Un bacio costituisce violenza sessuale non solo quando dato (senza consenso) sulle labbra, ma in generale tutte le volte che comprime la libertà sessuale della vittima, configurandosi quindi come un’imposizione sgradita.
Bacio sulla guancia: quando è reato?


Atti sessuali con minorenne: c’è reato anche se il minore è consenziente? In quali casi un bacio non gradito costituisce illecito?
Che un bacio sulle labbra possa essere una violenza sessuale, è cosa nota. Sull’argomento si è scritto tanto e la soluzione è oramai pacifica. Più controversa è la questione se anche un bacio sulla guancia può essere violenza sessuale. Sul punto, si sta formando un orientamento giurisprudenziale piuttosto costante, il quale ci permette di rispondere con una certa sicurezza alla seguente domanda: quando è reato un bacio sulla guancia?
Secondo una recente sentenza della Suprema Corte, commette reato l’uomo cha bacia sulla guancia una ragazzina, tenuto conto del contesto, del comportamento dell’autore e l’evidente mancato gradimento di lei. Per la precisione, il reato che si integra è quello di atti sessuali con minorenne, punito con la reclusione fino a dodici anni. Se l’argomento ti interessa, prosegui nella lettura: vedremo insieme quando un bacio sulla guancia è reato.
Indice
Violenza sessuale: quando è reato?
Per legge, il reato di violenza sessuale scatta ogni volta che una persona costringe un’altra a compiere oppure a subire un atto sessuale [1].
Per atto sessuale si intende ogni tipo di coinvolgimento delle parti del corpo definibili come “zone erogene”. Sono erogene quelle parti capaci di stimolare l’istinto sessuale (organi genitali, cosce, labbra, collo, seno, ecc.).
Dunque, costituiscono stupro i toccamenti, i palpeggiamenti e gli sfregamenti delle zone erogene, anche se fatti sopra i vestiti, capaci di eccitare chi li compie.
Ma non solo. Per legge, c’è stupro anche se l’atto sessuale è compiuto con una persona consenziente, la quale però non abbia ancora compiuto i quattordici anni. In questi casi, scatta il reato di atti sessuali con minorenne [2]. Approfondiamo questo aspetto.
Rapporto sessuale con minorenne: è reato?
Avere un rapporto sessuale consensuale con un minorenne non è reato, a meno che il minorenne non abbia meno di 14 anni. Contrariamente a quanto si crede, dunque, non è violenza il rapporto tra una persona adulta e un adolescente, purché quest’ultimo abbia compiuto almeno 14 anni e sia pienamente consenziente.
Al contrario, avere un rapporto sessuale con una persona che ha meno di 14 anni costituisce il reato di atti sessuali con minorenne, anche se c’è il consenso di quest’ultimo.
Fa eccezione a quanto appena detto il caso del minorenne che compie atti sessuali con un altro minore che abbia compiuto 13 anni, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a quattro anni.
In pratica, un 17enne può avere un rapporto sessuale con un 13enne, ovviamente se consenziente. Un 18enne, invece, commetterebbe reato.
Bacio sulla guancia: è reato?
Come ricordato in apertura, è pacifico che anche un solo bacio, se dato su una zona erogena, può costituire violenza sessuale. È il caso del bacio sulle labbra oppure di quello sul collo, quando è estorto alla vittima senza il suo consenso.
Secondo una sentenza della Cassazione [3], anche il bacio sulla guancia, se dato in maniera subdola e accompagnato da complimenti non graditi, può integrare il reato di violenza sessuale.
Questo è l’orientamento di una recente sentenza della Suprema Corte [4], secondo cui va punito penalmente l’uomo sorpreso ad avere contatti corporei con una ragazzina.
Per la precisione, secondo la Corte di Cassazione, va condannato per atti sessuali con minorenne l’uomo che accompagna il bacio sulla guancia a una condotta inequivocabilmente diretta a trarre un piacere sessuale, a fronte del mancato gradimento della ragazza appena dodicenne.
In pratica, per i giudici non è tanto il bacio sulla guancia a configurare reato, quanto l’intero contesto in cui il contatto corporeo è avvenuto.
