Quando la produzione di cannabis è lecita e non costituisce reato? Quali sono gli indicatori di un uso esclusivamente personale della sostanza ricavata?
Gli esperti di coltivazione sanno bene che le piante di cannabis sativa possono raggiungere un’altezza di cinque metri: quasi quanto una casa a due piani. Ma le leggi della natura non corrispondono a quelle stabilite dal Codice penale: spesso, Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza perquisiscono case, terrazze e giardini e sequestrano, per coltivazione illecita, le piante quando sono numerose o di rilevante altezza. Questi dati depongono per un uso non personale della cannabis, e dunque il responsabile viene denunciato, o anche arrestato, per detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio. Allora potresti chiederti: nella coltivazione di marijuana qual è il limite di altezza delle piante?
Conoscendo questo dato potresti sfuggire alla sanzione penale e dimostrare, in base ad un dato oggettivo e concreto, che la coltivazione avviene per uso esclusivamente personale. Non è, però, così semplice: la legge non fissa un limite minimo oltre il quale la coltivazione è reato, e neppure un limite massimo al di sotto del quale è sempre consentita. In passato, c’è chi è stato incriminato e condannato per il semplice possesso di semi di cannabis.
Ora però le cose stanno cambiando, da quando a dicembre 2019 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha affermato che non è reato coltivare cannabis per uso personale. Nonostante la chiarezza del principio affermato, non è semplice stabilire in concreto quando la coltivazione è lecita, cioè quando è sicuramente o molto probabilmente destinata all’uso personale anziché alla cessione a terzi. Del resto, coltivando si produce una sostanza stupefacente che prima non c’era, quindi si fa qualcosa di potenzialmente pericoloso; perciò, il principio stabilito dalla Corte Suprema viene applicato in maniera piuttosto rigorosa dai giudici.
In realtà, per la giurisprudenza sulla coltivazione di marijuana l’altezza delle piante è un importante indicatore che, assieme ad altri elementi, viene preso in considerazione per stabilire se c’è il reato oppure no. Una nuova sentenza della Cassazione ha esaminato il caso di un uomo che coltivava in un terreno cinque piante di cannabis, alte circa un metro e mezzo ciascuna, e lo ha assolto. Vediamo dunque come stanno le cose.
Coltivazione di marjuana: quando è legale?
La coltivazione di marijuana è considerata legale quando avviene in ambito casalingo, con produzione di quantità minima di principio attivo stupefacente destinato esclusivamente ad uso personale. Lo ha affermato la Corte di Cassazione in un’importante sentenza [1], precisando che sono escluse dal reato di produzione di sostanze stupefacenti «le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».
Il caso deciso in quella sentenza riguardava la coltivazione domestica di due piante, di cui una alta un metro e l’altra 1,15 metri. Fino a quel momento, la giurisprudenza prevalente affermava, invece, che la coltivazione di cannabis costituisse sempre reato, a prescindere dalla quantità delle piante, dei rami, delle infiorescenze, del principio attivo ricavabile e dell’uso fatto della sostanza.
Produzione o possesso di marijuana: quando è reato?
La legge penale [2] prevede come reato la condotta di «chiunque, senza apposita autorizzazione ministeriale, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti». La cannabis con i suoi derivati (marjuana, hashish, ecc.) è espressamente compresa in questo elenco di sostanze illecite.
Tuttavia, una norma [3] esclude l’applicazione delle sanzioni penali quando la sostanza è destinata al consumo personale; in base alle tabelle ministeriali, si presume compatibile con l’uso personale un quantitativo di 500 milligrammi di principio attivo Thc (tetraidrocannabinolo) contenuto nella cannabis, ma rimangono applicabili le sanzioni amministrative, come la sospensione della patente di guida (leggi “Droga per uso personale: sanzioni“).
Coltivazione illecita di cannabis: quali indicatori la dimostrano?
È importante notare che il limite oltre il quale si presume la destinazione dello stupefacente allo spaccio, anziché all’uso personale, riguarda il principio attivo ricavabile dalla cannabis e non il numero o le caratteristiche delle piante. Questi elementi vengono, però, considerati ed apprezzati dal giudice penale proprio per stabilire la sussistenza o meno del reato di coltivazione illecita.
