Disconoscimento di paternità e rimborso del mantenimento


L’importo degli assegni versati per il mantenimento del figlio va restituito se la sentenza accerta che quell’uomo non è il padre del bambino?
Un giorno, scopri che il figlio che avevi riconosciuto non è tuo. Hai la prova inoppugnabile del tradimento di tua moglie all’epoca del concepimento, o di altre circostanze che ti avevano reso impossibile generarlo. Decidi così di intraprendere l’azione di disconoscimento di paternità e ti domandi se, in caso di accoglimento, avrai anche diritto al rimborso del mantenimento, cioè di tutte le spese che avevi sostenuto dal momento della nascita di quel bambino.
È chiaro che, dal giorno in cui verrà pronunciata la sentenza di disconoscimento di paternità, non dovrai più versare nulla per mantenere una persona di cui non sei tu il padre, in quanto il dovere di assistenza deriva dal rapporto di filiazione, ma non è altrettanto pacifico capire qual è la sorte degli esborsi già compiuti in passato; tutto ciò tenendo presente che fino a quando non sarà emanata la sentenza che accoglie la tua domanda di disconoscimento dovrai continuare a corrispondere le somme. Così nel frattempo, e sino all’esito positivo del giudizio di disconoscimento, dovrai proseguire all’adempimento dei tuoi obblighi di assistenza familiare anche quando hai scoperto che il minore non è tuo figlio. A prescindere dalla fondatezza delle tue ragioni, devi attendere la pronuncia del giudice che dichiarerà il disconoscimento.
Rimane da vedere qual è la sorte delle somme già versate e se potrai riaverle indietro. Ebbene, sotto tale aspetto, le notizie non sono del tutto buone: la Corte di Cassazione ha affermato, in una recente ordinanza [1], che il rimborso del mantenimento non spetta in caso di disconoscimento di paternità in caso di coppia separata o divorziata, perché la relativa sentenza non ha un «effetto espansivo» tale da far venir meno gli obblighi di versamento dell’assegno imposti dalle precedenti sentenze di separazione o di divorzio già passate in giudicato e che come tali rimangono «intangibili»: le loro statuizioni non possono essere più revocate.
Questo ostacolo, invece, non sussiste quando la coppia di coniugi, sino al momento della pronuncia del disconoscimento di paternità, è rimasta unita e continua a convivere, oppure ha intrapreso solo una separazione di fatto: in tali casi, quanto versato per il mantenimento del “non figlio” va rimborsato, e spetta anche il risarcimento dei danni se la madre ha ingannato il marito, tenendogli celata una relazione con un altro uomo e così inducendolo a riconoscere un figlio non suo. Qui, infatti, opera il principio generale in base al quale, quando viene accertata l’inesistenza del rapporto di filiazione, vengono meno, con efficacia retroattiva, gli obblighi e i presupposti del mantenimento del figlio non proprio, e chi lo ha versato ha diritto alla restituzione, da far valere con un’apposita azione chiamata di ripetizione dell’indebito.
Indice
L’azione di disconoscimento di paternità
L’azione di disconoscimento della paternità serve a far dichiarare, da parte del giudice, che una persona è priva di legame di discendenza biologica da un’altra: dunque, che un individuo non è figlio di chi è ritenuto essere suo padre, perché in realtà non è stato lui a generarlo. Tieni presente che per legge [1] esiste la presunzione di paternità del marito nei confronti dei figli che sono stati concepiti o sono nati durante il matrimonio: così un uomo sposato è considerato padre dei figli nati dalla moglie nel periodo di unione coniugale.
Per superare questa presunzione, chi ne ha interesse può chiedere al tribunale civile il disconoscimento di paternità. Precisamente, sono legittimati a proporre l’azione [3]:
- il padre, entro il termine di un anno, decorrente dalla nascita del figlio o dal giorno in cui ha avuto conoscenza della propria impotenza di generare o dell’adulterio della moglie al momento del concepimento (e comunque entro il termine massimo di 5 anni dalla nascita);
- la madre, non oltre 6 mesi dal giorno della nascita del figlio (o successivamente, da quando è venuta a conoscenza dell’impotenza di generare del marito, purché entro 5 anni dalla nascita);
- il figlio stesso, senza limiti di tempo, quindi anche se è divenuto maggiorenne: nei suoi riguardi, l’azione è imprescrittibile, tant’è che se egli muore prima di averla instaurata possono promuoverla i suoi discendenti entro 2 anni dal decesso [4];
- un curatore speciale, nominato dal giudice, su istanza del figlio minore che ha compiuto 14 anni o del pubblico ministero o dell’altro genitore se si tratta di minore al di sotto dei 14 anni.
