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Mantenimento moglie: quando non spetta

12 Ottobre 2021 | Autore:
Mantenimento moglie: quando non spetta

Separazione e divorzio: il mantenimento non spetta quando il coniuge può mantenersi da solo o non dà prova di aver messo a frutto le proprie capacità. 

Non basta la semplice disparità economica tra ex coniugi per riconoscere, a quello dei due più povero, il diritto all’assegno di mantenimento. Il giudice infatti deve valutare anche le eventuali capacità lavorative di quest’ultimo e quindi la possibilità di potersi mantenere da solo, a prescindere dalla disponibilità di un posto di lavoro. In queste semplici parole si può sintetizzare tutto il pensiero della Cassazione degli ultimi anni. 

La Corte, così facendo, ha individuato una serie di circostanze in cui è possibile escludere l’obbligo di versare gli alimenti in favore del coniuge meno abbiente. Ecco dunque, più nel dettaglio, quando non spetta il mantenimento alla moglie.

Mantenimento alla moglie: a quanto ammonta?  

All’atto della separazione dei coniugi, il giudice decide se accordare il mantenimento a quello che non ha la capacità di mantenersi da solo, di condurre cioè un decoroso stile di vita in relazione all’ambiente sociale. 

La misura di tale mantenimento è rivolta a garantire solo l’autosufficienza e non a colmare il divario economico tra i due ex coniugi. Pertanto, una volta assicurato il sostentamento a quello meno abbiente, non rileva che l’altro sia molto più ricco e possa avere un tenore di vita più elevato. 

Allo stesso modo, è da escludere il mantenimento se il coniuge più povero ha già un proprio reddito, come quello di insegnante, che gli consente di mantenersi da solo, a prescindere dalle capacità economiche dell’ex.

Presupposti mantenimento alla moglie: il divario economico incolpevole

Il primo presupposto per ottenere l’assegno di mantenimento è il divario economico tra i due ex coniugi. Divario che non deve essere colpevole, non deve cioè dipendere dalla volontà del coniuge meno abbiente. 

Si può considerare «incolpevole» la condizione di difficoltà economica della moglie dettata dalla scelta di quest’ultima, condivisa con il marito, di dedicarsi alla gestione della casa e dei figli: una scelta che implica la rinuncia alla propria carriera e la perdita di ogni contatto con il mondo del lavoro. Se tale situazione si protrae a lungo e la separazione interviene quando ormai la donna ha un’età avanzata, non si può certo pretendere che questa possa trovare un’occupazione. Sicché, in tale ipotesi, a quest’ultima spetta sempre l’assegno di mantenimento, proporzionato peraltro all’incremento di ricchezza che l’uomo ha potuto conseguire contando proprio sull’altrui sacrificio.

Si può considerare altresì «incolpevole» l’incapacità di mantenersi quando determinata da sopraggiunti limiti di età (40/45 anni) o da condizioni di salute che impediscono un impiego. Così avrà diritto al mantenimento la moglie che ha una patologia invalidante.

È incolpevole la condizione di disoccupazione di una donna che riesca a dimostrare di aver fatto di tutto per trovare un posto di lavoro, iscrivendosi ai centri per l’impiego, partecipando a bandi e concorsi, richiedendo colloqui di lavoro, ecc.

Presupposti mantenimento alla moglie: l’assenza di addebito

Il secondo presupposto per ottenere l’assegno di mantenimento è l’assenza di addebito: il giudice cioè non deve aver ritenuto la moglie responsabile per la fine del matrimonio. Il che avviene quando questa viola i doveri imposti dal Codice civile: fedeltà, convivenza, rispetto, assistenza morale e materiale. 

Non è causa di addebito il fatto di non amare più il coniuge. 

Quando non spetta il mantenimento all’ex moglie?

Il mantenimento viene riconosciuto innanzitutto solo a fronte di un’esplicita richiesta nel giudizio di separazione o divorzio. È proprio colui che chiede il mantenimento a dover fornire la prova della sussistenza dei relativi presupposti. Ragion per cui la moglie che pretende gli alimenti deve innanzitutto dimostrare il divario economico con il marito e la propria incapacità di mantenersi da sola. In secondo luogo, deve provare che tale disparità non dipende da propria colpa, per come sopra specificato. 

Ecco che allora la donna dovrà fornire la dimostrazione di aver fatto di tutto per trovare un impiego o di non avere le capacità fisiche per lavorare. 

In assenza di tali prove, non è dovuto alcun mantenimento.

