Prepagata del figlio: il genitore può chiedere il saldo?


Il Garante della privacy conferma: un estraneo può ricaricare una carta che non è sua, ma non può avere informazioni sui soldi rimasti.
Quale genitore non ha mai fatto la ricarica del cellulare o della carta prepagata al figlio? Pare una cosa normale quando il ragazzo non è ancora economicamente autonomo, anche se guadagna qualcosina facendo qualche lavoretto. La raccomandazione è la solita: «Non ti preoccupare, figliolo, ci penso io. Tu, piuttosto, pensa a mettere via i soldi per un domani». Vuoi che lui si preoccupi? Nemmeno per idea, va benissimo così. Quindi, cosa fa il papà o la mamma? Alla prima occasione che ci passa davanti, si ferma allo sportello e fa la ricarica. E già che c’è, giusto per sapere com’è messo il figlio, controlla quanto gli resta. Tanto, che problema c’è? O forse ce n’è uno di problema? Quando si ricarica la prepagata del figlio, il genitore può chiedere il saldo?
Eh, sì. Il problema c’è eccome. Sembrerà strano, perfino assurdo, ma così facendo il genitore sta violando la privacy del figlio. E non perché lo dice il ragazzo ma perché così ha stabilito di recente il Garante per la protezione dei dati personali, che ha condannato Poste Italiane al pagamento di 10mila euro per avere mostrato il saldo ad una persona diversa dal titolare della carta [1]. E come ha fatto a saperlo il Garante? Indovina chi ha fatto la talpa? Bravissimo, proprio lui: il figlio.
Lo stesso succede quando, anziché fare la ricarica con i soldi dei genitori, la si fa con quelli del figlio che magari, non potendo recarsi di persona in posta per qualsiasi motivo, consegna il denaro al padre e gli chiede la cortesia di fermarsi a fare l’operazione. Mai chiedere il saldo se la carta non è tua.
Riavvolgiamo il nastro e ripartiamo dall’inizio, perché questo episodio aiuta a capire perché il genitore non può richiedere il saldo della prepagata dal figlio.
Tutto ha inizio quando la mamma di un ragazzo titolare di una carta di debito emessa da Poste Italiane si reca in un ufficio postale per fare un favore al figlio (e meno male che era un favore, fosse stato un torto chissà come andava a finire) e ricaricare con 30 euro la sua carta. Alla fine dell’operazione, forse per curiosità, forse per abitudine, forse per sicurezza, chiede di avere il saldo della prepagata. L’impiegato della posta, senza battere ciglio, glielo fa avere. Quando mai.
Tornata a casa, la mamma consegna la carta ed il saldo al figlio. Il quale si mostra subito contrariato. Non certo per la ricarica ottenuta ma perché l’impiegato ha fatto ciò che non doveva, ossia mettere a conoscenza del suo saldo una persona diversa da lui. Era sua madre, certo, ma poteva essere chiunque.
Così, il ragazzo racconta tutto all’Autorità garante della privacy, la quale conclude che il giovane ha perfettamente ragione ad essere arrabbiato, poiché l’episodio rappresenta un trattamento illecito dei dati personali.
Il Garante fa la segnalazione a Poste Italiane, la quale richiama l’impiegato ad «una maggiore attenzione nello svolgimento delle sue mansioni». Quindi, ammette il torto, e non potrebbe essere altrimenti: comunicare i dati personali a soggetti terzi – conferma l’Autorità – in assenza del consenso dell’interessato o di altro legittimo presupposto è illecito. Da qui, la sanzione di 10mila euro che Poste Italiane si è vista costretta a pagare e la pubblicazione obbligatoria del provvedimento sul sito del Garante.
Morale di tutto ciò: un estraneo può ricaricare una carta che non è sua, ma non può chiedere il saldo perché viola la privacy del titolare. A meno che abbia un documento scritto in cui il diretto interessato acconsenta che sia l’intermediario a farlo.