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Il licenziamento via Whatsapp è valido?

11 Ottobre 2021 | Autore:
Il licenziamento via Whatsapp è valido?

È legittimo licenziare per email o con un messaggio sul cellulare? È necessaria la forma scritta della tradizionale raccomandata a.r.?

L’utilizzo dei nuovi media ha cambiato il modo di comunicare anche all’interno delle aziende. Non poche volte, infatti, i richiami e i provvedimenti disciplinari vengono inviati via email o con messaggi sul cellulare. Ma laddove entra in gioco il licenziamento la questione si complica per via del maggiore impatto che esso determina sui diritti del lavoratore. Di qui la frequente domanda se il licenziamento via WhatsApp è valido. 

Dobbiamo partire innanzitutto dal dato letterale della legge per poi verificare come questa è stata più di recente interpretata dalla giurisprudenza. Scopriremo infatti che, anche laddove viene richiesta la forma scritta per le comunicazioni aziendali che incidono sul rapporto di lavoro, l’elemento determinante di questa non è lo strumento di trasmissione (raccomandata, email, sms, WhatsApp) ma la prova del suo ricevimento. E ciò per una semplice e banale considerazione: lo scritto è garanzia della conoscibilità del suo contenuto e, quindi, della possibilità di esercitare il diritto di difesa da parte del suo destinatario. 

Sicché, laddove vi sia comunque la prova che il lavoratore abbia preso conoscenza del messaggio, si può anche affermare che la trasmissione tramite strumenti elettronici, come appunto il licenziamento via WhatsApp, è valida. Ma procediamo con ordine.

Licenziamento: come deve avvenire?

L’art 1 della legge n. 604/1966 è molto chiaro nello stabilire che il licenziamento deve avvenire necessariamente per iscritto a pena di inefficacia. Questa disposizione suscita alcune importanti osservazioni.

La prima: la norma non indica quale forma scritta debba essere adottata (se, ad esempio, la raccomandata, il telegramma, la lettera semplice o il foglio consegnato a mani). Tuttavia, poiché la prova dell’invio della comunicazione spetta al datore di lavoro, è chiaro che questi dovrà utilizzare uno strumento che gli consenta di dimostrare il corretto adempimento di tale obbligo, in modo da vincere eventuali contestazioni. E di certo questa prova può essere facilmente raggiunta con la raccomandata, la posta elettronica certificata o la lettera consegnata a mani e controfirmata per ricevimento. 

La seconda osservazione è che il licenziamento verbale è nullo: esso cioè non ha alcun effetto. E ad esso è equiparabile quello in cui il datore non riesca a dimostrare di aver rispettato la forma scritta (si pensi al caso in cui venga smarrito l’avviso di ricevimento della raccomandata). Con la conseguenza che il dipendente non accamperà solo il diritto al risarcimento del danno ma anche alla restituzione del posto, a prescindere dalla dimensione dell’azienda. 

Licenziamento individuale e licenziamento collettivo via WhatsApp

Bisogna fare poi un’altra importante precisazione: li licenziamento via WhatsApp è sempre illegittimo quando si tratta di un licenziamento collettivo. E ciò perché esso deve avvenire nel rispetto di una articolata procedura che passa attraverso la comunicazione ai sindacati e l’individuazione delle categorie di lavoratori da mandare a casa. Insomma, la legge 223 del 1991 impone forme specifiche per l’avvio di un licenziamento collettivo, che non possono essere eluse con un semplice messaggio digitale di poche righe.

Diverso è invece il discorso del licenziamento individuale via WhatsApp che, come avremo modo di vedere a breve, è stato ormai ampiamente sdoganato dalla giurisprudenza, anche da quella della Cassazione.

Licenziamento via WhatsApp: è legittimo?

Numerose sono ormai le norme che riconoscono valore documentale agli strumenti di comunicazione telematica come le Pec o i file muniti di firma digitale. 

Restano però fuori da quest’ambito le semplici email, gli sms e i messaggi via WhatsApp. Tuttavia, posta l’indiscutibile natura “scritta” che essi hanno, la giurisprudenza ha ritenuto che sia legittimo il licenziamento via WhatsApp, email o sms. Ma ciò solo a patto che sia fornita la prova del ricevimento. Prova che spetta al datore di lavoro. 

A tal fine, non è ritenuta sufficiente né la doppia spunta blu sulla chat, né l’email di conferma di ricevimento che il proprio programma di posta elettronica consente di ottenere. Tuttavia, il fatto che il dipendente abbia risposto al messaggio o l’abbia fatto leggere ai colleghi, o abbia inoltrato la mail al proprio avvocato o, peggio ancora, abbia fatto ricorso contro il licenziamento, anche se solo al fine di contestarne il difetto di forma, implica in sé una tacita ammissione di ricevimento. Sicché è proprio in questa condotta che è insita la prova dell’avvenuta conoscenza del messaggio e, quindi, la validità della stessa.

Questo significa che laddove il dipendente non assuma alcun comportamento dinanzi all’sms, all’email o alla chat su WhatsApp il licenziamento così intimato potrebbe essere ritenuto illegittimo. Laddove, invece, ponga in essere una qualsiasi reazione che denunci l’avvenuta lettura del suo contenuto allora egli avrà “convalidato” la comunicazione informale.

Licenziamento via email: Cassazione

Secondo i giudici, sono valide tutte le forme di comunicazione che realizzano lo scopo di trasmettere a una persona un certo documento, consentendo di affermare con certezza che è venuto a conoscenza del lavoratore. Sulla base di tale principio, la Cassazione ha ritenuto lecito il licenziamento comunicato mediante invio di una e-mail al dipendente [1]. In tale ipotesi, la Suprema Corte ha messo in evidenza che l’aspetto rilevante è la certezza che l’email sia venuta a conoscenza lavoratore; tale certezza può derivare dalla risposta all’email da parte del soggetto licenziato o da altri elementi (il racconto a colleghi del licenziamento).

Stessa interpretazione esce fuori dalle aule del tribunale di Catania [2] che ha ritenuto valido il licenziamento intimato via WhatsApp, trattandosi di un documento informatico imputato con certezza al datore di lavoro e dal quale discende l’inequivoca volontà di licenziare comunicata efficacemente al dipendente.

Anche la Corte d’Appello di Firenze ha fatto analoga considerazione in caso di licenziamento intimato via sms [3].  


note

[1] Cass. sent. n. 29753/2017.

[2] Trib. Catania, ord. del 27.06.2017.

[3] C. App. Firenze, sent. 629/2016.

Autore immagine: depositphotos.com


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