Il giudice non riconosce il mantenimento alla moglie giovane e formata, che quindi ha ancora la possibilità di avviarsi nel mondo del lavoro. E a riguardo non rileva il fatto che le mansioni che questa possa svolgere siano manuali (come ad esempio la colf o la badante). Rileva solo l’attitudine lavorativa concreta. Quindi, anche il coniuge disoccupato potrebbe perdere il mantenimento se risulta che può mantenersi da solo, con il proprio lavoro.

Allo stesso modo, si nega l’assegno di mantenimento alla moglie con esperienze lavorative o un titolo professionale che le consentano di mantenersi da sola.

Stesso discorso vale per la donna che, pur senza un lavoro, ha comunque un discreto patrimonio mobiliare e/o immobiliare da cui trarre sostentamento (si pensi a colei che ha diversi appartamenti che dà in affitto).

Come anticipato sopra, non ha diritto al mantenimento la moglie che subisce l’addebito per aver tradito il marito, per essersene andata via di casa senza una valida ragione o per non aver prestato l’assistenza morale e materiale al coniuge.

Anche i comportamenti successivi alla separazione possono determinare la perdita del diritto al mantenimento. Si pensi al caso della donna che, pur avendo un contratto full time di lavoro, chieda la riduzione delle ore o, addirittura, decida di dimettersi allo scopo di dedicarsi ai figli, scelta quest’ultima che dipende unicamente dalla sua volontà e che non può ricadere sull’ex.

La giurisprudenza ritiene che il mantenimento non spetta alla moglie che inizia una stabile convivenza con un altro uomo. Non rileva il semplice fatto di frequentarsi o di dormire saltuariamente assieme: ciò che conta è la conduzione di una vita fondata sui presupposti della famiglia, caratterizzata cioè da un progetto di vita comune e dalla condivisione dei budget. Tale scelta determina la definitiva cessazione degli obblighi di mantenimento in capo all’ex coniuge, che non rivivono neanche in caso di successiva cessazione di tale convivenza. 

Esclusione del mantenimento: la Cassazione

Di recente, la Cassazione ha ricordato che il giudice, nel decidere se accordare o meno l’assegno di mantenimento, deve valutare l’attitudine al lavoro proficuo del coniuge richiedente l’assegno, intesa quale potenziale capacità di guadagno ossia la possibilità di effettivo svolgimento di un’attività lavorativa retribuita (e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche).

Il giudice deve pertanto tenere conto non soltanto dei redditi in denaro ma anche di tutte le utilità o capacità del coniuge suscettibili di valutazione economica come appunto la capacità lavorativa. Non è possibile quindi limitare l’accertamento giudiziale al dato del mancato svolgimento, da parte del coniuge stesso, dell’attività lavorativa.


note

[1] Cass. ord. 6 settembre 2021, n. 24049.

Autore immagine: depositphotos.com

Cass. civ., sez. I, ord., 6 settembre 2021, n. 24049

Presidente Genovese – Relatore Falabella

Fatti di causa

1. – Con sentenza del (omissis) il Tribunale di Nola pronunciava la separazione dei coniugi P.T. e F.G. ; dichiarava che detta separazione era addebitata a quest’ultimo; disponeva l’affido condiviso della minore I. , con collocazione presso la madre; determinava, a carico del marito, il contributo dallo stesso dovuto per il mantenimento della minore, determinandolo in Euro 600,00, mentre quantificava l’assegno a beneficio della moglie in Euro 200,00; assegnava infine la casa coniugale alla stessa P. , quale genitore collocatario della figlia minore.

2. – La sentenza era impugnata da entrambi i coniugi.

La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 14 dicembre 2016, rigettava l’appello principale di F. e, in accoglimento di quello incidentale di P.T., ordinava a Whirlpool Europe s.r.l., quale datore di lavoro di F., di corrispondere direttamente alla moglie separata di quest’ultimo gli assegni mensili di Euro 600,00 di Euro 200,00, di cui sopra si è detto.