Secondo la Corte di Cassazione, «il bacio sulla guancia, in quanto atto non direttamente indirizzato a zone chiaramente definibili come erogene, configura violenza sessuale, nella forma consumata e non tentata, allorquando, in base ad una valutazione complessiva della condotta che tenga conto del contesto ambientale e sociale in cui l’azione è stata realizzata, del rapporto intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale, possa ritenersi che abbia inciso sulla libertà sessuale della vittima».
Nel caso di specie, il reato deve ritenersi perfettamente consumato poiché l’uomo, dopo essersi precostituita un’occasione di gita in un luogo lontano da quello della residenza delle minori, «intratteneva plurimi contatti corporei con le due ragazzine attraverso baci sulla guancia, nonostante una minore gli chiedesse di smettere».
Tutti questi atti sono stati percepiti dalla vittima come invasivi e fastidiosi, e così si è concretizzata quella lesione all’integrità psico-fisica che fa scattare il reato in questione.
Bacio: quando è violenza sessuale?
In conclusione, possiamo affermare che un bacio costituisce violenza sessuale non solo quando dato (senza consenso) sulle labbra, ma in generale tutte le volte che comprime la libertà sessuale della vittima, configurandosi quindi come un’imposizione sgradita.
note
[1] Art. 609-bis cod. pen.
[2] Art. 609-quater cod. pen.
[3] Cass., sent. n. 6158 del 17 febbraio 2021.
[4] Cass., sent. n. 30270 del 3 agosto 2021.
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Cass. pen., sez. III, ud. 22 aprile 2021 (dep. 3 agosto 2021), n. 30270
Presidente Marini – Relatore Rosi
Ritenuto in fatto
- La Corte di Appello di Bologna con sentenza emessa il 30 giugno 2020, in parziale riforma della sentenza resa dal G.U.P. del Tribunale di Ravenna in data 12 novembre 2013, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato S.P. in ordine al reato di cui agli artt. 56 cpv. e 610 c.p., ascritto al capo b), in quanto estinto per intervenuta prescrizione, e confermava nel resto la condanna dell’imputato per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 609 quater c.p., ascritto al capo a), per aver compiuto atti sessuali con le minori dodicenni N.M. e M.B. , mostrando loro un fallo di gomma dicendo che si chiamava pippo e che piaceva alle donne e le baciava sulla guancia, fatti commessi nell’estate del (…), in (…). La Corte di appello rideterminava la pena, per effetto della già concessa attenuante dell’art. 609 quater c.p., u.c., è della riduzione per il rito, in anni 1 e mesi 1 giorni 10 di reclusione, con concessione della sospensione condizionale della pena, oltre al pagamento delle spese. processuali, con l’interdizione in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente la tutela e la curatela, e la condanna al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili costituite. 2. Avverso la sentenza, tramite il difensore di fiducia, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi. 2.1 Con il primo motivo si deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza nella parte in cui è stata ritenuta la credibilità della parte offesa e si lamenta la mancata assoluzione dell’imputato per non aver commesso i fatti di cui al capo di imputazione. In particolare, la difesa rileva che la Corte territoriale avrebbe corroborato il proprio convincimento sulla base delle sole dichiarazioni rese da una delle persone offese, la minore N.M. , peraltro disattendendo gli errori temporali, nonché le evidenti discrasie rinvenibili tra quanto dalla stessa narrato e quanto invece dichiarato dalla insegnante (Prof.ssa F. ). La difesa lamenta innanzitutto il carente e non accurato esame sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla minore, che avrebbe dovuto essere particolarmente rigoroso, in quanto queste venivano assunte quale unico elemento rilevante ai fini della condanna e non erano state confermate da alcun testimone o riscontro, nemmeno dalla cugina che era presente