, conseguentemente, disporre la sospensione dei termini della prescrizione, al più, per 61 giorni. La prospettiva è errata. Le Sezioni Unite, nella citata sentenza Torchio, hanno richiamato la Relazione illustrativa della previsione con cui è stata introdotta la disposizione limitativa del termine di sospensione della prescrizione in seguito a rinvio per impedimento legittimo a 60 giorni, con l’espressa segnalazione che il computo dovesse essere operato a partire dal giorno successivo alla cessazione dell’impedimento, ed hanno chiarito le condizioni di accoglimento dell’istanza per legittimo impedimento conseguente ad altro impegno professionale, omogenee a quelle dettate in relazione al legittimo impedimento conseguente a ragioni di salute (in adesione all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3. Orbene, in ognuna di dette due udienze, il giorno in cui sarebbe cessato l’impedimento per motivi di salute non è stato indicato, ma, anzi, si evince anche dallo stesso ricorso, che richiama i contenuti dei certificati medici, come una tale indicazione non potesse essere effettuata, essendo non nota la durata della malattia del ricorrente, in entrambi i casi molto seria: nell’udienza di aprile 2012, si parla di sofferenza per calcoli renali in fase acuta; nell’udienza del 30 ottobre 2013, risulta un ricovero in atto dal giorno precedente per una patologia altrettanto non trascurabile nelle conseguenze, senza riferimenti a tempi di cessazione dell’impedimento, con perdurante degenza. In tale situazione, ai rinvii accordati non avrebbe potuto estendersi la regola della durata della sospensione della prescrizione per i 60 giorni successivi a quello della cessazione dell’impedimento stesso, calcolato per essere il giorno seguente a quello in cui l’impedimento è stato rappresentato: una tale interpretazione darebbe luogo ad evidenti distorsioni della disposizione di cui all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, piegata a possibili abusi delle parti istanti, le quali, senza indicare una presumibile durata della patologia, pretendono l’applicazione del criterio riduttivo previsto per legge; in passato, in simili casi, la Cassazione ha ritenuto legittimo il diniego del rinvio chiesto sulla base di un certificato medico nel quale non sia stata indicata la prevedibile durata della malattia: così Sez. 1, n. 38290 del 6/10/2005, Fontana, Rv. 233079. Il regime interpretativo dei termini di sospensione, pertanto, in tali casi, deve essere ricondotto nell’alveo di quello generale che prevede l’estendersi di tale tempo di sospensione sino alla successiva udienza fissata, quale rinvio di cortesia. In conclusione, deve affermarsi che, qualora il giudice accordi un rinvio dell’udienza per legittimo impedimento dovuto a motivi di salute dell’imputato, senza che sia stata indicata la prevedibile durata della malattia nella certificazione medica ovvero che tale durata non sia comunque in altro modo evincibile, il corso della prescrizione è dichiarato sospeso per tutta la durata del differimento, discrezionalmente determinato dal giudice avuto riguardo alle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario, ai diritti e alle facoltà delle parti coinvolte nel processo e ai principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione. Le eccezioni formulate, pertanto, sono manifestamente infondate e il computo dei termini di sospensione della prescrizione deve essere conseguentemente determinato in adesione a quello stabilito dalla Corte d’Appello e successivo alla pronuncia di secondo grado. 2.1. Tanto premesso, in assenza di elementi che rendano evidenti i presupposti per un proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 c.p.p., (secondo quanto è chiaramente evincibile dalla motivazione), deve accedersi ad una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. 2.2. La declaratoria di prescrizione, tuttavia, non esime il Collegio dall’esaminare il ricorso agli effetti civili, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., quanto alle sue ulteriori ragioni, essendo stato l’imputato condannato anche alle statuizioni civili in favore della persona offesa (cfr. Sez. U, n. 35490 del 28/5/2009, Tettamanti, Rv. 244273). Ed infatti, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale nei gradi di merito è intervenuta condanna, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., il giudice d’appello e la Corte di cassazione sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili e, a tal fine, i motivi di ricorso proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato secondo quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., (cfr., per il giudizio d’appello, negli stessi termini, Sez. 5, n. 28289 del 6/6/2013, Cologno, Rv. 256283; nonché, tra le tante, in ordine al giudizio di legittimità, in motivazione: Sez. 1, n. 14822 del 20/2/2020, Milanesi, Rv. 278943 e Sez. 5, n. 26217 del 13/7/2020, G., Rv. 279598-02, nonché Sez. 5, n. 28848 del 21/9/2020, D’Alessandro, Rv. 279599. Vedi in precedenza, altresì, Sez. 5, n. 5764 del 7/12/2012, dep. 5/2/2013, Sarti, Rv. 254965 – 01; Sez. 5, n. 14522 del 24/3/2009, Petrilli, Rv. 243343 – 01; Sez. 6, n. 21102 del 9/3/2004, Zaccheo, Rv. 229023 – 01).
