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Mascherina e Green pass: cosa rischia il docente a scuola?

24 Agosto 2021 | Autore:
Mascherina e Green pass: cosa rischia il docente a scuola?

Il rifiuto del dispositivo di protezione giustifica il licenziamento disciplinare. Senza la certificazione si va incontro alla sospensione senza stipendio.

Rientro a scuola e ritorno scontato alle polemiche. Resterà l’obbligo della mascherina per gli alunni dai sei anni in su anche quando sono seduti al banco, non solo quando devono spostarsi in aula, nei corridoi, per andare in bagno. Soltanto nella scuola dell’infanzia i bambini saranno esonerati da questo vincolo che, però, dovrà essere rispettato dagli insegnanti. Già, gli insegnanti: cosa rischiano i docenti che non vorranno indossare la mascherina? Può sembrare impossibile che qualcuno se ne infischi di quest’obbligo, eppure non è così: recentemente, il Tribunale di Trento si è visto costretto ad affrontare la questione di fronte al caso di una maestra d’asilo che non voleva mettere il dispositivo di protezione individuale. Risultato: secondo il giudice, ci sono gli estremi per il licenziamento disciplinare. A meno che ci sia un certificato medico che attesti l’impossibilità di indossarlo per gravi motivi di salute. Il che, a cascata, pone un’altra questione: l’insegnante può, comunque, lavorare?

Analogo problema si pone con l’obbligo del Green pass. I docenti che hanno rifiutato il vaccino hanno due possibilità: restare a casa oppure farsi un tampone ogni 48 ore per ottenere la certificazione verde che consenta loro di recarsi al lavoro. La seconda sarebbe ammissibile, per quanto possa risultare scomoda per l’insegnante stesso. Verrebbe da dire che è un suo problema. La prima opzione, però, quella di restare a casa, sembra la meno praticabile, poiché costringerebbe i suoi alunni a seguire le lezioni a distanza. Cosa che il ministero dell’Istruzione vuole evitare ad ogni costo nel nuovo anno scolastico: di didattica a distanza ne abbiamo avuta fin troppa. Cosa rischia, dunque, il docente che si presenta a scuola senza il Green pass?

Partiamo proprio da qui. Va subito detto che la certificazione è obbligatoria solo per il personale scolastico, che si tratti di personale docente o ausiliario oppure di addetti alla mensa. Quindi, anche impiegati amministrativi, bidelli e chiunque lavori all’interno degli istituti deve esibire il Green pass all’ingresso. Solo il primo giorno o ci sarà un controllo quotidiano? Per ora, è previsto che la certificazione venga mostrata tutti i giorni, anche se si sta lavorando ad un accordo per semplificare le cose.

Chi non ha fatto il vaccino sarà, comunque, obbligato ad avere il Green pass. L’alternativa, come detto prima, è quella di fare un tampone ogni 48 ore, tampone che ogni docente o lavoratore della scuola dovrà pagare di tasca sua, a meno che si tratti di persone fragili che non possono essere vaccinate (dietro certificazione del medico, ovviamente). In quest’ultimo caso, si potrà fare il tampone gratuitamente. Ma dovrà essere fatto.

A proposito di controlli: a chi compete verificare che il personale sia munito di Green pass all’ingresso della scuola? Toccherà al preside o a un suo delegato. Nel caso in cui si trovino davanti una persona senza la certificazione verde, dovranno impedirle l’ingresso nella struttura. Ma non finisce qui: il docente o il lavoratore sprovvisto del Green pass dovrà provvedere a farlo entro quattro giorni. In caso contrario, verrà sospeso dall’incarico e resterà senza stipendio. Quindi, dal quinto giorno di assenza, subentrerà un supplente. Il Governo vuole salvare così capra e cavoli: chi non ha il Green pass rimarrà a casa e gli alunni non saranno costretti alla didattica a distanza.

E veniamo alla mascherina. Come accennato, è obbligatoria sia per il personale scolastico sia per gli alunni che hanno compiuto almeno sei anni e dovrà essere indossata sempre ed in ogni luogo della scuola, tranne, ovviamente, quando si è seduti al tavolo in mensa a mangiare. La scuola distribuirà anche quest’anno i dispositivi al personale e agli studenti. Per quanto riguarda i genitori, non potranno accedere alla struttura, se non in caso di assoluta necessità. Potranno accompagnare i figli fino alla porta e dovranno fare online i colloqui con gli insegnanti.

Cosa rischia il lavoratore che non indossa la mascherina? Secondo una recente sentenza del Tribunale di Trento (che trovi in fondo a questo articolo) [1], un tale rifiuto legittima il licenziamento disciplinare. Per il giudice, infatti, l’unico motivo per cui è possibile lavorare senza la mascherina è un problema di salute certificato dal medico curante. Senza tale attestato, non c’è alcuna ragione che giustifichi il rifiuto del dispositivo. Inoltre, sottolinea ancora il tribunale, già in passato, la Cassazione ha sostenuto che il persistente rifiuto da parte del lavoratore di indossare un dispositivo di protezione individuale obbligatorio giustifica la sanzione del licenziamento [2].

Il punto – spiega il giudice trentino – è che di fronte alla portata della pandemia in corso e alla normativa che ha imposto l’obbligo di indossare la mascherina a scuola, si ritiene che il rifiuto di tale precauzione sia grave da un punto di vista oggettivo (considerando la delicatezza delle mansioni) come anche da un punto di vista soggettivo, poiché vengono anteposte all’interesse generale le proprie convinzioni personali che non trovano fondamento in conoscenze scientifiche comprovate.


note

[1] Trib. Trento sent. dell’08.07.2021.

[2] Cass. sent. n. 25392/2012 e sent. n. 18615/2013.

Autore immagine: canva.com/

Trib. Trento, sez. lav., sent., 8 luglio 2021

Giudice Flaim

Motivazione

il licenziamento intimato alla ricorrente La ricorrente S.L. – premesso di aver lavorato alle dipendenze della ente convenuto PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, con mansioni di insegnante delle scuole dell’infanzia (da ultimo svolte presso la scuola dell’infanzia “Sant’Ilario” di Rovereto) – impugna il “licenziamento disciplinare senza preavviso” a lei intimato dall’ente convenuto con lettera del 19.11.2020 (doc. 7 fasc. ric.) in relazione all’addebito contestato con lettera del 5.10.2020 (doc. 5 fasc. ric.) del seguente tenore: “Con nota del 30.09.2020, la dirigente del Servizio attività educative per l’infanzia ha segnalato che Lei durante il servizio scolastico non indossa la mascherina protettiva per le vie aeree prevista dalle vigenti linee di indirizzo per la tutela della salute e sicurezza di lavoratori ed utenti. Il Suo rifiuto di indossarla è persistito nonostante i ripetuti inviti da parte della preposta e delle colleghe, ed anche a fronte di uno specifico ordine di servizio della Dirigente consegnatoLe il primo ottobre scorso, data dalla quale si è reso necessario sospenderLa dal servizio in via cautelare a causa di predetta condotta. Quanto sopra Le viene contestato quale infrazione disciplinare, ai sensi dell’art.5 – comma 3 dell’allegato E/2018 al CCPL di riferimento (norme disciplinari) …”. le domande proposte dalla ricorrente In ordine al licenziamento a lei intimato la ricorrente S.L. propone: 1) domanda di annullamento del licenziamento per difetto della giusta causa, in ragione dell’ “insussistenza del fatto materiale contestato”: chiede l’applicazione della tutela ex art. 3 co. 2 d.lgs. 4.3.2015, n. 23; 2) in subordine: domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento per difetto della giusta causa; chiede l’applicazione della tutela ex art. 3 co. 1 d.lgs. cit.. le ragioni della decisione a) E’ incontestato che la ricorrente nel mese di settembre 2020 e il giorno 1° ottobre 2020, durante lo svolgimento delle sue prestazioni di insegnante presso la scuola dell’infanzia “Sant’Ilario” di Rovereto”, non ha indossato la mascherina di protezione e ha espresso il rifiuto di ottemperare alla disposizione di servizio, emanata nei suoi confronti dalla dirigente del Servizio attività educative dell’infanzia in data 30.9.2020 e a lei consegnata in data 1.10.2020 (doc. 3 fasc. ric.), del seguente contenuto: “Sono venuta a conoscenza del fatto che Lei non indossa la mascherina durante il servizio scolastico come prescritto dalle Linee di indirizzo per la tutela della salute e sicurezza – Scuola dell’infanzia (3-6 anni) adottate dalla Provincia e come ampliamente sottolineato nelle disposizioni organizzative fornite dallo scrivente Servizio e dalla Coordinatrice pedagogica di riferimento. La Sua inadempienza mette innanzitutto a repentaglio la tutela e la sicurezza di bambini e dei colleghi, si registra da parte Sua una grave sottovalutazione della possibile situazione di rischio nella scuola, tale condotta risulta inoltre ulteriormente inadeguata considerato il rapporto quotidiano con le famiglie dei bambini frequentanti la scuola. Con la presente, Le chiedo – in adempimento a quanto prescritto dalle citate Linee di indirizzo – di indossare sempre durante il servizio scolastico la mascherina rispettando tutte le cautele prescritte. Le ricordo le responsabilità e i compiti che Le competono nei confronti dei bambini a Lei affidati e La invito in futuro a una condotta in servizio consona ai suoi doveri professionali”. b) Nel proprio atto introduttivo la ricorrente giustifica la condotta a lei addebitata in sede disciplinare (e posta a fondamento del licenziamento che qui impugna), adducendo che: “La superficialità con cui controparte ha emesso il licenziamento, si evince dalla mancata disamina dei gravi motivi di salute rappresentati dalla Signora S.L. Infatti, la ricorrente soffre di difficoltà respiratorie permanenti, a seguito di un grave sinistro stradale avvenuto il giorno 24.04.2007 che le ha provocato seri e permanenti problemi di salute, tra cui un trauma toracico e gravi contusioni polmonari bilaterali con falda di pneumotorace, il tutto appositamente dimostrato da ripetuti accertamenti clinici ed operazioni chirurgiche (All.2). Tali problemi respiratori sono aggravati dal persistente utilizzo della mascherina che, secondo studi medici attestati, provoca una serie di disturbi tra i quali l’aumento dell’insufficienza respiratoria o l’ipercapnia, ossia l’aumento dell’anidride carbonica nel sangue, o infine l’ipossia, ovvero carenza di ossigeno”. Orbene, in primo luogo occorre evidenziare che la ricorrente, a comprova di tali allegazioni, produce sub doc. 2 “certificazione medica” e offre prova testimoniale sulla seguente circostanza: “Nel mese di settembre, la ricorrente riprendeva normalmente il servizio scolastico in presenza, con l’impossibilità certificata di indossare la mascherina a causa delle problematiche di salute”. Tuttavia nella documentazione medica da lei prodotta non si rinviene alcun certificato rilasciato da sanitari che attesti la sua impossibilità per ragioni di salute a indossare la mascherina. Inoltre appare evidente che questa condizione, presupponendo una valutazione di ordine tecnico-scientifico, non può costituire oggetto di prova testimoniale. Di contro l’ente convenuto PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO ha prodotto sub doc. 5 nota redatta in data 27.8.2020 dal medico competente dott. Comper. secondo cui a decorrere dal settembre 2020 la ricorrente poteva svolgere la sua prestazione di insegnante a contatto con i bambini, compresi quelli portatori di bisogni educativi speciali, con la raccomandazione di “un uso regolare della mascherina del tipo FFp2 (senza valvola espiratoria) al posto della chirurgica”. La ricorrente non ha formulato alcuna specifica e motivata critica di natura tecnico-scientifica nei confronti di tale valutazione, neppure nel presente giudizio. Questa carenza appare vieppiù significativa se si considera che la valutazione espressa dal medico competente dott. C. appare pienamente conforme alla prescrizione, contenuta nelle “Linee di indirizzo per la tutela della salute e sicurezza – Scuole dell’infanzia (3-6 anni)” vers. 25 agosto 2020” (doc. 3) – in osservanza delle quali, a partire dal 1°settembre 2020, l’attività dei servizi socio educativi delle scuole dell’infanzia doveva essere svolta secondo quanto disposto dal presidente della Provincia Autonoma di Trento con ordinanza emanata il 25.8.2020 – laddove dispongono: “L’utilizzo della mascherina FFP2 senza valvola (vedi Allegato per modalità di utilizzo) … da parte del personale, è consigliabile in specifiche situazioni, che andranno valutate singolarmente caso per caso, ma che possono identificarsi in situazioni: … – quando l’utilizzo della stessa sia prescritto dal medico competente a singoli lavoratori da lui individuati. Il medico competente può valutarne in particolare la prescrizione per problemi di “fragilità” rilevante del lavoratore…”. In occasione della sua audizione nel corso del procedimento disciplinare, in data 4.11.2020 (doc. 6 fasc.), la ricorrente ha affermato: “La mia decisione di non indossare la mascherina non è disobbedienza le regole imposte, ma un’obiezione di coscienza. Ho deciso di non indossare la mascherina in quanto mi provoca gravi danni alla salute (vedi allegato 1)….”. Anche a prescindere dalla contraddittorietà dell’assunto (“obiezione di coscienza” e necessità di evitare “gravi danni alla salute” sottendono esigenze palesemente di segno diverso), l’allegato 1, che la ricorrente pone a fondamento del nesso tra l’utilizzo della mascherina e l’insorgenza di danni alla propria salute, non concerne una specifica e motivata valutazione concernente la sua persona, ma consiste nella riproduzione di alcuni interventi in sedi non precisate da parte di alcuni sanitari (tali dott. ..), i quali sostengono. su un piano generale e astratto, che l’utilizzo delle mascherine non solo non è utile a contrastare il contagio da Covid 19, ma risulta dannoso alla salute. Quindi parte ricorrente non ha allegato alcun elemento oggettivamente apprezzabile che giustifichi l’effettuazione nel presente giudizio di un accertamento tecnico riguardante specificamente la sua persona. Appare opportuno evidenziare, quanto al piano generale e astratto, che le già citate “Linee di indirizzo per la tutela della salute e sicurezza – Scuole dell’infanzia (3-6 anni)” vers. 25 agosto 2020” così dispongono: “DISPOSITIVI DI PREVENZIONE E PROTEZIONE Dispositivi di protezione individuale tutte le persone che entrano nei servizi socio-educativi, a partire da quando sono nelle loro pertinenze anche all’aperto, escluso i bambini frequentanti il servizio, devono indossare la mascherina. Per le mascherine è necessario informare il personale in particolare su quando vanno utilizzate dove sono messe a disposizione e dove smaltirle; i bambini non devono indossare la mascherina mentre la deve indossare tutto il personale e chiunque entri nella struttura, anche solo nelle sue pertinenze all’aperto… i servizi socio-educativi per la prima infanzia devono attrezzarsi e fornire i dispositivi al personale (mascherina e altro). deve essere predisposta un’informativa relativa ai dispositivi e alle misure igieniche, in particolare mascherine, guanti (vedi Allegato per modalità di utilizzo)”. Come già ricordato, l’osservanza di tali Linee guida durante l’esercizio dell’ attività dei servizi socio educativi delle scuole dell’infanzia è stata disposta dal presidente della Provincia Autonoma di Trento con ordinanza emanata il 25 agosto 2020; ciò alla luce del decreto con cui il Ministro dell’Istruzione ha adottato, sulla base delle valutazioni espresse nel verbale n. 97 del 30 luglio 2020 dal Comitato Tecnico Scientifico della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile, il “Documento di indirizzo e orientamento per la ripresa delle attività in presenza dei servizi educativi e delle scuole dell’infanzia” per l’anno scolastico 2020/2021” in data 3 agosto 2020, in cui (pag. 7) viene ribadito che il personale educativo è tenuto, nello svolgimento delle proprie attività, a indossare la mascherina e a seguito del quale è stato redatto dallo stesso Ministero dell’Istruzione in data 6 agosto 2020 il “Protocollo d’intesa per