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Rientro dalla malattia: quando si rischia il licenziamento

19 Agosto 2021 | Autore:
Rientro dalla malattia: quando si rischia il licenziamento

Si può rifiutare la ripresa dell’attività se non è stata fatta la visita medica dopo 60 giorni di assenza? Il datore può chiedere la presenza in azienda?

Può sembrare assurdo rischiare di perdere il posto di lavoro perché si sta male. Non per una finta malattia di quelle che, «casualmente», vengono fuori il venerdì o il lunedì e che allungano il fine settimana. Non una di quelle che vengono dichiarate per restare a casa qualche giorno a far di tutto tranne che faticare. Qui, si parla di una patologia vera, di quelle che si protraggono anche per diversi mesi e che, una volta superata, richiedono una visita medica prima di tornare attivi in ufficio o in fabbrica.  E perché mai si dovrebbe temere di perdere il posto? Al rientro dalla malattia, quando si rischia il licenziamento?

La domanda non è posta a caso, perché recentemente la Cassazione ha dato la sua interpretazione su quanto scritto in materia nel Testo unico sulla salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro [1]. Tutto gira attorno alla visita di idoneità che deve essere effettuata al lavoratore assente per malattia per un periodo superiore a 60 giorni consecutivi. Per chi sta a casa per motivi di salute per almeno due mesi, insomma, e svolge un mestiere per il quale è prevista la sorveglianza sanitaria. Quella visita di idoneità è necessaria affinché il dipendente possa riprendere la sua attività. Se il controllo non viene effettuato, il lavoratore si può rifiutare di tornare al suo posto dopo la guarigione anche se il suo «principale» lo chiama? In altre parole, al rientro della malattia, rischia il licenziamento chi si rifiuta di lavorare perché non è stato sottoposto alla visita medica? Vediamo cosa ha stabilito la Suprema Corte.

Rientro dalla malattia: cos’è la sorveglianza sanitaria?

La sorveglianza sanitaria obbligatoria nell’ambito del lavoro ha lo scopo di valutare le condizioni psicofisiche del dipendente che opera in ambienti particolarmente a rischio. A tal fine, il datore deve nominare un medico competente, esperto in medicina del lavoro, che valuta e prescrive le indagini e gli esami pertinenti per accertare lo stato di salute del dipendente in base al tipo di mansione che svolge. Tra le visite che il medico competente deve disporre c’è quella che precede la ripresa del lavoro al rientro dalla malattia o dall’infortunio che ha costretto il dipendente a restare a casa per un periodo superiore a 60 giorni.

Effettuata la visita, il medico inserisce gli esiti in una cartella sanitaria e di rischio, regolarmente aggiornata, che deve contenere:

  • le condizioni psicofisiche del lavoratore;
  • gli eventuali livelli di esposizione professionale individuali;
  • l’idoneità o la non idoneità allo svolgimento di una mansione specifica.

Secondo quanto disposto dal Testo unico sulla salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, la sorveglianza sanitaria è obbligatoria nei seguenti casi:

  • rischio chimico;
  • rischio rumore e vibrazioni;
  • movimentazione manuale dei carichi;
  • agenti fisici pericolosi in genere (amianto, piombo, radiazioni);
  • videoterminalisti che trascorrono più di 20 ore settimanali al computer;
  • lavoro notturno;
  • lavoro in alta quota;
  • lavoro in ambienti confinati;
  • lavoro su impianti ad alta tensione;
  • rischio agenti cancerogeni e mutageni;
  • rischio agenti biologici.

In caso di mancato rispetto degli obblighi, sono previste delle sanzioni da 1.000 a 5.000 euro e l’arresto da due a quattro mesi.

Rientro dalla malattia: si può rifiutare senza visita?

Come abbiamo visto, la legge impone la visita medica di idoneità quando si rientra da una malattia o da un infortunio dopo un’assenza superiore a 60 giorni continuativi. Se questo controllo non avviene, il lavoratore può rifiutare di presentarsi al lavoro?

La risposta della Cassazione è: sì, ma fino ad un certo punto. Il dipendente può decidere di non rientrare finché non viene effettuata la visita, come forma di autotutela della propria salute. Ma non lo può fare se il datore, a seguito della fine del periodo di malattia, gli chiede di recarsi in azienda: in questo caso, può scattare il licenziamento [2].

Per la Suprema Corte, occorre distinguere tra la ripresa del lavoro, che non può avvenire prima della visita obbligatoria, e l’invito del datore a presentarsi sul luogo di lavoro, che non richiede il controllo preventivo sull’idoneità del dipendente. In pratica – si legge nella sentenza –, nel momento in cui il periodo di malattia è finito, il lavoratore non è più legittimato a rifiutare il rientro in azienda. Potrà, invece, rifiutarsi di riprendere l’attività finché il medico competente non certifica la sua idoneità psicofisica.

Ma allora, se può rifiutarsi di lavorare fino a quando non sarà stato visitato, che ci va a fare in ufficio o in fabbrica? Secondo la Cassazione, la richiesta al lavoratore di presentarsi sul luogo di lavoro è un momento distinto dall’assegnazione alle mansioni, poiché ha lo scopo di riattivare la concreta operatività del rapporto di lavoro.

Nel caso di cui si è occupata la Suprema Corte, è stato ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare con diritto al preavviso della dipendente di un operatore ferroviario che, dopo 12 mesi di aspettativa successivi ad un prolungato periodo di malattia, aveva ignorato l’invito del suo datore di presentarsi sul luogo di lavoro.


note

[1] D.lgs. n. 81/2008.

[2] Cass. sent. n. 22819/2021 del 12.08.2021.


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