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Ricondividere foto di minore nuda: cosa si rischia?

7 Ottobre 2021 | Autore:
Ricondividere foto di minore nuda: cosa si rischia?

Minore diffonde foto hot di un’amica senza il suo consenso: è reato di pornografia minorile?

Quali pene scattano nei confronti di un minore che diffonde foto di un’amica nuda anche se inizialmente ottenute con il suo consenso? E quali invece per chi, avendole ricevute da un proprio contatto (ad esempio, da un amico tramite WhatsApp), le “ricondivide” a sua volta contribuendo così alla divulgazione del materiale pedopornografico? Quest’ultimo è responsabile come il primo anche se le sanzioni sono inferiori (non di molto). 

Non è tutto. Ad andarci di mezzo sono sia i maggiorenni che i minorenni: la legge, da 14 anni in su, fa poche distinzioni.

Per comprendere cosa si rischia a ricondividere foto di minore nuda cerchiamo di partire da alcune premesse.

Minorenne è responsabile penalmente per la diffusione di foto intime?

Non perché si è ancora minorenni non si è imputabili penalmente. La legge infatti prevede che chi ha compiuto 14 anni risponde dei reati da lui commessi (subendone anche le relative sanzioni) ed è pertanto passibile di querela o denuncia. 

L’unica sostanziale differenza rispetto a chi è maggiorenne, a parte qualche beneficio in sede di applicazione della pena, è la competenza del Tribunale dei minorenni. 

In buona sostanza, basta avere 14 anni per poter essere processati penalmente.

Si tenga però presente che, se le sanzioni penali ricadono sul colpevole, anche se minorenne, quelle civili ricadono invece solo sui suoi genitori. Sono il padre e la madre dell’imputato, se non ha ancora compiuto 18 anni, a pagare il risarcimento dei danni alla vittima.

Tale risarcimento si aggiunge alla condanna penale che sconterà però il reo.

Chiedere foto a minorenne è reato?

Con riferimento alla condotta del minore che chiede e poi diffonde tramite WhatsApp foto di un’altra minorenne nuda, l’articolo 600-ter del Codice penale prevede il reato di pornografia minorile. L’illecito in commento scatta a carico di chi utilizza minori di 18 anni per produrre materiale pornografico. Vi rientra anche la condotta di chi induce una minorenne a inviargli foto di lei nuda, magari rassicurandola del fatto che le stesse rimarranno private mentre poi le divulga in una chat o in qualsiasi altro modo. 

La pena è la reclusione da 6 a 12 mesi e la multa da 24mila a 240mila euro.

La Cassazione ha di recente ribadito che il reato di cessione di materiale pedopornografico (eseguita con qualsiasi mezzo, anche telematico) è configurabile anche quando il materiale sia stato realizzato dallo stesso minore e poi inviato al soggetto colpevole della sua diffusione. Pertanto, per l’integrazione del reato di cui all’art. 600-ter, comma 3, Cod. pen. non rileva la modalità della produzione del materiale pedopornografico, sia essa auto o etero produzione.

Chi riceve foto di minore nuda o le ricondivide commette reato?

Al pari di chi si procura le foto di minorenne nuda, è responsabile anche chi le riceve e, a sua volta, le ricondivide. 

Qui le condotte che vengono in evidenza sono due:

  • chi riceve le foto di un minorenne nudo e le salva nel proprio telefonino o altro dispositivo, risponde del reato di detenzione di materiale pedopornografico anche se poi non lo diffonde a terzi. Per andare esenti da qualsiasi imputazione penale è bene cancellare immediatamente le foto ricevute. Chi riceve le foto, senza averle chieste e le elimina dal proprio smartphone non rischia alcuna condanna;
  • chi riceve le foto di un minorenne nudo e le ricondivide con altri commette lo stesso reato di chi tali foto ha chiesto per primo: quello di pornografia minorile. In questo caso, la reclusione va da 1 a 5 anni e la multa da 2.582 a 51.645 euro. 

note

[1] Cass. sent. n. 29579/2021.