Gli indicatori che vengono più frequentemente presi in considerazione dalla giurisprudenza sono i seguenti:
- il numero di piante coltivate (in vasi o nel terreno): quanto più è elevato, tanto più esso depone in favore dell’uso non esclusivamente personale;
- lo stato ed il livello di crescita raggiunto dalle piante, dunque la loro altezza; su questo elemento ora ci soffermeremo più ampiamente;
- le modalità (più o meno artigianali e rudimentali) della coltivazione: presenza di sistemi di irrigazione automatica, di illuminazione artificiale per far crescere le piante più in fretta, ecc;
- l’inserimento del coltivatore nel mercato illegale dello spaccio (che può essere desunto dai suoi contatti, dalla presenza di sostanze stupefacenti già confezionate, da tentativi di cessione, di offerta o di vendita, già intrapresi in passato ecc.).
Piante di marijuana: altezza massima consentita
L’ultima sentenza della Cassazione intervenuta sul tema [4] si è occupata del caso di un uomo sorpreso a coltivare in un terreno cinque piante di marijuana alte circa un metro e mezzo ciascuna. Nella perquisizione domiciliare, i carabinieri avevano rinvenuto anche tre bustine di cellophane, due delle quali contenevano infiorescenze di marijuana e la terza 13 semi di canapa.
Il detentore era stato condannato in primo e in secondo grado di giudizio, ma la Suprema Corte ha ribaltato il verdetto, riconoscendo che lo stupefacente era destinato ad un «uso esclusivamente personale»; questo dato era avvalorato dal fatto che la coltivazione era di «modesta estensione», così come era risultato esiguo il numero delle piante. Così gli Ermellini hanno riconosciuto che la coltivazione era «svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modesto quantitativo di prodotto».
I giudici di piazza Cavour hanno ritenuto che neppure la rilevante altezza raggiunta dalle piante coltivate costituisse un dato significativo per dimostrare l’illiceità della coltivazione, anche perché era esclusa «la possibilità di estrazione di un quantitativo apprezzabile di stupefacente, superiore al fabbisogno del singolo individuo». Trovi la sentenza per esteso in fondo a questo articolo.
In definitiva, quindi, l’altezza delle piante può assumere un valore sintomatico e indiziario della sussistenza del reato di coltivazione di stupefacenti, ma questo dato deve sempre essere valutato in relazione a tutti gli altri elementi acquisiti alle indagini e non può valere di per sé a pronunciare una sentenza di condanna.
Coltivazione di cannabis: approfondimenti
Alcune sentenze ritengono che il numero massimo di piante di cannabis che si possono coltivare senza commettere reato è tre, ma non mancano pronunce di segno contrario, secondo le quali si può arrivare a dodici piante se la coltivazione è rudimentale. In proposito leggi: “Quante piante di marijuana si possono tenere per uso personale?” e: “Come coltivare cannabis senza commettere reato“.
Per ulteriori approfondimenti consulta la rassegna di giurisprudenza “Coltivazione di sostanze stupefacenti: ultime sentenze“.
note
[1] Cass. S.U. sent. n. 12348 del 16.04.2020.
[2] Art. 73 D.P.R. n. 309/1990.
[3] Art. 75 D.P.R. n. 309/1990.
[4] Cass. sent. n. 30803 del 06.08.2021.
Cass. pen., sez. IV, ud. 10 giugno 2021 (dep. 6 agosto 2021), n. 30803
Presidente Piccialli – Relatore Esposito
Ritenuto in fatto
- Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale di Oristano del 20 febbraio 2017, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui P.F. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi quattro di reclusione ed Euro duemila di multa in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73,comma 5, (coltivazione illegale di cinque piante di marijuana, semi ed altri strumenti finalizzati alla coltivazione della stessa in (omissis) ). In ordine alla ricostruzione dei fatti, in seguito al rinvenimento da parte dei Carabinieri della Stazione di Gonnoscodina di una coltivazione di marijuana nei pressi del locale cimitero e alla predisposizione di un servizio di appostamento al fine di identificare il responsabile, nelle prime ore del 5 settembre 2014, gli operanti avevano notato una persona che, a piedi e con l’uso di una torcia elettrica, si era inoltrato nella vegetazione adiacente al cimitero ed aveva raggiunto la coltivazione. Erano sequestrate cinque piante di marijuana coltivate all’interno di contenitori in plastica, nove bottiglie piene d’acqua, un sacco di terriccio ed una bottiglia di concime liquido per uso agricolo nonché, nella casa delP. , tre bustine di cellophane (di cui due contenenti infiorescenze di marijuana ed una tredici semi della medesima pianta). La coltivazione, seppure di modesta estensione, era idonea alla diffusione della sostanza producibile e all’ampliamento della stessa coltura.