La domanda di disconoscimento di paternità si propone con atto di citazione. Nel processo, devono partecipare sia il presunto padre, sia la madre, sia il figlio (tecnicamente sono litisconsorti necessari). La prova dell’assenza di legame biologico può essere fornita con ogni mezzo consentito, dunque anche attraverso le testimonianze. Tuttavia, il metodo oggettivamente più sicuro e in grado di fornire risultati certi è l’esame del Dna (per approfondire leggi: “Disconoscimento di paternità: come provarlo?“). La sola confessione della madre, invece, non è sufficiente.
Se la sentenza accoglie la domanda, il presunto figlio perde lo stato di figlio del genitore che lo ha disconosciuto e il cognome paterno (a meno che esso non sia divenuto un elemento distintivo da tutelare, come nel caso di un personaggio famoso).
Disconoscimento di paternità: effetti sul mantenimento dei figli
La sentenza di disconoscimento di paternità fa venir meno, dal momento in cui è pronunciata e divenuta definitiva con il passaggio in giudicato, tutti i doveri materiali e morali del genitore verso il figlio [4] e tra questi, in particolare, quelli di assistenza, di istruzione e di educazione. Perciò, cade anche l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento che era stato stabilito nella sentenza di separazione o di divorzio. Così l’assegno di mantenimento al figlio disconosciuto viene eliminato per il futuro.
Per quanto riguarda il passato, invece, si discute riguardo all’efficacia retroattiva della sentenza di disconoscimento di paternità sulle somme già versate, e dunque sul diritto o meno alla loro restituzione. Un principio generale del Codice civile [5], chiamato «indebito oggettivo», dispone che chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere – cioè di farsi rimborsare – ciò che ha pagato. Questo consentirebbe di ottenere la restituzione totale dell’importo degli assegni per chi aveva versato, nel corso del tempo, somme a titolo di mantenimento dei figli (che credeva essere suoi) adempiendo a quanto disposto nella sentenza di separazione o di divorzio: statuizioni che, evidentemente, presupponevano esistente il rapporto di filiazione ed erano state emanate prima della sentenza che poi ha accolto il disconoscimento di paternità.
Come ti abbiamo accennato all’inizio, però, la Cassazione la pensa diversamente: l’ultima ordinanza pronunciata sul tema [1] ha affermato che sono irripetibili, cioè non possono essere restituite, le somme versate dall’onerato a titolo di mantenimento del minore prima del passaggio in giudicato della sentenza di disconoscimento della paternità. Così è stata respinta la domanda di un uomo che aveva chiesto la restituzione di quanto versato per il mantenimento di un figlio che non era suo: l’obbligo di versamento dell’assegno, infatti, era stato stabilito con pronunce giurisdizionali già divenute definitive e gli avvenuti pagamenti non potevano qualificarsi come indebiti, bensì traevano la loro «legittima fonte nei titoli giudiziari».
In sostanza, secondo questo orientamento della Suprema Corte, la sentenza di disconoscimento di paternità non può avere «effetti riflessi, diversi dall’eliminazione» dello status di padre «nel tempo anteriore al suo passaggio in giudicato»: solo da questo momento, come abbiamo visto, cessa definitivamente l’obbligo di mantenimento, ma quanto già versato in precedenza non è rimborsabile. È invece riconosciuto il risarcimento dei danni, morali e materiali, derivanti dall’infedeltà coniugale tenuta consapevolmente nascosta dalla moglie al padre putativo del bambino che, in realtà, non era suo, ma era stato concepito da lei con un altro uomo. In tali casi, infatti, c’è una grave lesione alla libertà di autodeterminazione e alla dignità del soggetto (per ulteriori informazioni su questo aspetto leggi “Padre scopre che il figlio non è suo: la madre deve risarcirlo?“).
note
[1] Cass. ord. n. 27558 del 11.10.2021.
[2] Art. 231 Cod. civ.
[3] Art. 244 Cod. civ.
[4] Art. 244 Cod. civ.
[5] Art. 147 Cod. civ.
[6] Art. 2033 Cod. civ.