all’accaduto. Al fine di dimostrare l’erronea valutazione da parte di entrambi i giudici di merito circa le risultanze delle indagini preliminari, la difesa ha ripercorso la cronistoria degli accadimenti, rilevando che la minore aveva raccontato i fatti, verificatisi nell’estate del 2011, ben sette mesi dopo, riferendoli alla Prof.ssa F. , la quale redigeva la relazione del 29 marzo 2012. Secondo la difesa, durante questo arco temporale la minore sarebbe stata condizionata da amici e parenti che, venuti a conoscenza della sua frequentazione con l’imputato – il quale veniva appellato come “pedofilo” per voci di popolo – avrebbero espresso dei commenti in grado di contaminare il racconto successivamente reso dalla ragazza all’insegnante. Nel contesto della relazione della professoressa, la difesa individua alcune contraddizioni, tra cui il fatto che veniva omesso qualsivoglia riferimento al fallo di gomma menzionato nel capo di imputazione. La difesa rileva poi che non era stata -fatta alcuna segnalazione ai Carabinieri se non dopo essere stata convinta dalle amiche (peraltro mai sentite in questo processo), laddove la minore affermava di essere stata costretta a salire nel furgone dell’imputato con destinazione allo zoo di Cervia, in quanto minacciata dalla cugina che avrebbe altrimenti raccontato al padre che aveva bruciato una pentola. Diversamente, la madre della minore (T.S. ) dichiarava che la figlia le aveva riferito di essere salita volontariamente sul furgone. Secondo la difesa le successive sommarie informazioni rese dalla persona offesa in data 13 maggio 2012 si erano arricchite di ulteriori particolari, che contraddicevano la prima narrazione fatta all’insegnante, nella parte in cui la minore dichiarava di essere volontariamente salita sul furgone e non riferiva di alcuna segnalazione fatta ai Carabinieri in ordine ad un tentato approccio da parte dell’imputato. Infine, in sede di incidente probatorio, effettuato in data 1 febbraio 2013, la minore non aveva riferito di essere stata costretta a salire nel furgone, ma narrava di “bacini” ricevuti dall’imputato durante il giro nello zoo e specificava di avere insistito perché si facesse ritorno a casa dopo la gita, perché il padre non sapeva con chi si fosse allontanata (quando invece all’insegnante aveva dichiarato l’esatto contrario); aggiungeva poi altri particolari dei quali non veniva dato alcun riscontro probatorio, ed ammetteva quanto dichiarato dal S. in sede di interrogatorio in data 12 dicembre 2012 (in particolare, confermava gli episodi della raccolta della frutta, della riparazione delle biciclette, fatti accaduti dopo il fatto di Cervia). Pertanto, risulterebbe pienamente credibile la versione resa dall’imputato, il quale riferiva particolari poi confermati dalla minore a seguito di sollecitazione del giudice, anche per quanto attiene al fallo di gomma che lo stesso aveva rinvenuto per puro caso in una busta di plastica e non aveva successivamente occultato in quanto, non essendo il legittimo proprietario, non poteva disporne. 2.2 Con il secondo motivo si deduce erronea applicazione della legge penale per errata qualificazione giuridica del fatto, con richiesta di derubricazione del reato nel reato tentato ex art. 56 c.p.. Invero, la difesa, richiamando giurisprudenza sul punto, evidenzia che gli atti sessuali previsti dall’art. 609 quater c.p., debbano necessariamente coinvolgere il corpo della vittima, in quanto costretta a compierli o subirli. Orbene, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto di qualificare come atto sessuale un bacio sulla guancia dato dall’imputato alla vittima e la mera esibizione alle minori di un fallo di gomma, poi immediatamente riposto nell’auto. Sul punto si lamenta l’assenza di prova in ordine all’effettiva ripercussione delle suddette azioni sulla sfera della sessualità fisica delle minori e, in subordine, si evidenzia come sarebbero al più riconducibili nella forma tentata per mancato compimento dell’azione sessuale.