- Il P. , a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo tre motivi di impugnazione. 2.1. Violazione di legge e contraddittoria ed illogica motivazione sulla ricostruzione alternativa del fatto. Si deduce che il P. ‘ è stato ritenuto responsabile del reato contestato nonostante l’acquisizione inconfutabile della prova dell’uso esclusivamente personale dello stupefacente. La Corte di appello non ha considerato l’assenza di potenzialità lesiva e di pericolo alla sua diffusione e/o commercializzazione; inoltre, ha erroneamente ritenuto che il mancato rinvenimento di somme di denaro presso l’abitazione del P. – altro consolidato indice di valutazione del fatto/reato – non costituisse dato oggettivo ed inequivoca bile per escludere la destinazione ad uso terzi. 2.2. Violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e vizio di motivazione in relazione al carattere domestico della coltivazione. Si rileva che la sentenza è illogica nel punto in cui, pur riconoscendo la “modesta estensione” della coltivazione, ha reputato la stessa capace e idonea alla diffusione della sostanza producibile e all’ampliamento della cultura. In dibattimento è dichiaratamente emerso il carattere domestico della coltivazione per il quantitativo modico delle piante coltivate e per la grossolana modalità di coltivazione: piantine ritrovate in contenitori di plastica e gli strumenti di coltura consistenti in 9 bottiglie di acqua, un sacco di terriccio ed una bottiglietta di concime liquido. 2.3. Vizio di motivazione in ordine alla rilevanza penale della detenzione dei 13 semi di canapa. Si osserva che non poteva condividersi quanto sostenuto dalla Corte di appello in ordine alla possibilità che i 13 semi della piantino di canapa nell’abitazione del P. avrebbero potuto ingrandire la coltivazione, tanto da far ragionevolmente propendere per una destinazione alla consumazione da parte di terzi. Non era possibile accertare aprioristicamente l’idoneità dei semi in questione alla coltivazione e la destinazione degli stessi a tal fine.
Considerato in diritto
- Il ricorso è fondato.
- Va premesso che, ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre lo stupefacente, nell’obiettivo di scongiurarne il rischio di diffusione futura (Sez. 4, n. 27213 del 21/05/2019,Bongi,Rv. 275877). Tuttavia, non integra il reato, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, perché svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modesto quantitativo di prodotto (Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Caruso, Rv. 278624). Nella fattispecie in esame, le modalità primitive della coltivazione – all’interno di contenitori in plastica, nove bottiglie piene d’acqua, un sacco di terriccio ed una bottiglia di concime liquido per uso agricolo – e il numero ridotto di piantine di marijuana in numero di cinque – consentono di ritenere certa la destinazione esclusiva dello stupefacente ad uso personale. D’altronde, la mancata predisposizione di accorgimenti, come impianti di irrigazione e/o di illuminazione, finalizzati a rafforzare la produzione consentiva di escludere la possibilità di estrazione di un quantitativo apprezzabile di stupefacente, superiore al fabbisogno del ricorrente (Sez. 6, n. 6599 del 05/11/2020, dep. 2021, Serafini, Rv. 280786, in fattispecie in cui si è ritenuto integrare una coltivazione domestica non punibile la messa a coltura di undici piantine di marijuana, collocate in vasi all’interno di un’abitazione). Inoltre, nella ricostruzione del fatto nella sentenza impugnata ricorrono tutti gli indici per l’esclusione della tipicità della coltivazione penalmente rilevante. Né la valutazione di illiceità può derivare dall’altezza di m.. 1,50 circa di quattro piantine e dal rinvenimento di 13 semi della medesima pianta non consentono di attribuire rilevanza penale alla fattispecie in esame. Non emergono lacune istruttorie o nella descrizione del fatto che rendano necessaria una pronunzia di annullamento con rinvio al fine di svolgere ulteriori approfondimenti sulla liceità o meno della condotta.
- Ne deriva, in applicazione del principio di diritto fissato dalla richiamata sentenza delle Sezioni unite di questa Corte l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.