Come funziona il gettone che rappresenta il certificato di proprietà digitale di un’opera e come viene scambiato nel mercato della criptoarte.
Le moderne opere dell’ingegno vengono prodotte sempre più in formato digitale. Si stanno progressivamente dematerializzando: i libri diventano e-book, i quadri immagini, la musica è fruibile su file mp3 o in altri formati e non più sui dischi in vinile o in musicassette. Questo aumenta le possibilità di duplicazione, anche illecita; spesso, non si riesce a risalire alla paternità di determinate opere e a stabilire chi è il proprietario e, dunque, il titolare dei diritti d’autore. Per questa esigenza sono nati gli NFT: cosa sono, a cosa servono e perché si chiamano così?
Iniziamo da quest’ultima domanda perché la definizione contiene il seme della risposta. NFT è l’acronimo dell’espressione inglese non fungible token. Il token – tradotto in italiano: gettone – nel linguaggio digitale è un simbolo identificativo. Il fatto che sia non fungibile significa che è un pezzo unico, cioè non replicabile e confondibile con altri simili. Queste caratteristiche attribuiscono agli NFT un valore economico: infatti, è nato un fiorente mercato, specialmente nel mondo dell’arte, dove gli NFT vengono scambiati in aste e, talvolta, raggiungono prezzi elevatissimi. Ma gli NFT possono riguardare qualsiasi oggetto digitale, come un logo, un brano musicale o anche un tweet, se proviene da un artista rinomato.
Per capire, in prima approssimazione, cosa sono gli NFT puoi pensarli come certificati di proprietà su opere digitali; quindi, riguardano beni che possono essere ceduti e commerciati. Infatti, gli NFT sono oggi la frontiera più avanzata della tecnologia ma anche della speculazione: possono essere un’opportunità o una trappola, a seconda di come vengono utilizzati. Uno dei maggiori problemi deriva dal fatto che gli NFT non sono ancora regolamentati dalla legge; perciò, chi decide di acquistarli, utilizzarli o scambiarli si espone a notevoli rischi. Ci sono molti problemi aperti e non esistono soluzioni condivise e consolidate.
Indice
NFT: cosa sono e a cosa servono?
Il denaro è un bene fungibile: ogni banconota o moneta indica una determinata quantità di valuta ed è sempre sostituibile con un importo analogo. L’NFT si colloca all’estremo opposto: è scambiabile sui mercati, ma ciascun pezzo, o token, è unico nella sua individualità. Non è sostituibile con un altro perché nessuno ha identiche caratteristiche: non è fungibile e, per questo, è stato battezzato come non fungible token. Così gli NFT, anche se sono strumenti digitali, si differenziano profondamente dai Bitcoin e dalle altre criptovalute, che hanno la caratteristica della fungibilità: ogni Bitcoin è uguale ad un altro, così come ogni NFT è diverso da un altro.
Insomma, gli NFT non sono intercambiabili tra loro e ciascuno di essi si riferisce ad un prodotto diverso. Questa unicità degli NFT li rende particolarmente adatti ad essere utilizzati come una marca di autenticità. Gli NFT servono a garantire (nei limiti che tra poco vedremo) la genuinità del prodotto che simboleggiano e individuano il suo attuale possessore. Ecco perché si prestano bene a rappresentare dei certificati di proprietà di opere digitali, tenendo però presente che questa certificazione si basa sulla fiducia degli utenti nel meccanismo e non ha un valore legale ufficialmente riconosciuto.
È qualcosa di simile, nell’idea, al certificato di proprietà di un’autovettura, ma molto diverso nel suo funzionamento. Il punto di forza degli NFT sta nel fatto che utilizzano la blockchain, una catena informatica che registra gli scambi virtuali con un codice praticamente inalterabile perché è diffuso tra tutti gli utenti in modo che nessuno possa manipolarlo. Così questo libro mastro digitale attribuisce autenticità e veridicità alle transazioni (è lo stesso meccanismo su cui si basano i Bitcoin).
NFT: come funzionano?
Chi compra un NFT, in realtà, acquista l’opera che ad esso è legata o, più esattamente, compra la sua trasposizione digitale: ad esempio un disegno, la foto di un dipinto, un logo ed anche l’immagine tridimensionale di una statua o di una coppa. L’opera non necessariamente deve essere un pezzo unico: l’autore può produrre una serie in tiratura limitata, dove ciascun esemplare è contraddistinto dal suo NFT, autenticato da una specifica chiave crittografica.
L’NFT simboleggia e contiene la rappresentazione digitale dell’opera, che viene espressa in una sequenza compressa, chiamata hash. Questo codice alfanumerico è realizzato con un algoritmo informatico che non è reversibile: ciò significa che chi possiede il documento di partenza (e dunque, verosimilmente, è il proprietario dell’opera o almeno è colui che ha realizzato la sua prima trasposizione digitale) può creare l’hash, ma chi ottiene l’hash non può riprodurre il file di partenza che lo ha generato.
Una volta calcolato, l’hash viene memorizzato nella blockchain e viene associato ad una marca temporale per documentare la data di inserimento nella catena. A quel punto, il NFT può essere ceduto e scambiato; solitamente, ciò avviene in cambio di un pagamento in criptovaluta. Tutti i passaggi degli NFT vengono tracciati e registrati nella blockchain, che consente di risalire all’intera sequenza di cessioni, dalla prima all’ultima.
Chi possiede un NFT è il proprietario dell’opera associata?