Considerato in diritto
- Il ricorso risulta manifestamente infondato e deve pertanto essere dichiarato inammissibile, atteso che i motivi formulati dal ricorrente afferiscono in realtà a questioni di mera ricostruzione dei fatti e di valutazione delle prove, che si risolvono nel riproporre in questa sede un nuovo, e diverso, giudizio di fatto, di stretta pertinenza dei giudici del merito e sottratto al sindacato di legittimità quando, come nella specie, la decisione impugnata segua un percorso argomentativo esente da macroscopiche incongruità o illogicità. 1.1. Occorre, infatti, ribadire l’orientamento costante e consolidato della giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Sez. 5, n. 15041/19 del 24/10/2018, Battaglia, Rv. 275100; Sez.3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata e altro, Rv 270519; Sez. 2, n. 7986/17 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482;Sez. Un. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074), secondo il quale il sindacato sulla motivazione della sentenza del giudice di merito demandato alla Corte di cassazione non può concernere nè la ricostruzione del fatto, nè il relativo apprezzamento probatorio, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di una rinnovata verifica della sua rispondenza alle acquisizioni processuali, in quanto la funzione del controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, ma soltanto di verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate che rendano giustificate sul piano della consequenzialità le conclusioni tratte. Pertanto, “la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività), non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto” (Cfr. Sez. 2, n. 18163 del 6/5/2008, Ferdico, Rv. 239789; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M. e altri, Rv. 271227). 1.2. Questa Corte ha altresì affermato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303; Sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado, in risposta ai quali è consentita anche la motivazione per relationem, sempre che tale rinvio non comporti una sottrazione alle puntuali censure prospettate in sede di impugnazione. Nel caso di specie la sentenza di appello, oltre a richiamare espressamente la decisione di primo grado in riferimento alla ricostruzione in punto di fatto, all’analisi delle risultanze probatorie, ha condiviso le valutazioni operate dai giudici di prime cure ed ha sviluppato un’autonoma ed ampia argomentazione, in risposta alle censure avanzate con l’appello. 2. Nel caso di specie, va rilevato che il ricorrente si limita a riproporre le medesime doglianze già formulate con l’atto di appello, alle quali la Corte territoriale ha fornito risposta con ampia motivazione, del tutto logica e coerente. In particolare, entrambi i giudici di merito hanno ritenuto irrilevanti alcuni imprecisioni temporali e le discrasie rinvenute nelle dichiarazioni della minore rispetto a quanto riferito all’insegnante. Nello specifico, il fatto. che il padre della stessa fosse a conoscenza o meno della gita allo zoo di Cervia è stato valutato come un dettaglio del tutto secondario e inconferente rispetto ai comportamenti ascritti all’imputato. 2.1. Quanto alla ipotizzata coartazione psicologica subita dalla vittima nel lasso temporale intercorrente tra l’accadimento del fatto ed il disvelamento, peraltro di contenuta ampiezza, trattandosi di circa sette mesi, non sono stati allegati specifici elementi di prova di quanto asserito, sicché pur data l’esistenza di battute di amichetti e familiari non risulta alcun collegamento di ordine psicologico rispetto alla denuncia. Mentre risulta perfettamente riscontrato il racconto delle giovani vittime laddove è stato accertato il possesso del fallo di plastica descritto e rinvenuto nel luogo indicato dalla vittima. Quanto poi alla esibizione del fallo di plastica alle minori, coerentemente la Corte di appello ha ritenuto inverosimile la ricostruzione fornita dall’imputato, che aveva dichiarato di non avere avuto contezza della presenza dell’oggetto sul furgone di proprietà, a fronte della precisione del racconto della minore. 3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile. Entrambi i giudici di merito hanno fanno buon governo della interpretazione fornita da codesta Corte di legittimità in relazione al bene giuridico tutelato dall’art. 609 quater c.p., il quale non va rinvenuto nella libertà di autodeterminazione del minore, ma nella intangibilità sessuale della vittima, in considerazione della presunzione legale di incapacità del soggetto di prestare un valido consenso al compimento di un qualunque tipo di atto sessuale. 