In sintesi, la Corte di appello riteneva che la decisione di F. di separarsi dalla moglie nasceva dalla nuova relazione intrapresa dallo stesso con altra donna e rilevava che l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale costituiva una violazione particolarmente grave la quale, determinando, di regola, l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, doveva ritenersi sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che se ne era reso responsabile. Osservava, inoltre, che dalla dichiarazione del terzo pignorato Whirlpool, datore di lavoro di F. , risultava che lo stesso percepiva una retribuzione netta di Euro 1.222,80, a cui andavano aggiunti Euro 254,25, pari alla rata di rimborso di alcuni prestiti, di cui il medesimo aveva usufruito; aggiungeva che lo stesso aveva sottratto somme ricevute in prestito dall’azienda datrice di lavoro al menage familiare, avendo corrisposto solo in parte gli assegni provvisori già determinati nella complessiva somma di Euro 800,00 mensili, così cumulando un debito complessivo di oltre Euro 25.000,00. La stessa Corte poneva inoltre in evidenza che F. svolgeva altre attività, conferendo rilievo, a tal fine: a un’iniziativa imprenditoriale cessata, comunque sintomatica della capacità di impiego del predetto in ulteriori attività lavorative; alla documentazione, acquisita al processo, che faceva supporre lo svolgimento, da parte dello stesso, delle mansioni di cameriere in occasione di grandi eventi o di cerimonie; al possesso, in capo a F., di due autovetture. Quanto alla posizione della moglie, il giudice distrettuale rilevava che il conseguimento, da parte della stessa, del diploma di estetista e lo svolgimento, in passato, di qualche prestazione a domicilio poteva al più lasciar presumere una generica attitudine al lavoro, nulla provando sul concreto svolgimento di una qualche attività da parte di P.T., la quale aveva comunque dimostrato di aver profuso un impegno quotidiano ed esclusivo nell’accudimento della figlia, portatrice di handicap. Da ultimo, la Corte di appello spiegava le ragioni di opportunità che la inducevano ad impartire a Whirlpool l’ordine previsto dall’art. 156 c.c., comma 6: evidenziava, in proposito, l’inadempienza di F. all’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie e della figlia per l’importo di Euro 25.000,00 e le ulteriori circostanze consistenti nell’aver F. fatto ricorso al credito aziendale per scopi estranei a quelli familiari e nell’aver lo stesso mancato di onorare le rate del mutuo ipotecario contratto per l’acquisto dell’abitazione, esponendo con ciò i familiari al rischio di perdita della casa coniugale.

3. – La sentenza è impugnata per cassazione da F.G. con un ricorso articolato in sei motivi. Resiste con controricorso P.T.

Ragioni della decisione

1. – Con il primo motivo è denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Viene lamentato che la Corte di appello avrebbe mancato di considerare che la situazione economica del ricorrente era deteriore rispetto a quella da essa accertata: e ciò in ragione del regime di solidarietà che interessava la posizione lavorativa dello stesso istante.

Col secondo motivo è dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché la violazione e falsa applicazione cli norme di diritto, con riferimento all’art. 111 Cost., comma 6. Si sostiene che il giudice distrettuale avrebbe mancato di prendere in considerazione, tra le circostanze rilevanti ai fini dell’individuazione delle obbligazioni economiche poste a carico del ricorrente, la nascita del figlio che lo stesso F. aveva generato con la nuova compagna.

Il terzo mezzo oppone la violazione di legge con riferimento all’art. 156 c.c., commi 1 e 2, art. 2697 c.c. e art. 111 Cost., comma 6, nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si deduce che la Corte di merito avrebbe violato i principi che regolano la distribuzione dell’onere della prova, ponendosi in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte; si rileva, altresì, che il giudice di appello avrebbe contrapposto alle censure mosse avverso la sentenza di primo grado una motivazione meramente apparente, senza prendere in considerazione le circostanze relative ai redditi del ricorrente e alla capacità di guadagno della moglie, oltre che per aver mancato di porre a fondamento della decisione relativa all’assegno le evenienze fatte valere con i primi due motivi di ricorso.

Col quarto motivo la sentenza è impugnata per violazione di legge con riferimento all’art. 111 Cost., comma 5, agli artt. 147 e 148 c.c., come integrato dall’art. 316 bis c.c., comma 1 e art. 155 c.c., come integrato dall’art. 337 ter, comma 4, nonché per omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe totalmente riversato l’obbligazione relativa al mantenimento della figlia minore su di esso istante, omettendo di porre a fondamento della decisione le circostanze di cui ai primi due motivi di ricorso. Si duole, poi, che la Corte di merito, nell’individuare la misura dell’assegno di mantenimento di I. abbia reso una motivazione tautologica.

Il quinto mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, nonché degli artt. 116,244,253 c.p.c. e art. 345 c.p.c., comma 3, e dell’art. 2697 c.c.. Secondo l’istante il giudice di appello avrebbe fatto malgoverno delle norme disciplinanti l’istruzione probatoria, dei criteri previsti della valutazione delle prove e della regola circa la distribuzione dell’onere della prova.

