È reato spiare un dipendente al lavoro?


Il Jobs Act ha depenalizzato l’uso delle telecamere sul lavoro?
È reato spiare un dipendente al lavoro? Assolutamente sì. L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori regolamenta l’uso della videosorveglianza nei luoghi di lavoro e lo confina solo ai casi in cui ciò sia necessario per salvaguardare il patrimonio aziendale, per tutelare la sicurezza dei lavoratori o per far fronte ad esigenze produttive o organizzative. In questi casi, l’installazione delle telecamere può avvenire solo previo accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, su autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro. Ed in ogni caso è necessaria l’affissione di appositi cartelli che avvisino i dipendenti della presenza della videosorveglianza.
Fuori da questi casi, è reato spiare un dipendente al lavoro. Non si possono quindi usare le telecamere per verificare la prestazione lavorativa ossia se i dipendenti lavorano e con quanta solerzia e diligenza lo fanno.
Il datore di lavoro che installa una telecamera senza le prescritte procedure può quindi essere denunciato. A ricordarlo è anche la Cassazione [1] secondo cui tale condotta non è stata depenalizzata neanche dalla recente riforma del lavoro.
Secondo la Corte, resta reato per il datore spiare attraverso le telecamere i dipendenti al lavoro. E il merito è del decreto legislativo 151/15, uno dei provvedimenti attuativi del Jobs Act, che come normativa sopravvenuta ha mantenuto integra la sanzione per la violazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori: sussiste continuità normativa fra la fattispecie abrogata e quella oggi prevista dall’articolo 171 in relazione all’articolo 114 del decreto legislativo 196/03.
Ci sono solo due casi in cui spiare un dipendente al lavoro non è reato. Il primo è quello dei cosiddetti controlli difensivi in senso stretto. Si tratta delle ipotesi in cui vi siano, a carico di un dipendente, dei fondati sospetti di commissione di un grave illecito o di violazione del contratto. Si pensi al lavoratore sorpreso a rubare o a uscire dall’ufficio prima dell’orario, a timbrare il badge di un collega, a chattare al computer piuttosto che lavorare e così via.
Il secondo caso è quello dei pedinamenti e delle investigazioni che possono avvenire solo quando il turno di lavoro è finito. Il ricorso all’attività di investigatori è giustificato quando vi siano sospetti dell’azienda sul comportamento del lavoratore.
In sintesi, spiare i dipendenti è reato a meno che ciò non avvenga nell’ambito di un controllo difensivo o alla fine dell’orario di lavoro. Fuori da tali ipotesi, le telecamere – che mai possono essere utilizzate per verificare l’esecuzione della prestazione lavorativa – devono essere autorizzate dai sindacati o dall’ITL e sempre che di esse vi sia bisogno per:
- soddisfare esigenze organizzative e produttive (si pensi alla telecamera puntata sulla porta del negozio per vedere se entrano clienti);
- per la sicurezza del lavoro (si pensi alla telecamera puntata in direzione di un macchinario pericoloso, per la verifica del suo corretto funzionamento);
- per tutelare il patrimonio aziendale (si pensi alla telecamera puntata contro gli scaffali per evitare furti o a quella posta all’ingresso di una banca per disincentivare eventuali malviventi).
Secondo la giurisprudenza, il datore di lavoro non potrebbe neanche utilizzare telecamere false per disincentivare eventuali comportamenti illeciti in assenza dei predetti presupposti.
note
[1] Cass. sent. n. 32234/21.
Da anni compilo giornalmente l’elenco di quello che faccio al lavoro, prima compilatvo un file excel, ora abbiamo un programma apposito “time sheet” , lavoro in ufficio non in catena di montaggio, ma ormai non so quale sia meglio