Cambio di sesso: come funziona?


L’uomo che vuole diventare donna, o viceversa, ha bisogno di un’autorizzazione? Quando è possibile rettificare in Comune i dati anagrafici?
Il cambiamento di sesso riguarda, fondamentalmente tre aspetti: uno fisico, uno psicologico e uno burocratico. Il primo è evidente: il corpo subisce delle trasformazioni importanti, cioè quello che la legge [1] definisce «un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico» che richiede, comunque, l’autorizzazione di un tribunale con sentenza passata in giudicato. Si tratta, in sostanza, dell’asportazione degli organi riproduttivi e la cosiddetta Sex Reassignment Surgery-SRS, vale a dire la riattribuzione chirurgica di sesso. C’è, poi, l’aspetto psicologico, troppo personale per entrare in definizioni e in spiegazioni che lascerebbero il tempo che trovano: ciascuno lo vive a modo suo, in base all’esigenza che lo porta a modificare il proprio sesso rispetto a quello geneticamente ricevuto. Infine, la parte burocratica, che richiede l’attribuzione di una nuova identità. