Coppie gay: quando possono registrare i figli in Italia?


La Cassazione torna sull’argomento e ribadisce: sì al riconoscimento da parte del genitore intenzionale solo se il bambino nasce all’estero.
Una coppia omosessuale, legata da unione civile, che ha avuto un bambino grazie alla procreazione assistita, può registrare il figlio in Italia? Dipende da dov’è nato. La Cassazione torna su questa delicata questione e riconosce la possibilità di effettuare la trascrizione solo se il nascituro vede la luce all’estero e non nel nostro Paese.
La Suprema Corte lo dice non una ma tre volte, con altrettante sentenze [1]. In pratica, si legge nei pronunciamenti della Cassazione, la procreazione assistita eterologa portata a termine all’estero non è un ostacolo al riconoscimento del rapporto di filiazione tra il nascituro ed un cittadino italiano che abbia dato il suo consenso a questa tecnica di concepimento, nonostante sia vietata nel territorio nazionale. In parole molto semplici: se il bambino viene concepito e partorito in Italia, non potrà essere registrato nello stato civile della coppia omosessuale. Se, invece, il tutto avviene all’estero, la trascrizione sarà perfettamente legale.
I giudici di legittimità lo spiegano così: i «paletti» messi dalla legge [2] «costituiscono espressione non già di principi di ordine pubblico internazionale, ma del margine di apprezzamento di cui il legislatore dispone nella definizione dei requisiti di accesso alle predette pratiche, la cui individuazione, avente portata vincolante nell’ordinamento interno, non è di ostacolo alla produzione di effetti da parte di atti o provvedimenti validamente formati nell’ambito di ordinamenti stranieri e disciplinati dalle relative disposizioni». In sostanza, quello che non si può fare in Italia è possibile farlo all’estero e può (anzi, deve) essere riconosciuto nel nostro Paese.
Resta, comunque, vietata la maternità surrogata perché, come chiarisce la Cassazione, si tratta di un vincolo di ordine pubblico «posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore».
Cosa si intende, in questo caso, per «principio di ordine pubblico»? Significa che un provvedimento di un altro Stato o un atto compiuto all’estero è compatibile con l’ordinamento italiano a seconda della valutazione che si fa «dei princìpi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, nonché del modo in cui detti princìpi si sono incarnati nella disciplina ordinaria» [3].
Per applicare questo concetto al divieto di maternità surrogata, la Cassazione osserva che tale limitazione si configura «come l’anello necessario di congiunzione tra la disciplina della procreazione medicalmente assistita e quella generale della filiazione, segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di auto-responsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica, e torna ad operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell’identità genetica e biologica».
Per capire meglio il pronunciamento della Suprema Corte, vale la pena riportare come esempio il caso a cui si riferisce proprio la prima delle sentenze in commento. Riguarda un bambino nato all’estero da una donna britannica grazie alla procreazione assistita. In linea di principio, dunque, il nascituro è da considerare cittadino straniero. Il rapporto di filiazione con il genitore intenzionale (in questo caso, la compagna della neo-mamma) che risulta dall’atto di nascita è subordinato all’eventuale compatibilità con i princìpi di ordine pubblico internazionale. Per i giudici «non c’è alcuna contraddizione tra il riconoscimento del rapporto di filiazione risultante dall’atto di nascita formato all’estero e l’esclusione di quello derivante dal riconoscimento effettuato in Italia, la cui efficacia dev’essere valutata alla stregua della disciplina vigente nel nostro ordinamento». Per questo motivo, la Cassazione non ritiene applicabile il divieto di trascrizione della nascita nel nostro Paese.
Diverso il caso della coppia omosessuale che ha un bambino in Italia con la procreazione assistita di tipo eterologo, cioè senza l’apporto biologico di uno dei partner, anche se quest’ultimo ha prestato il proprio consenso all’intervento: in questo caso la legge esclude qualsiasi forma di genitorialità da parte di persone dello stesso sesso svincolata da un rapporto biologico con gli stessi strumenti previsti per il bambino nato nel matrimonio o riconosciuto.
A sostenere la tesi della Suprema Corte è anche la Consulta, con tre concetti che non lasciano spazio ad alcun dubbio. Dice la Corte costituzionale:
- il fatto che una coppia omosessuale non possa avere fisiologicamente un figlio non è equiparabile all’infertilità di una coppia eterosessuale;
- la Costituzione non vincola la nozione di famiglia alla presenza di un figlio: la famiglia può essere tale anche senza procreare;
- la legge [4] non consente la filiazione alle coppie gay, anche se legate da unione civile, sia attraverso l’adozione sia tramite le tecniche di fecondazione assistita.
Resta – conclude la Cassazione – il fatto che l’interesse prevalente del minore «deve essere bilanciato con altri interessi in gioco» e che, pertanto, è legittima l’indicazione del genitore intenzionale nell’atto di nascita del minore, al quale dovrà essere assicurata la tutela del suo interesse grazie ad «un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato, allorché ne sia stata accertata in concreto la corrispondenza agli interessi del bambino».
note
[1] Cass. sent. n. 23319/2021, n. 23320/2021 e n. 23321/2021.
[2] Legge n. 40/2004.
[3] Legge n. 218/1995.
[4] Legge n. 76/2016.