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Dichiarare il falso ora conviene

6 Ottobre 2021 | Autore:
Dichiarare il falso ora conviene

Cambia la disciplina delle false dichiarazioni a una pubblica amministrazione: ora sono salvi gli effetti economici a favore dei minori e delle famiglie povere.

Nell’immaginario collettivo, il “furbetto” riesce sempre a farla franca. Ma ora la legge gli tende una mano. Difatti, a seguito di una recente modifica legislativa, chi fornirà false attestazioni alla Pubblica Amministrazione solo per ottenere bonus, sussidi o aiuti economici, e verrà poi scoperto, non dovrà restituire neanche un euro allo Stato. Non almeno quando ci sono di mezzo minori o situazioni familiari e sociali di particolare disagio. Insomma, da oggi dichiarare il falso conviene. 

Sembra paradossale ma è proprio così. A prevederlo è il cosiddetto decreto rilancio ossia il D.L. n. 34 del 2020. Ecco cosa è cambiato.

Come noto, gran parte dei benefici socio-assistenziali sono legati al possesso di determinati requisiti economici o familiari richiesti dalla legge o dai regolamenti comunali. È il cittadino stesso a dover autocertificare, dinanzi alla Pubblica Amministrazione, in sede di presentazione della relativa istanza, il possesso di tali requisiti. In che modo? Di solito, compilando un modulo o rilasciando una dichiarazione. In questo modo, si ottengono quasi subito i soldi o la prestazione e, successivamente, l’ente pubblico fa controlli sulle dichiarazioni sostitutive. 

Se si scoprono false dichiarazioni, il beneficiario delle prestazioni subisce due conseguenze: una sanzione penale (per il reato falso in atto pubblico) e la decadenza dai benefici, con il conseguente obbligo di restituire alla Pubblica Amministrazione tutto ciò che è stato indebitamente percepito.

Tutto ciò fino allo scorso mese di maggio 2020. Ora, però, la legge è cambiata. Il decreto rilancio stabilisce che, anche in caso di falsa dichiarazione, restano salvi gli interventi, anche economici, in favore dei minori e per le situazioni familiari e sociali di particolare disagio.

In buona sostanza, detto in termini ancora più semplici, la riforma stabilisce che, nonostante le dichiarazioni false rilasciate alla Pubblica Amministrazione o le false attestazioni ed autocertificazioni, il cittadino può trattenere i soldi ottenuti con l’inganno e la frode: non deve cioè né restituirli né versare un risarcimento allo Stato. 

Ciò come anticipato succede solo in due casi. Il primo caso è quando l’intervento è rivolto in favore di minori. Il secondo è quando si è in presenza di situazioni familiari e sociali di particolare disagio.

Ebbene, se la presenza di minori è una circostanza oggettivamente valutabile essendo sufficiente una verifica anagrafica sul beneficiario, la situazione di disagio familiare o sociale è invece elastica e soggetta alla libera interpretazione, non essendoci alcuna definizione vincolante di tale concetto. 

Peraltro tali profili di disagio, per la loro vaghezza, comprendono, se non tutte, quasi tutte le possibili situazioni di coloro che si rivolgono ai servizi sociali comunali. È inverosimile chiedere assistenza se non si ha bisogno: inverosimile come un milionario in fila all’Inps per chiedere il reddito di cittadinanza.

L’effetto diretto di tale riforma diventa, di fatto, l’inutilità di qualsiasi regolamentazione dei requisiti per ottenere una prestazione sociale sia economica sia di altra natura. 

Per rendere la cosa più chiara e comprendere quanto paradossale sia, facciamo un esempio. Immaginiamo che l’Inps contesti a una persona di aver sottoscritto dichiarazioni non vere, in conseguenza delle quali è stato erogato un sussidio a cui questa non avrebbe avuto diritto. Ad esempio, viene contestato all’utente di avere dichiarato di non avere soldi in banca o altri beni quando invece si scopre il contrario. Il cittadino, a questo punto, invitato a restituire i soldi percepiti, potrà invece validamente difendersi sostenendo di trovarsi in una posizione di disagio familiare o sociale. In questo modo, potrà tenersi tutti i soldi che la Pubblica Amministrazione gli ha erogato sino ad allora. 

In sostanza, è come se tutte le regole, comprese quelle sull’Isee, che prevedono requisiti per accedere a una prestazione sociale abbiano una deroga a favore di soggetti in situazioni particolarmente disagiate.



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1 Commento

  1. Uh…bene a sapersi. Ho fatto bene a licenziarmi da dipendente pubblico /che lavorava) in quanto non volevo più essere al servizio di farabutti di ogni genere che hanno avvocati, assistenti sociali, psicologi, sedicenti ONLUS in loro difesa. Adesso anche una legge ad hoc. Ero e sono sempre più schifato da questo stato. Vorrà dire che mi adeguerò.

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