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Cane chiuso in macchina per ore: cosa rischia il padrone?

12 Ottobre 2021 | Autore:
Cane chiuso in macchina per ore: cosa rischia il padrone?

Scatta il reato di maltrattamento di animali per lasciare a lungo l’amico a quattro zampe senza cibo né acqua in un ambiente angusto.

Dimenticare un animale in auto non è proprio un gesto nobile nei suoi confronti. Lasciarlo apposta dentro l’abitacolo per diverse ore è perverso. Ed è anche reato: lo ha sancito la Cassazione in una recente sentenza. Si può andare in galera, dunque? Per tenere il cane chiuso in macchina per ore, cosa rischia il padrone?

Secondo la Suprema Corte, un comportamento del genere integra il reato di maltrattamento di animali, il che significa reclusione fino a un anno e mezzo o una multa fino a 30mila euro. Il motivo è semplice: basti immaginare il povero cane rinchiuso a lungo nel baule dell’auto, senza una ciotola d’acqua, senza la possibilità di muoversi a suo agio. Se poi è piena estate o pieno inverno, peggio ancora.

Va ricordato che il reato di maltrattamento di animali punisce chi provoca al cane, al gatto o a qualsiasi altra specie una sofferenza inutile, per crudeltà o senza necessità. Si può accettare che uno non lasci volutamente il cane in auto per crudeltà ma, tenerlo lì magari mezza giornata mentre il proprietario si fa un giro, va a fare shopping o fa il turno part-time in ufficio può creare sicuramente all’animale un disagio innecessario. Ecco, allora, cosa rischia il padrone per tenere il cane chiuso in macchina per ore.

Reato di maltrattamento di animali: cosa prevede?

Il Codice penale punisce per il reato di maltrattamento di animali «chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche» [1]. La pena prevista è la reclusione da tre a 18 mesi o la multa da 5.000 euro a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali «sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi». La pena è aumentata della metà se dalle sevizie, i comportamenti o le fatiche insopportabili a cui è stato sottoposto l’animale deriva la sua morte.

Va precisato, però, che il reato non scatta solo in presenza di lesioni fisiche: secondo la giurisprudenza, basta mettere l’animale in una condizione di sofferenza, poiché – hanno osservato più volte i giudici – la normativa tende a proteggerlo in quanto essere vivente, capace di provare dolore.

Lo stesso vale nel caso in cui il padrone di un animale non si prenda la dovuta cura di lui, magari non dandogli da mangiare o da bere oppure non tenendolo in un ambiente salubre, pulito dai suoi bisogni e sufficientemente spazioso per consentirgli di muoversi secondo le sue necessità.

Il tutto quando la condotta attiva o passiva del padrone (procurare la sofferenza con un’azione o per non avere fatto il suo dovere) viene messa in atto per futili ragioni, cioè senza un motivo giustificato. Si pensi a chi lascia il cane in auto per ore non perché deve risolvere un’emergenza e non può fare altrimenti ma perché lo lascia volutamente nel baule mentre va a una festa con gli amici anziché affidarlo a una terza persona o tenerlo in casa.

Lasciare il cane in macchina: quando è reato?

Intendiamoci: lasciare il cane in macchina per il tempo necessario a scendere dall’auto, comprare il giornale o bere velocemente un caffè al bar e tornare indietro non è reato, poiché quei cinque minuti non creano nell’animale una situazione di ansia e di sofferenza tali da pensare al maltrattamento.

Diverso il caso citato poco fa di chi esce la sera con gli amici, prima a mangiare una pizza e poi va a ballare, o di chi va al lavoro e tiene per ore il cane chiuso nel baule senza una ciotola d’acqua, senza cibo, in uno spazio troppo ridotto per consentire all’animale di stare a suo agio a lungo.

Secondo una recente sentenza della Cassazione [2], che trovi in fondo a questo articolo, «l’abitacolo di un’autovettura non è di per sé un ambiente insalubre e, come tale, incompatibile con la natura degli animali domestici» ma non si può però ignorare che «si tratti pur sempre di un ambiente diverso dal loro habitat naturale e, comunque, di dimensioni anguste». Un ambiente, proseguono i magistrati, nel quale un animale è costretto a restare per ore, il ché incide sulla sensibilità del cane a causa «dell’incuria e della negligenza» dei padroni.