- Orbene, anzitutto è manifestamente infondata l’eccezione di nullità dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p., ed è generico per aspecificità il motivo dedotto, che non ha tenuto conto delle argomentazioni sostanziali cui si è riferita la Corte d’Appello per ritenere “superati” i dubbi difensivi sulla reale conoscenza da parte dell’imputato dell’atto di chiusura delle indagini diretto nei suoi confronti: D. , a lungo cercato in numerosi luoghi ulteriori rispetto alla residenza che era risultata non più attuale dalle indagini di polizia giudiziaria, era stato direttamente, personalmente avvisato, quando finalmente fu rintracciato telefonicamente, della necessità di presentarsi dai competenti carabinieri per ricevere l’atto proveniente dalla Procura di Livorno e, concordato l’appuntamento per la notifica nel giorno successivo a quello dell’avviso telefonico, non si è deliberatamente presentato a ricevere l’atto. In ogni caso, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza (Sez. U, n. 28954 del 27/4/2017, Iannelli, Rv. 269810). 3.1. Quanto agli altri motivi, i giudici di merito hanno ricostruito la complessa vicenda delittuosa di cui è protagonista l’imputato in termini di creazione di un sistema di finanziamento illecito di aziende, attuato mediante alcuni “step” fissi: la simulazione della fornitura di macchinari in leasing a clienti vari, per importi di svariate centinaia di migliaia di Euro; l’incasso dalle società di leasing dell’importo corrisposto a titolo di finanziamento, che veniva accreditato su conti correnti intestati alla società poi fallita; il prelievo di tali importi subito dopo il versamento, in contanti o con assegni circolari emessi in favore di soggetti terzi. Sarebbe stato proprio l’imputato ad essere la “mente” ideatrice del sistema illecito, poiché esperto del settore, essendo titolare anche di una società di intermediazione finanziaria che si occupava di stipulare contratti di leasing, oltre che di un panificio nella città di L’Aquila, che figurava come uno degli acquirenti fittizi della XXX. Tale società, avente ad oggetto, sulla carta, l’attività di costruzione di piccoli macchinari per impacchettamento, costituita nel 2003, all’atto del fallimento, dichiarato per un modesto debito, non aveva in cassa alcuna attività, nè furono trovati beni di sorta nella sede, mentre la parziale documentazione reperita dal curatore a distanza di tempo dal fallimento, poiché mai consegnata dal legale rappresentante, era stata ritenuta del tutto inattendibile. Dal punto di vista della tenuta della motivazione circa la configurabilità oggettiva del reato di concorso in bancarotta distrattiva la Corte d’Appello ha chiarito come le somme che entrino a qualsiasi titolo nel patrimonio societario sono tutte funzionali alla garanzia del soddisfacimento delle ragioni creditorie, ed è irrilevante il tempo in cui rimangono a far parte di detto patrimonio, mentre è determinante il fatto che tali risorse escano dai conti correnti della società in decozione senza ragioni economiche legate all’attività sociale ed in assenza di corrispettivi. Nè può ritenersi la configurabilità della diversa condotta di bancarotta da operazioni dolose e, conseguentemente, non ha rilievo il nesso di causalità tra condotte e fallimento. Il Collegio ribadisce che la fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dalla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, presuppone una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo, ma da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato e si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto della L. Fall., art. 223, comma 1, e art. 216, comma 1, n. 1), – in cui, invece, le disposizioni di beni societari (qualificabili in termini di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) sono caratterizzate, secondo una valutazione “ex ante”, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata (Sez. 5, n. 12945 del 25/2/2020, Mora, Rv. 279071; Sez. 5, n. 17690 del 18/2/2010, Cassa di Risparmio di Rieti, Rv. 247314; Sez. 5, n. 33306 del 23/05/2016, Cosci, Rv. 268023). Alla luce di tali criteri ermeneutici, la bancarotta posta in essere dall’imputato, in concorso con il legale rappresentante della fallita, è da qualificarsi senza dubbio come distrattiva, poiché si è rivelata essere una spoliazione di ingenti flussi di finanziamenti, per quanto illecitamente percepiti nell’ambito di un più ampio meccanismo delittuoso volto a reperire risorse economiche mediante simulazione della fornitura di macchinari in leasing a vari clienti e il percepimento delle somme da parte della fallita, con immediata loro distrazione a favore di soggetti terzi, tra i quali, per una parte, il ricorrente (si tratta dell’importo di 275.000 Euro). Alcun rilievo ancora può assumere, ai fini della sussistenza del reato, la chiusura del fallimento con assenza di danno per il ceto creditorio. Anche la verifica della idoneità della motivazione del provvedimento impugnato a fondare la sussistenza della prova del coefficiente soggettivo del reato dà esiti positivi, tenuto conto del formidabile elemento costituito dall’avere l’imputato percepito l’ingente finanziamento predetto, provento della distrazione ai danni della fallita, attraverso la sua ditta “Antico Forno di D. “, nonché dei provati rapporti tra i diversi protagonisti della vicenda delittuosa, coautori delle condotte di reato. Ed è lo stesso difensore a mettere in risalto un ulteriore elemento valorizzabile: il ricorrente aveva delega ad operare sul conto corrente intestato alla fallita presso la banca MPS, sede di Livorno. 3.2. Infine, manifestamente privo di pregio è il motivo sulla condanna alle statuizioni civili decise in primo grado e confermate in appello, ancora una volta basato sull’argomento in fatto secondo cui non vi sarebbe stato effettivo pregiudizio per i creditori, che si ripropone apoditticamente, a dispetto del depauperamento societario conseguito alla distrazione delle somme percepite sul conto corrente della fallita e subito dopo distratte. Inammissibile, infine, l’accenno di censura riferito alla condanna alla provvisionale, che è statuizione insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento, sicché deve ribadirsi che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (ex multis Sez. 2, n. 43886 del 26/4/2019, Saracino, Rv. 277711; Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773).
- In conclusione, la sentenza andrà annullata senza rinvio agli effetti penali perché il reato ascritto all’imputato è estinto per prescrizione, mentre il ricorso deve essere rigettato agli effetti civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.