Lavoratore in malattia: può fare attività fisica?


Sport, passeggiate, corsa, nuoto, calcetto, lavori domestici pesanti: il dipendente che compie sforzi durante l’assenza dal lavoro può essere licenziato?
Il letto o il divano di casa non sono sempre gli ambienti adatti per trascorrere un periodo di malattia, specialmente se si tratta di una cosa leggera e passeggera. Per chi è abituato a non stare con le mani in mano, durante l’assenza dal lavoro bisogna trovare qualcosa da fare per riempire i vuoti. C’è chi ne approfitta per sistemare la casa, fare bricolage, commissioni, passeggiate, shopping e chi si mette addirittura a fare sport o va in palestra e al mare o in piscina per fare una nuotata. Ma, attenzione: un lavoratore in malattia può fare attività fisica?
Il concetto chiave è questo: nella (giusta) prospettiva del datore di lavoro il periodo di malattia è concesso al fine di recuperare le forze, in modo da tornare sani, e possibilmente presto, in ufficio o in azienda e riprendere le consuete mansioni. Molti dipendenti, invece, interpretano in maniera diversa le possibilità offerte da questo inaspettato tempo libero e le sfruttano in modi che sforzano il fisico; salvi, ovviamente, i casi in cui la patologia è davvero grave e comporta l’immobilità fisica o cure ospedaliere.
Così la giurisprudenza ha trovato un contemperamento tra queste due opposte esigenze e visioni della vita: quasi tutte le sentenze dei giudici del lavoro prendono in considerazione il tipo di attività fisica svolta dal lavoratore in malattia e lo comparano non con la diagnosi riportata sul certificato medico (che nella maggior parte dei casi è incontestata, a parte i casi di falso) bensì con le possibilità di recupero fisico secondo la tempistica prevista. Così se l’incidenza dell’attività fisica ritarda, o compromette, la guarigione attesa in base al decorso normale della patologia diagnosticata, il lavoratore poco attento alla sua salute – ed anche scorretto nei confronti del suo datore di lavoro – verrà sanzionato disciplinarmente, nei casi più gravi anche con il licenziamento. I processi di questo tipo, infatti, di solito scaturiscono da un’indagine svolta dall’azienda che, tramite i suoi detective o le indagini sui social, come Facebook, cerca di accertare cosa stia facendo il suo dipendente durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia. E se scopre qualcosa di incompatibile con la diagnosi che giustifica l’assenza del “malato” sono guai.
Alla luce di ciò, vediamo più da vicino quando il lavoratore in malattia può fare attività fisica e quando, invece, essa è sconsigliata, controindicata o vietata, non soltanto in base alle prescrizioni mediche, ma per evitare pesanti conseguenze sul rapporto di lavoro: una partita di calcetto non vale la perdita dello stipendio.
Indice
Il lavoratore in malattia può uscire di casa?
Sgombriamo subito il campo dal primo dubbio, quello più frequente: al lavoratore in malattia non è vietato uscire di casa, purché lo faccia al di fuori delle fasce orarie di reperibilità, durante le quali è tenuto a rimanere nella sua abitazione per rendersi disponibile all’eventuale visita fiscale.
Gli orari di reperibilità cambiano leggermente tra dipendenti pubblici e privati e precisamente sono:
- per i dipendenti privati: dalle ore 10,00 alle ore 12,00 e dalle ore 17,00 alle ore 19,00;
- per i dipendenti pubblici: dalle ore 09,00 alle ore 13,00 e dalle ore 15,00 alle ore 18,00.
Lavoratore in malattia: quali attività fisiche può fare?
Abbiamo appena visto che, al di fuori degli orari di reperibilità, il lavoratore in malattia può uscire. Ciò però non significa che una volta “passata la visita”, o comunque trascorso il periodo di attesa del medico inviato dall’Inps, il lavoratore possa fare ciò che vuole, ad esempio correre la maratona di New York o intraprendere una qualsiasi altra gara sportiva. Abbiamo detto in apertura che il suo comportamento non deve pregiudicare la guarigione: quindi, può svolgere tutte le attività fisiche, motorie o ludiche (cioè i giochi) che non prolunghino i tempi di convalescenza o comportino un aggravamento della patologia in essere.
Ad esempio, una sentenza della Cassazione [1] ha stabilito che un dipendente affetto da una distorsione al ginocchio poteva fare brevi passeggiate ed anche bagni al mare, poiché questa attività fisica moderata non comprometteva le sue capacità di recupero fisico. Diversamente sarebbe stato se si fosse messo a correre o a sollevare pesi: comportamenti evidentemente non consoni, ed anzi incompatibili, con il suo stato di salute dichiarato.
Licenziamento per attività fisica in malattia: è possibile?
Lo svolgimento di un’attività fisica incompatibile con la malattia per la quale si è assenti dal lavoro lede i doveri di fedeltà, correttezza e buona fede del dipendente verso il suo datore di lavoro. Ciò giustifica la formulazione di un addebito disciplinare e, nei casi più gravi, può legittimare il licenziamento per giusta causa, dovuto a un comportamento colposo del lavoratore che rompe irrimediabilmente il vincolo fiduciario con l’azienda.
Nel nostro recente articolo “Assenza per malattia: si può fare vita normale?”, abbiamo parlato del caso di un dipendente affetto da lombosciatalgia acuta che, nonostante ciò, era stato sorpreso dal datore di lavoro a sollevare pesanti sacchi di terriccio: la Corte di Cassazione [2] ha confermato il licenziamento per giusta causa.
A dimostrazione di come i casi concreti siano infiniti nelle loro sfumature e di come il metro di giudizio può cambiare in relazione alla patologia riscontrata ed al tipo di attività fisica svolta, ora una nuova ordinanza della Suprema Corte [3] ha raggiunto conclusioni opposte ed ha annullato il licenziamento che era stato intimato a un dipendente – anch’egli affetto da una lombosciatalgia – “colpevole” di essersi dedicato alla costruzione di una tettoia per la sua abitazione, sollevando pannelli del peso di 25 kg ciascuno (il datore di lavoro aveva documentato queste circostanze anche con delle foto): nonostante l’attestato «sovraccarico di sollecitazioni esterne sul rachide già compromesso», quell’attività fisica è stata ritenuta dal Collegio «modesta» e tale da non aver aggravato la patologia in atto (lo ha accertato una consulenza medico-legale svolta durante il processo) che, infatti, è guarita entro i 30 giorni inizialmente previsti.
Per altre informazioni leggi anche l’articolo: “Dipendente in malattia esce: quando non si può licenziare“.
note
[1] Cass. sent. n. 1173 del 18.01.2018.
[2] Cass. ord. n. 26709 del 01.10.2021.
[3] Cass. ord. n. 27322 del 07.10.2021.