Il caso esaminato dalla Cassazione riguardava una coppia che aveva lasciato chiusi nell’auto per tre ore due cani, durante una notte d’inverno, senza ciotole d’acqua e senza «l’adeguata protezione per gli animali dalle intemperie». Senza dimenticare, sottolinea ancora la sentenza, «l’impossibilità per loro di movimento e di soddisfacimento delle più elementari necessità fisiologiche», il che ha rappresentato «una forma di detenzione incompatibile con la natura degli animali e tale da arrecare loro gravi sofferenze».


note

[1] Art. 544-ter cod. pen.

[2] Cass. sent. n. 36713/2021 dell’08.10.2021.

Cass. pen., sez. III, ud. 24 febbraio 2021 (dep. 8 ottobre 2021), n. 36713

Presidente Di Nicola – Relatore Galterio

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza in data 26.2.2020 il Tribunale di Trapani ha condannato U.M. e B.F. alla pena di Euro 4.000,00 di ammenda ritenendoli responsabili, in concorso tra loro, del reato di cui all’art. 727 c.p. per aver lasciato per oltre tre ore nella notte di (omissis) due cani chiusi all’interno di un’autovettura parcheggiata lungo la pubblica via e dunque di un abitacolo che ne impediva un congruo movimento senza ciotole per l’acqua, così da avergli causato gravi sofferenze.

  1. Avverso il suddetto provvedimento entrambi gli imputati hanno congiuntamente proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale deducono, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 727 c.p. e al vizio motivazionale, che essendo la detenzione penalmente rilevante solo quella attuata in condizioni incompatibili con la natura degli animali e produttiva di gravi sofferenze, entrambe legate alla condotta dal necessario nesso causale, nessuna dimostrazione era stata fornita in ordine alle gravi sofferenze patite dai due cani, le quali se anche non necessitino di un’apposita perizia, implicano ciò nondimeno un fondamento ricavabile dalle scienze naturali e che invece nella specie erano state automaticamente tratte dalle condizioni di detenzione, ovverosia dall’essere stati lasciati all’interno del ristretto abitacolo dell’autovettura, senza spazio di movimento e da specifiche mancanze, quali quella dell’acqua e di sufficienti modalità di protezione dalle intemperie. Contestano non solo l’operazione di riconducibilità del fatto alla fattispecie criminosa attraverso una mera deduzione inferenziale in palese contrasto con il precetto normativo, senza che nemmeno fosse stata accertata la gravità della sofferenza concorrente a qualificare l’elemento costituivo del reato, ma altresì la sussistenza dell’incompatibilità delle condizioni di detenzione indicate nella sentenza impugnata tenuto conto che un’autovettura non è un luogo insalubre e che, al contrario di quanto affermato dal giudice siciliano, garantisce un’idonea protezione dalle intemperie

Considerato in diritto

I ricorsi non possono ritenersi meritevoli d’i accoglimento.