garantire l’avvio dell’anno scolastico nel rispetto delle regole di sicurezza per il contenimento della diffusione di Covid 19”, che prescrive: “E’ obbligatorio per chiunque entri negli ambienti scolastici, adottare precauzioni igieniche e l’utilizzo di mascherina”. I richiamati atti e provvedimenti amministrativi trovano un idoneo fondamento giuridico – oltre che in valutazioni formulate da un organo tecnico (qual è il Comitato Tecnico Scientifico della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile), che si esprime sulla base di studi riconosciuti dalla migliore letteratura scientifica (e non già di isolate opinioni personali non verificate, né verificabili) – anche nella volontà del legislatore, il quale all’art. 16 co.1 D.L. 17.3.2020, n. 18 conv. in L. 24.2.2020, n. 27 ha prescritto: “Per contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, sull’intero territorio nazionale, per tutti i lavoratori e i volontari, sanitari e no, che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all’articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall’articolo 5-bis, comma 3, del presente decreto….” (quest’ultima norma afferma che le mascherine costituiscono, “in coerenza con le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità e in conformità alle attuali evidenze scientifiche”, idoneo dispositivo di protezione. c) Sempre nel proprio atto introduttivo la ricorrente afferma di aver “esplicitato il proprio comportamento sulla base di specifiche motivazioni psicopedagogiche, in virtù della sua esperienza professionale”, alla luce di “studi scientifici”, secondo cui “l’adozione di dispostivi di sicurezza che celano gran parte del volto, come nel caso di specie le mascherine, comporta disturbi psicologici su bambini di età compresa tra 1 e 5 anni”. Richiama, in proposito, uno studio condotto da un gruppo del CIMeC e dall’Università di Trento, pubblicato su “Proceedings of the National Academy of Sciences”, l’opinione del neurobiologo britannico Semir Zeki e la “teoria dei neuroni a specchio”, rivelata per la prima volta negli anni ’90 da Giacomo Rizzolatti presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma. Si tratta, però, com’è evidente, di valutazioni espresse al di fuori di contesti caratterizzati da fenomeni pandemici quale quello attuale, dove assume un rilievo prioritario la tutela dell’integrità fisica, la quale si trova esposta a pregiudizi certi e gravissimi. c) La condotta, di cui la ricorrente si è resa responsabile, integra una giusta causa di licenziamento. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (ex multis, di recente, Cass. 5.7.2019, n. 18195; Cass. 25.10.2018, n. 27082; Cass. 7.11.2018, n. 28492; Cass. 28.9.2018, n. 23605;) la giusta causa si configura quale lesione grave e irreparabile dell’elemento fiduciario, che sta alla base del rapporto di lavoro, costituendo presupposto fondamentale della collaborazione tra datore di lavoro e lavoratore; ne deriva la necessità di accertare se la condotta addebitata sia in grado di ingenerare il legittimo dubbio circa la futura correttezza degli adempimenti da parte del prestatore. A tal fine occorre valutare il comportamento del prestatore non solo nel suo contenuto oggettivo (ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate), ma anche nella sua portata soggettiva (vale a dire con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all’intensità dell’elemento volitivo dell’agente). Venendo al caso in esame, quanto al profilo oggettivo, si è già ricordato che le mascherine sono considerate dal legislatore un dispositivo di protezione individuale (art. 16 co.1 D.L. 18/2020). Ad avviso della Suprema Corte (Cass. 12.11.2013, n. 25392; Cass. 5.8.2013, n. 18615;) il persistente rifiuto da parte del lavoratore di utilizzare i dispositivi di protezione individuale giustifica il licenziamento intimato all’inadempiente. In proposito occorre ricordare che l’art. 20 co.1 d.lgs. 9.4.2008, n. 81 prescrive: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”; in particolare il successivo co.2 lett. d) impone ai lavoratori “utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione”. Inoltre il datore di lavoro è chiamato a rispondere non solo per l’omessa adozione delle misure di prevenzione dei rischi presenti nel luogo di lavoro, ma anche quando manca di vigilare che di tali misure i lavoratori abbiano fatto effettivamente uso (ex multis Cass. 9.6.2017, n. 14468; Cass.4.2.2016, n. 2209; Cass. 13.10.2015, n. 20533;). Quanto al profilo soggettivo, non può non essere biasimata la condotta della ricorrente, la quale ha anteposto all’interesse generale (oltre che a quelli di utenti e colleghi) proprie convinzioni personali che non trovano fondamento (contrariamente alle prescrizioni che impongono l’utilizzo della mascherina sui luoghi di lavoro, specialmente se chiusi) in conoscenze riconosciute dalla comunità scientifica perché sottoposte a severe verifiche. Dall’accertamento della sussistenza di una giusta causa discende anche il rigetto della domanda risarcitoria. In definitiva le domande proposte dalla ricorrente devono essere rigettate. Le spese non possono che seguire la soccombenza, stante il rigore del novellato art. 92 cod. proc.civ..