Col sesto motivo viene proposta una censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 1,4,36 e 111 Cost., nonché dell’art. 156 c.c., comma 6 e art. 545 c.p.c., commi 3, 4 e 5. La doglianza investe l’ordine impartito al datore di lavoro del ricorrente, di corrispondere direttamente per intero a P.T. l’assegno mensile di mantenimento; secondo l’istante, la Corte di merito avrebbe omesso di considerare che il cumulo di quanto costituiva oggetto dei pignoramenti, delle trattenute e dell’ordine di pagamento diretto doveva rispettare il limite stabilito dall’art. 545 c.p.c..

2. – Può accordarsi precedenza di trattazione al quinto mezzo di censura, che attiene al giudizio, espresso dalla Corte di appello, quanto all’addebito della separazione.

Esso risulta inammissibile, in quanto si risolve, anzitutto, in un non consentito riesame dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito.

E infatti: la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867); la deduzione di un vizio di violazione o falsa applicazione degli artt. 244 e 253 c.p.c. non può dare accesso a una rivisitazione critica delle deposizioni testimoniali acquisite, posto che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511); la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).

Nè appare pertinente la denuncia del vizio motivazionale evocato dall’istante attraverso il richiamo dell’art. 111 Cost., comma 6, giacché, come insegnano le Sezioni Unite, l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante deve prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054).

Resta da dire della produzione, in appello, di documentazione estratta da Facebook (da cui la Corte di merito ha tratto la conclusione che F. svolgesse pure l’attività di cameriere): produzione che il ricorrente assume essere tardiva. La censura è carente di autosufficienza, in quanto il ricorrente non fornisce le necessarie indicazioni quanto al contenuto dei documenti prodotti; segnatamente, non indica a quando essi risalgano (circostanza, questa, di particolare rilievo, ove si consideri che, a norma dell’art. 345 c.p.c., comma 3, è consentita la produzione in appello di documenti che non si siano potuti produrre in primo grado: e tra essi senz’altro rientrano le riproduzioni fotografiche relative a fatti nuovi – rilevanti per il giudizio – che si collochino, temporalmente, in un tempo successivo a quello in cui maturano le preclusioni istruttorie di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6).

3. – I motivi rubricati come primo, secondo, terzo e quarto investono, da diverse angolazioni, il giudizio espresso dalla Corte di merito quanto ai rapporti patrimoniali tra i coniugi, e quindi la decisione assunta con riguardo all’assegno di mantenimento in favore della figlia e del coniuge del ricorrente.

3.1. – Il primo concerne la capacità reddituale di F.G., ed è inammissibile.

Ai fini della deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4, deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054 citt.). Nel caso in esame, il ricorrente assume di aver prodotto, all’udienza del 22 maggio 2014, una certificazione del proprio datore di lavoro in cui era precisato che lo stesso sarebbe stato in regime di solidarietà per alcuni periodi. Il ricorrente non fornisce, tuttavia, precise indicazioni su come la questione oggetto del motivo fosse stata dibattuta (non equivalendo, come è evidente, la produzione del documento alla discussione, in giudizio, dei suoi contenuti) e non offre puntuali indicazioni quanto al fatto storico che si assume indebitamente trascurato (giacché il ricorso omette di riportare i periodi in cui il lavoratore sarebbe stato collocato in regime di solidarietà: ed è appena il caso di rammentare che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione: Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469).

Per completezza, mette conto di rilevare che la misura della retribuzione percepita da F. è stata oggetto di un accertamento di fatto basato sulla dichiarazione resa dal terzo pignorato Whirlpool il 26 gennaio 2016 (cfr. sentenza impugnata, pag. 5): dichiarazione che, in considerazione della sua collocazione temporale, rende privo di decisività il dato documentale costituito dalla certificazione prodotta dal ricorrente all’udienza del 22 maggio 2014. Come è evidente, infatti, gli elementi desumibili dalla detta certificazione non presentavano alcuna attualità rispetto al momento in cui venne deliberata la sentenza di appello ed erano superati dalla richiamata dichiarazione del terzo pignorato.

3.2. – Il diritto, da parte di P.T. , di ricevere quanto è necessario al suo mantenimento, è posto in discussione col terzo motivo di censura, che è fondato nei termini che si vengono ad esporre.