Autore immagine: depositphotos.com

Cas. pen., sez. III, ud. 20 maggio 2021 (dep. 28 luglio 2021), n. 29579

Presidente Ramacci – Relatore Di Stati

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 14/09/2020, la Corte di appello, sez. minorenni, di Taranto, in riforma della sentenza assolutoria resa dal Tribunale per i minorenni di Taranto, dichiarava L.A. responsabile del reato di cui all’art. 600 ter c.p., (perché dopo aver indotto R.G. a inviargli alcune foto nelle quali era ritratta nuda, rassicurandola sul fatto che sarebbero rimaste nella sua disponibilità, divulgava tali foto attraverso WhatsApp, fatto accertato alla fine di ottobre 2015) e, riconosciuta la diminuente della minore età ed applicate le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, con pena sospesa. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione L.A. , a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati. Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 603 c.p.p., comma 3 bis, nonché dell’art. 178 c.p.p., lett. c), e art. 24 Cost.. Lamenta che all’udienza del 22.11.2019 la Corte di appello disponeva la rinnovazione della istruttoria dibattimentale mediante il riascolto di R.G. , G.G. e G.R. , senza indicare i punti su cui dovesse vertere l’esame e senza consentire una più ampia e completa rinnovazione istruttoria con conseguente nullità di ordine generale prevista dall’art. 178 c.p.p., lett. c). Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 600 ter c.p., comma 3, lamentando che la Corte territoriale aveva ritenuto configurabile il reato contestato pur essendo comprovato che il materiale pedopornografico era stato autoprodotto dalla minore e non da un terzo soggetto, applicando un principio di diritto affermato con riferimento alla diversa ipotesi, non oggetto di contestazione, di cui all’art. 600 ter c.p., comma 4. Con il terzo motivo deduce errata applicazione dell’art. 600 ter c.p., comma 3, in luogo dell’art. 600 ter c.p., comma 4, lamentando che non vi era prova della divulgazione a più persone delle foto di cui all’imputazione e che, quindi, il reato contestato andava derubricato nella fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p., comma 4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva espresso una motivazione carente ed inadeguata in relazione ai profili della attendibilità intrinseca ed estrinseca della persona offesa ed alla descrizione della condotta attribuibile all’imputato. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il ricorrente, infondatamente, lamenta una lesione del diritto di difesa per una limitazione che genericamente assume di aver subito nell’espletamento dell’esame testimoniale, lesione che non è riscontrabile dalla lettura dal verbale dattiloscritto di audizione in secondo grado della persona offesa e delle testi G.G. e G.R. . Va ricordato che la generica doglianza sulle modalità di conduzione del dibattimento da parte del presidente del collegio non è deducibile in sede di impugnazione, potendo assumere rilevanza solo se abbia determinato una limitazione del contraddittorio per effetto dell’irrituale compressione dello svolgimento dell’esame e del controesame di una prova testimoniale, e a condizione che tale questione sia stata eccepita dalla parte interessata immediatamente dopo il compimento dell’atto Sez.3, n. 10085 del 21/11/2019, dep.16/03/2020, Rv.279063 – 01). Nella specie, nulla risulta eccepito dal ricorrente in proposito (cfr. verbali di udienza del 10.02.2020 e del 14.09.2020) e ne consegue, pertanto, anche l’inammissibilità del motivo proposto. 2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Va condivisa la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, superando il precedente diverso orientamento, con riferimento all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 600 ter c.p., comma 4, ha affermato che il reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedo-pornografico è configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore (Sez.3, n. 5522 del 21/11/2019, dep. 12/02/2020, Rv.278091 – 02). In motivazione, è stato ribadito il principio di diritto della necessaria alterità tra l’agente autore di una delle condotte di cui all’art. 600 ter, comma 1, ed il minore, ma si è precisato che le condotte di cui ai successivi commi, 2, 3 e 4, devono essere lette alla luce della nozione di pornografia minorile introdotta nel 2012 (in virtù della L. 1 ottobre 2012, n. 172, art. 4, comma 1, lett. h) n2), è stato aggiunto nell’art. 600 ter c.p., il comma 7, che recita: Ai fini del presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque, mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali); tali commi, nel riferirsi al materiale pornografico di cui al comma 1 non richiamano l’intera condotta delittuosa ivi menzionata, ma si riferiscono all’oggetto materiale del reato, evocando l’elemento sul quale incide la condotta criminosa e che forma la materia su cui cade l’attività fisica del reo: il materiale pedopornografico prodotto e non il reato di produzione di materiale pedopornografico. Ai fini dell’incriminazione e, quindi, del fatto tipizzato dai commi, secondo, terzo e quarto dell’art. 600 ter c.p., non rileva la modalità della produzione, auto o etero produzione. Non vi sono ragioni per discostarsi da tale pronuncia, le cui argomentazioni il Collegio condivide e ribadisce. Va, quindi, affermato che, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 3 – distribuzione, divulgazione, diffusione o publicizzazione, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, di materiale pedopornografico – non rileva la modalità della produzione del materiale pedopornografico, sia essa auto o etero produzione. 3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono inammissibili. La Corte territoriale, con argomentazioni congrue e logiche, all’esito della rinnovazione istruttoria, ha espresso una valutazione di attendibilità della minore, evidenziando la univoca e precisa ricostruzione della vicenda effettuata sia in sede di incidente probatorio che nel corso della deposizione resa in grado di appello nonché i riscontri esterni al narrato accusatorio costituiti dalle dichiarazioni testimoniali di G.G. e G.R. ; ha, quindi, spiegato che la condotta di divulgazione contestata si era concretata nella circolazione delle foto della minore (due delle quali la ritraevano nuda, una con gli slip e un’altra con un costume da bagno) tra i ragazzi del paese nonché alla madre ed alla zia della persona offesa. Il ricorrente, prospettando deduzioni del tutto generiche, che non si confrontano specificamente con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata (confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 c.p.p., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto di ricorso, cfr Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Rv. 243838; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Rv. 244181), si dilunga in considerazioni in fatto tese ad una rivalutazione del materiale probatorio, preclusa in sede di legittimità. Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali. Nei motivi in esame, infatti, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Pi ras, Rv. 235508). Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n. 27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148). 4. Consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non fa seguito la condanna alle spese nè al versamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, in ragione del disposto di cui al D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 272, art. 29, (sez. unite, n. 15 del 31.5.2000, Radulovic, Rv. 216704; Sez. 1, n. 48166 del 26/11/2008, Rv. 242438; Sez. 1, n. 16674 del 10/12/2010, dep. 29/04/2011, non massimata; Sez. 1, n. 1898 del 30/06/2011, dep. 18/01/2012, I., Rv. 252179, non massimata sul punto; Sez. 3,n. 5754 del 16/01/2014,Rv.259134; Sez.1, n. 26870 del 03/10/2014, dep.25/06/2015, Rv.264025).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.


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