P.Q.M.

Il tribunale ordinario di Trento – sezione per le controversie di lavoro, in persona del giudice istruttore, in funzione di giudice unico, dott. Giorgio Flaim, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione rigettata, così decide: 1. Rigetta le domande proposte dalla ricorrente S.L. nei confronti della PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO. 2. Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’ente convenuto, delle spese di giudizio, che liquida nella somma complessiva di € 2.000,00, maggiorata del 15% per spese forfettarie ex art. 2 co.2 d.m. 10.3.2014, n. 55, oltre ad IVA e CNPA


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9 Commenti

  1. Gli insegnanti devono assolutamente essere vaccinati. Non possono permettersi di non avere una protezione dal Covid perché hanno a che fare quotidianamente con bambini, altri docenti e personale scolastico. Se vogliamo ripartire in sicurezza ed evitare la dad è fondamentale che tutti abbiano completato il ciclo vaccinale e adottino le solite regole di sicurezza (uso di mascherine, distanziamento e igienizzazione).

  2. Io non mando mio figlio a scuola se non sono sicura che tutto il personale scolastico è vaccinato e se non è tutto perfettamente igienizzato. La scuola è un luogo in cui i nostri figli devono studiare e socializzare in sicurezza, non può essere un luogo di trasmissione del Covid. Quindi, sono perfettamente d’accordo sulle sanzioni inflitte ai docenti che non rispettano tutte le misure di sicurezza e le linee guida dettate dal ministero della Salute

    1. però va a mangiare al ristorante dove cuochi e camerieri non hanno l’obbligo del GP … non è molto coerente.. se ci pensa!

  3. Molti insegnanti che conosco si sono vaccinati sin da quando è stata avviata la campagna vaccinale perché rientravano tra le categorie che avevano diritto in via prioritaria al vaccino. E nonostante la titubanza iniziale, ricordiamo le questioni relative ad Astrazeneca, si sono vaccinati per una protezione verso loro stessi e per dovere civico perché hanno a che fare con bambini, genitori e altre persone e quindi il rischio di infettarsi e contagiare è molto alto

  4. Possibile che ci siano ancora docenti non vaccinati? Ma si rendono conto che la scuola ricomincia a breve? Come mai non si sono vaccinati prima? Io credo che questi debbano essere davvero sospesi se si permettono di accedere ai locali scolastici senza vaccinazione e senza Green pass. Se non fermiamo i contagi con la vaccinazione, rischiamo di ricadere nell’incubo dello scorso autunno. Non penso che qualcuno sia stato contento della didattica a distanza. O meglio, forse, gli insegnanti che sono abituati a perdere tempo in classe hanno trovato comodo non spostarsi dal divano o dal letto per recarsi a scuola

    1. La vaccinazione non protegge in alcun modo dal contagio… il contagio viene abbattuto dall’uso della mascherina! Dovrebbe ormai essere chiaro questo concetto, no ?

    2. Fino a quando non ci sarà un obbligo di legge ognuno è libero di iniettarsi nel proprio corpo ciò che vuole, resta il punto che, secondo le normative sulla sicurezza sul lavoro, è OBBLIGO del datore di lavoro fornire GRATUITAMENTE ai lavoratori tutti i dispositivi di protezione(mascherine, gel, guanti) e prevenzione(distanziamento, vaccini, tamponi, organizzazione interna)… Mi sembra che far pagare i tamponi sia illegale e discriminatorio.

  5. Ma vi pare una soluzione intelligente fare il tampone ogni 48 ore? A meno che uno non voglia spendere un quarto di stipendio a tamponi, direi che l’opzione più sensata, anche per una protezione e tranquillità personale, sia farsi questo benedetto vaccino. Ora, Pfizer ha anche avuto l’approvazione della Food and Drug Administration. Quindi, andate a vaccinarvi e non cacciate fuori altre scuse!

  6. Essere vaccinati non elimina il rischio di contagio. Riduce senz’altro le conseguenze ed i sintomi, magari si evita di finire in terapia intensiva, ma resta il pericolo di infettarsi e di trasmettere il Covid alle altre persone con cui si entra in contatto. Ecco perché c’è ancora l’obbligo di indossare la mascherina, nonostante la vaccinazione. E gli insegnanti dovrebbero dare il buon esempio, anche tra gli alunni. Ovviamente, l’inosservanza delle regole può portare a delle sanzioni e in questo caso possono essere molto gravi. Quindi, meglio mettersi l’anima in pace e continuare a rispettare le linee guida per evitare la diffusione del virus

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