3.1. Quanto alla nozione di atto sessuale e quindi alla integrazione del reato consumato e non di un mero tentativo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il bacio sulla guancia, in quanto atto non direttamente indirizzato a zone chiaramente definibili come erogene, configura violenza sessuale, nella forma consumata e non tentata, allorquando, in base ad una valutazione complessiva della condotta che tenga conto del contesto ambientale e sociale in cui l’azione è stata realizzata, del rapporto intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante, possa ritenersi che abbia inciso sulla libertà sessuale della vittima (cfr. Sez.3, n. 43423 del 18/09/2019, P., Rv.2772179 – 01), e comunque si tratta di una valutazione di merito, che deve tenere conto della condotta nel suo complesso, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa e di ogni altro dato fattuale qualificante (in tal senso Sez.3, n. 964 del 26/11/2014, dep. 13/01/2015, R., Rv. 261634 – 01) 3.2. Orbene, non può che ribadirsi che la soluzione adottata dalla Corte territoriale risulta immune da censure nella parte in cui ha concluso per la qualificazione della condotta dell’imputato nella forma compiuta e non solo tentata, atteso che l’imputato, dopo essersi precostituita una occasione di gita in luogo lontano da quello della residenza delle due minori, intratteneva plurimi contatti corporei con le stesse attraverso baci sulla guancia, nonostante la minore gli chiedesse di smettere, oltre ad esibire un fallo di plastica con commenti sessualmente equivoci, atti tutti percepiti dalle ragazzine come invasivi e fastidiosi, essendosi in tal modo realizzata la lesione alla integrità psico-fisica delle minori, che il legislatore ha inteso tutelare nella prospettiva di un corretto sviluppo della sessualità del minore, soprattutto se neppure adolescente. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, con condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato. In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di tutte le persone indicate nel provvedimento ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, perché previsto dalla legge. Motivazione semplificata.
Un ragazzo ci provava insistentemente con me. Io l’ho sempre rifiutato perché per me era solo un amico e poi non avevo alcuna intenzione di rovinare il nostro rapporto deludendolo. Un giorno, in occasione del mio compleanno, mi ha voluto fare una bella sorpresa. Io gli sono stata davvero grata e lui pretendeva che lo ringraziassi in un certo modo. Io gli diedi un bacio sulla guancia, mentre lui mi bloccò dai fianchi e mi diede un bacio sulle labbra senza lasciarmi la possibilità di liberarmi. Riuscii poi a svincolarmi dandogli una testata e reagii con uno schiaffo poi scappando. Da lì, l’ho bloccato ovunque e gli dissi di lasciarmi in pace se non voleva essere denunciato. Per fortuna, è sparito per sempre dalla mia vita
Ci sono persone che non sono in grado di comprendere il NO. E di conseguenza diventano petulanti, insistenti, rompono la tua serenità e ti mettono ansia. Un compagno di università si sedeva sempre accanto a me. Dopo aver visto dove mi sedevo, appena iniziava la lezione, lui si piazzava lì vicino. Ed io non potevo mica alzarmi di scatto mentre il prof iniziava a parlare. Un giorno, mi fermai a studiare in un’aula vuota. Penso che lui mi abbia pedinato. si siede accanto a me e mi saluto con un bacio sulla guancia ovviamente non gradito, iniziando a farmi complimenti imbarazzanti. Gli tirai il manuale di oltre 1000 pagine sulle mani e me ne andai. E’ stata una situazione che mi ha creato molto disagio. Da quel momento, ho chiesto sempre ai miei colleghi di sedersi da entrambi i lati accanto a me in modo che lui non potesse avvicinarmi. Chiedevo persino di accompagnarmi all’auto perché non volevo rimanere da sola, temendo che lui potesse sbucare all’improvviso
Non siate esagerati adesso. Uno non può darti un bacio sulla guancia che ora qualsiasi cosa è violenza sessuale. Allora, i baci rubati quando uno ci prova? Anche lì uno deve frenarsi temendo che il giorno dopo la tipa ti denuncia per violenza sessuale? Allora, ognuno si stesse per fatti suoi e qui il mondo è finito! Assurdo…
Massimiliano è ovvio che qui non si parla di un bacio innocente. E poi lo capisci se l’altra persona può essere d’accordo o meno nel ricevere un bacio oppure se il tuo avvicinamento risulta sgradito e invadente. Mica siamo animali che dobbiamo cedere ai nostri istinti e fare ciò che fa piacere a noi senza considerare cosa ne pensa l’altra persona… Su, non scherzare!
Ma il consenso scatta nel momento in cui avvicini la ragazza e lei ci sta…era così ai tempi del liceo e ora ho settant’anni.