La pausa dal lavoro vale come riposo?


Reperibilità: la pausa non è riposo se il dipendente può essere richiamato in servizio.
Cosa succede se il datore di lavoro concede al dipendente una breve pausa durante il lavoro ma con la possibilità di richiamarlo in qualsiasi momento per riprendere il servizio? La questione è tutt’altro che nuova e sul punto si è già espressa la giurisprudenza. Di recente, la Corte di Giustizia UE [1] è intervenuta nuovamente sull’argomento rispondendo a un quesito tanto banale quanto complesso: la pausa dal lavoro vale come riposo?
Partiamo da ciò che dice la normativa comunitaria. Una direttiva CE del 2003 [2] immediatamente applicabile in tutti gli Stati membri, stabilisce che nell’orario di lavoro rientrano tutti i momenti in cui il lavoratore rimane a disposizione del datore. Perciò, se durante la pausa il dipendente è obbligato alla reperibilità, tanto da non potersi allontanare troppo dal luogo ove riprendere il servizio, è evidente che non sta godendo di un effettivo riposo, quel riposo cioè che consente un pieno recupero delle energie psicofisiche. E ciò per il semplice fatto che non è libero di fare ciò che vuole, dovendosi tenere a disposizione e immediatamente pronto per tornare in azienda.
Pertanto, tutto questo periodo deve essere qualificato come orario di lavoro.
Tali regole sono state ribadite anche oggi dalla Corte Europea. La pausa concessa al dipendente, che non gli permette di gestire il proprio tempo a proprio piacimento, perché tenuto a effettuare un eventuale intervento rapido, rientra nell’orario di lavoro e non può essere qualificata come periodo di riposo.
Maggiori approfondimenti sul tema nell’articolo Durante le pause sul lavoro c’è obbligo di reperibilità?
La sentenza parte da un contenzioso sollevato da un vigile del fuoco che aveva diritto, nell’orario di lavoro giornaliero, a due pause per i pasti e un riposo di 30 minuti. Il vigile però era costretto ad essere reperibile anche durante le pause e pronto a salire sul veicolo d’intervento entro due minuti. Tuttavia, le pause erano conteggiate nell’orario di lavoro solo se interrotte da una partenza per un intervento, mentre le altre non erano retribuite.
La Corte Ue ha innanzitutto stabilito se il periodo di pausa va considerato come normale orario di lavoro o come periodo di riposo. Come anticipato, in base alla direttiva, nell’orario di lavoro rientrano tutti i momenti in cui il lavoratore è a disposizione del datore, che deve assicurare pause ogni sei ore. Se un lavoratore, mentre è in pausa, non è sostituito da un altro dipendente e se è tenuto a portare con sé un ricevitore per essere reperibile ed eventualmente interrompere la pausa per un intervento, è evidente che resta a disposizione dell’azienda.
Il periodo di guardia, in cui il lavoratore è a disposizione del datore, non è riposo.
Ciò vale anche se il dipendente non è tenuto a restare sul luogo di lavoro ma comunque non si può allontanare eccessivamente da esso: tutti i vincoli imposti alla pausa, tali da pregiudicare in modo oggettivo e assai significativo la facoltà di gestire liberamente il proprio riposo, fanno sì che il tempo in questione debba rientrare nell’orario di lavoro. È questo ad esempio il caso in cui i periodi di pausa siano occasionali e imprevedibili o quando il termine per riprendere l’attività professionale è tale da limitare la gestione del proprio tempo.
note
[1] C. Giust. UE causa C-107/19
[2] Direttiva 2003/88 recepita in Italia con Dlgs 66/2003, modificato dal 213/2004.