Anche a voler ritenere, così come assume la difesa, che l’abitacolo di un’autovettura non sia di per sé un ambiente insalubre e, come tale, incompatibile con la natura degli animali domestici, elemento dirimente al fine di ritenere integrata la condotta prevista e punita dall’art. 727 c.p. risulta, trattandosi pur sempre di un ambiente diverso dal loro habitat naturale e comunque di rrt, dimensioni anguste, il contesto e la durata dello stazionamento dep bestie al suo interno. È invero dalle condizioni complessive che caratterizzano la detenzione in sé considerata che possono derivare le gravi sofferenze configuranti l’elemento costitutivo della contravvenzione in esame, le quali, prescindendo da lesioni dell’integrità fisica dell’animale, devono ciò nondimeno incidere sulla sua sensibilità come essere vivente, intendendo la norma preservarlo da condizioni di detenzione o custodia per lo stesso foriere di patimenti, ovverosia tali da infliggergli un dolore che ecceda, rispetto alla finalità perseguita dall’agente, la soglia di tollerabilità. E poiché, come si desume dalla natura contravvenzionale della fattispecie criminosa in contestazione, non occorre che la condotta posta in essere dall’uomo si accompagni alla specifica volontà di infierire sugli animali, essendo sufficiente che sia determinata da condizioni oggettive di incuria o di negligenza, e dunque occasionate da mera colpa (Sez. 6, n. 17677 del 22/03/2016 – dep. 28/04/2016, Borghesi, Rv. 267313; Sez. 3, n. 175 del 13/11/2007 – dep. 07/01/2008, Mollaian, Rv. 238602), il giudice di merito ha correttamente ancorato la propria disamina agli elementi oggettivamente emersi dall’espletata istruttoria ritenendo che la permanenza dei due cani nell’auto protrattasi per oltre tre ore, considerato che si trattava di due esemplari di grossa taglia, che l’abitacolo era di esigue dimensioni, che al suo interno non erano state rinvenute ciotole per l’acqua e che il fatto si era svolto in una notte invernale senza adeguata protezione dalle intemperie, integrasse, alla luce dell’impossibilità di movimento e di soddisfacimento delle più elementari necessità fisiologiche dei quadrupedi, una forma di detenzione incompatibile con la natura degli animali tale da produrre agli stessi gravi sofferenze.

Del resto, la difesa non confuta il complessivo contesto ambientale su cui il Tribunale trapanese fonda le proprie conclusioni, ma circoscrive le proprie doglianze al fatto che l’auto non potesse di per sé essere considerato luogo insalubre, lamentando la mancanza di prova della gravità dei patimenti subiti dai cani in assenza di un accertamento tecnico sulla incompatibilità delle condizioni dettate dalla cattività con la natura degli animali stessi: accertamento questo che, al contrario, non poteva ritenersi necessario, risultando la verifica della situazione contingente essere stata condotta alla stregua del contesto spazio temporale e delle omissioni poste in essere dagli imputati nell’assolvimento dei compiti di cura che devono presidiare il benessere degli animali detenuti.

Pur esprimendo l’inserimento, nel novellato testo dell’art. 727 c.p., del requisito della “sofferenza” (fisica o psichica), la chiara scelta legislativa di considerare gli animali come esseri viventi suscettibili di tutela diretta e non più indiretta sol perché oggetto del sentimento di pietà nutrito dagli esseri umani verso di loro, ed al contempo assolvendo l’attributo della “gravità” alla funzione di rendere oggettiva la sofferenza percepita dall’animale a causa delle condizioni in cui viene detenuto, non vi è dubbio, tuttavia, che pretendendo la norma una corrispondenza biunivoca tra la sofferenza dell’animale e le modalità della sua detenzione, è dall’analisi di queste ultime e dal grado di incompatibilità con la natura dell’animale stesso che deve essere desunta la gravità del patimento inflittogli. E poiché il concetto in esame ben può essere desunto facendo riferimento, secondo l’univoca decodificazione giurisprudenziale, a quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale, producendo un dolore, avuto riguardo, per le specie più note, come per l’appunto per gli animali domestici, al patrimonio di comune esperienza e conoscenza (Sez. 7, n. 46560 del 10/07/2015, Francescangeli, Rv. 265267; Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014, Garnero, Rv. 262529; Sez. 3, n. 44287 del 07/11/2007, Belloni Pasquinelli, Rv. 238280) le argomentazioni spese sul punto dalla sentenza impugnata, come sopra riportate, in cui alle condizioni contrarie al naturale benessere degli esemplari canini detenuti all’interno dell’autovettura si accompagnavano anche le gravi omissioni degli imputati, comprovate anche dalle condizioni di nervosismo dei due quadrupedi, accertate dai verbalizzanti, devono ritenersi logiche e rispondenti ai canoni interpretativi della norma.

Deve quindi concludersi per il rigetto dei ricorsi, seguendo a tale esito la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


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