La Corte di appello, come si è detto in precedenza, ha distinto la generica attitudine al lavoro della odierna controricorrente (che, a suo avviso, poteva al più presumersi) e lo svolgimento, in concreto, di una tale attività (di cui mancava la prova). Il giudice distrettuale ha poi valorizzato la sproporzione esistente tra le risorse di cui potevano disporre i due coniugi e ha ritenuto fosse da confermare la decisione del Tribunale con cui era stato stabilito che la stessa P. dovesse ricevere dal marito un assegno di mantenimento di Euro 200,00.

Ora, in tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. 9 marzo 2018, n. 5817; Cass. 4 aprile 2016, n. 6427; Cass. 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass. 25 agosto 2006, n. 18547; Cass. 2 luglio 2004, n. 12121; Cass. 19 marzo 2002, n. 3975).

Deve quindi escludersi che il giudice del merito, investito della relativa questione, possa accogliere la domanda di contribuzione del coniuge cui non è addebitabile la separazione dando semplicemente atto del mancato svolgimento, da parte dello stesso, di un’attività lavorativa: tanto più che in materia vige il principio per cui l’onere della prova del diritto al mantenimento, in seguito a separazione personale incombe su chi il mantenimento richieda (Cass. 17 febbraio 1987, n. 1691, richiamata, di recente, da Cass. 20 marzo 2018, n. 6886, non massimata).

La Corte di merito, pur correttamente escludendo la rilevanza che, ai fini della decisione circa l’assegno di mantenimento, assume la generica attitudine al lavoro del coniuge cui non è addebitabile la separazione, ha mancato di verificare se, in concreto, esistesse la possibilità, da parte della moglie separata, di intraprendere una tale attività; la nominata Corte si è infatti limitata a constatare l’assenza di riscontri quanto allo svolgimento, da parte di P.T. , di un lavoro retribuito. In tal modo, essa ha disatteso il principio che si è sopra richiamato. Il giudice del merito avrebbe dovuto invece verificare se le cure prestate dalla controricorrente alla figlia fossero compatibili con lo svolgimento, da parte della prima, di una qualche occupazione lavorativa e se sulla concreta possibilità di svolgere un’attività retribuita spiegasse incidenza il conseguimento del diploma di estetista e l’esecuzione, in passato, di prestazioni a domicilio.

Non è peraltro concludente, in questa sede, la deduzione incentrata sulla durata della convivenza e sull’apporto dato dalla moglie al miglioramento della condizione familiare (pagg. 12 s. della sentenza). A prescindere dal rilievo per cui di tali questioni non è fatto cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente pare non cogliere la precisa funzione che assume l’assegno di mantenimento al coniuge nel caso di separazione: è da ricordare, infatti, che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cass. 24 giugno 2019, n. 16809; Cass. 16 maggio 2017, n. 12196).

3.3. – Possono reputarsi assorbiti il secondo e il quarto motivo, vertenti su questioni che andranno riesaminate dal giudice del merito una volta che saranno accertate l’esistenza e l’entità dell’impegno economico che deve far carico al ricorrente per il mantenimento della moglie.

4. – Resta pure assorbito il sesto motivo, dovendo la Corte di appello procedere, a norma dell’art. 156 c.c., commi 1 e 2, a un nuovo esame delle condizioni da cui dipende la spettanza e l’entità dell’assegno di mantenimento del coniuge. L’ordine di pagamento al terzo previsto dall’art. 156, comma 6 implica una valutazione di opportunità che presuppone una discrezionalità rivolta alla considerazione della utilità del mezzo (Cass. 2 dicembre 1998, n. 12204, in motivazione), la quale evidentemente presuppone, a monte, l’accertamento, da parte del giudice di merito, dell’obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento di una data entità.

5. – In conclusione, va accolto, per quanto di ragione, il terzo motivo, il primo e il quinto devono dichiararsi inammissibili, mentre gli altri restano assorbiti.

La sentenza impugnata è cassata in relazione alla censura accolta e la Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, dovrà fare applicazione del seguente principio di diritto:

“In tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche; dovendo pertanto il giudice del merito tenere conto non soltanto dei redditi in denaro ma anche di tutte le utilità o capacità del coniuge suscettibili di valutazione economica, non è possibile limitare l’accertamento giudiziale al dato del mancato svolgimento, da parte del coniuge stesso, di un’attività lavorativa”.

Il giudice del rinvio provvederà a statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

Va disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, non venga fatta menzione delle generalità e degli altri dati identificativi della minore.

P.Q.M.

la Corte accoglie per quanto di ragione il terzo motivo, dichiara inammissibili il primo e il quinto e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità; dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento, non venga fatta menzione delle generalità e degli altri dati identificativi della minore.


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