Illegittimo il vincolo di destinazione puro: non tutela i creditori


Necessaria sempre la presenza di un altro contratto o atto a cui il vincolo di destinazione deve collegarsi, per evitare che esso si risolva in un atto in frode ai creditori.
Il nuovo vincolo di destinazione previsto dal Codice civile [1] è – come abbiamo già spiegato nelle pagine di questo portale – un sistema volto a sottrarre un determinato immobile (o mobile registrato) dalle aggressioni dei creditori per destinarlo, invece, al soddisfacimento di un interesse “meritevole di tutela” del titolare del bene stesso.
Tuttavia tale strumento non deve risolversi in un facile espediente per evitare di pagare i propri debiti. Proprio per arginare le frodi ai creditori, una recente ordinanza del tribunale di Reggio Emilia [2] ha precisato che il vincolo di destinazione su determinati beni del debitore non può essere istituito se non è collegato a un altro “negozio giuridico” dotato di autonoma causa. Il che, in parole più semplici, significa che, per rendere lecito il vincolo, è necessario che esso sia giustificato da autonome ragioni; al contrario, è inammissibile il “negozio destinatorio puro” in quanto contrario alla responsabilità patrimoniale del debitore.
La vicenda
Un padre aveva disposto un vincolo di destinazione su un proprio bene a favore della figlia fino al quarantesimo anno di quest’ultima. Il Tribunale, però, ha dichiarato tale vincolo inefficace nei confronti della banca e quindi ha ritenuto pignorabile il bene “vincolato”.
Secondo i giudici, la norma che consente il vincolo di destinazione va interpretata in modo restrittivo, per non svuotare di significato il principio giuridico secondo cui “ogni soggetto risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri” [3].
In base a questa interpretazione, dunque, il vincolo di destinazione non può essere istituito dal titolare del bene con un atto di destinazione “puro”: affinché il vincolo “regga” occorre che esso sia in qualche misura collegato a un qualche altro contratto o atto (ad esempio: una donazione da padre a figlio, con contestuale istituzione del vincolo sul bene entrato per donazione nel patrimonio di quest’ultimo), dotato di una propria autonoma giustificazione.
Le argomentazioni del Tribunale (forse influenzato dal maldestro tentativo di proteggere il patrimonio dai creditori) appaiono, però, poco convincenti. Il codice civile [1], infatti, non dice nulla a riguardo: la norma richiede solo che vi siano “interessi meritevoli di tutela”: se essi sussistono, il vincolo di destinazione può essere opponibile ai terzi.
Al contrario, il vincolo soccombe alle pretese dei creditori – che pertanto potranno pignorare ugualmente il bene “vincolato” – se gli interessi meritevoli di tutela non sussistono; ma, se sussistono, la consistenza del vincolo non può essere messa in forse dall’assenza di presupposti che la legge non richiede.
In ogni caso, ricordiamo che anche il vincolo di destinazione è suscettibile di azione revocatoria nei primi cinque anni dall’istituzione.
note
[1] Art. 2645-ter cod. civ.
[2] Trib. Reggio Emilia, ord. del 12.05.2014.
[3] Di cui all’articolo 2740 cod. civ.
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