Il risultato di questo meccanismo sta nel fatto che chi possiede un NFT certificato sulla blockchain è in grado di provare la proprietà dell’opera digitale che ad esso è stata associata sin dall’origine. Non possiede, però, direttamente il file, che può trovarsi altrove, ad esempio su un sito web, su un hard disk o in un qualsiasi server. In altre parole, ha i diritti sul bene ma non la disponibilità concreta del bene stesso, che può continuare a “girare” sul web ed essere fruito da altri. Questo è un grosso limite. Il possesso riguarda i metadati ma non l’oggetto che essi rappresentano e che risiede altrove, con tutti i rischi di indebito utilizzo ed anche di possibile perdita o distruzione.
Inoltre, i termini dell’acquisto dipendono dal contratto, che non è contenuto nell’NFT ma si trova in un documento a parte, in forma di smart contract, un contratto “intelligente” redatto con un protocollo informatico. Occorre sempre verificare le condizioni di cessione, perché il proprietario dell’NFT potrebbe aver acquistato un diritto limitato all’utilizzo e sfruttamento dell’opera e, dunque, non sempre può considerarsi proprietario dell’opera associata al token. Per evitare questi pesanti vincoli, alcune case d’asta vendono gli NFT insieme ad un regolare contratto che attribuisce la piena proprietà dell’opera.
Nft: cosa dice la legge?
Il mercato degli NFT, attualmente, non è regolamentato dalle autorità nazionali o internazionali. I programmi che tengono traccia dei movimenti degli NFT sono realizzati da privati e per analizzare i dati occorre saper interpretare i codici della blockchain. Il Codice civile, con una norma generale scritta molti decenni prima dell’avvento degli NFT [1], si limita a stabilire che «nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di cose determinate solo nel genere, la proprietà si trasmette con l’individuazione fatta d’accordo tra le parti o nei modi da essi stabiliti».
Quindi, gli NFT non sono vietati dalla legge, ma non sono nemmeno disciplinati in modo specifico. Siccome riguardano in massima parte opere dell’ingegno prodotte in formato digitale (o digitalizzate successivamente alla loro creazione) devono anche rispettare la normativa sulla tutela della proprietà intellettuale e del diritto d’autore [2], che riguarda «tutte le opere dell’ingegno di carattere creativo, che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione».
La Commissione dell’Unione Europea ha elaborato proposte di regolamentazione degli NFT considerandoli come strumento di «finanza digitale» [3] ma la nuova normativa è ancora in attesa di approvazione.
NFT: che diritti ha il proprietario?
Le peculiari caratteristiche degli NFT che abbiamo esaminato pongono numerosi problemi giuridici, oltre che tecnici, e sono tutte questioni aperte. Il proprietario di un’opera d’arte può dimostrare tale qualità grazie al certificato situato nella blockchain, che, come abbiamo visto, riporta un identificativo univoco della transazione e, attraverso l’hash, richiama il file che documenta l’opera originale.
Tuttavia, la blockchain non ha valore legale, dunque non ha affatto le proprietà di un atto notarile trascritto e nemmeno quelle di una scrittura privata autenticata. Il problema tecnico maggiore sta nel fatto che tutti questi dati informatici sono labili e condivisi, mancando un sistema centrale di archivio delle informazioni. Molti esperti mettono in guardia sul fatto che la blockchain potrebbe diventare inservibile o non più consultabile (non c’è nessun organo pubblico incaricato di mantenerla attiva e di gestirne il funzionamento), così come i link di riferimento degli NFT potrebbero sparire dal web in qualsiasi momento. Dunque, questo “certificato di proprietà” costituito dall’NFT non assomiglia affatto al tradizionale atto pubblico di compravendita stipulato dal notaio e non offre analoghe garanzie.
NFT: quali rischi?
A ben vedere, ad oggi, il proprietario di un NFT può affermare con certezza solo di possedere legittimamente quel token, che a sua volta rimanda ad un altro bene, sul quale però egli non può vantare analoghi diritti. Ad esempio, basterebbe una minima variazione del file di origine (ad esempio, cambiando un solo pixel tra i milioni che costituiscono l’immagine digitale) per generare un hash diverso e rendere possibile di vendere praticamente la medesima opera ad altri soggetti, ma con un nuovo NFT. Ciò non sarebbe possibile con il tradizionale meccanismo della cessione dei diritti d’autore sull’opera, regolamentata con i consueti contratti.
Si attende, dunque, un intervento legislativo, che dovrà chiarire innanzitutto la questione di fondo: gli NFT sono il titolo rappresentativo di un bene o sono essi stessi un bene? E, in questo caso, devono essere considerati strumenti finanziari, con l’applicazione della relativa normativa, anche ai fini antiriciclaggio? Ed ancora: come tutelare i consumatori dalle possibili truffe o dai fallimenti degli emittenti dei token?
Non solo gli imbrogli, ma anche e soprattutto gli eventi accidentali possono costituire un grosso rischio per chi detiene NFT. Cosa succede se l’opera digitale alla quale si riferisce l’NFT sparisce da Internet, per i motivi più vari (cancellazione, perdita di dati, pirateria informatica)? In quel caso, che diritti ha il proprietario dell’NFT e come è possibile tutelarli? Sono problemi di difficile soluzione, che intanto inducono alla massima cautela. Chi vuole operare con questi strumenti innovativi acquistando opere artistiche o musicali che possono avere ingente valore può farlo, ma deve essere consapevole che in assenza di una normativa specifica non è facile ottenere tutela legale.
note
[1] Art. 1378 Cod. civ.
[2] Art. 2575 Cod. civ.
[3] Direttiva (UE) n.2019/1937.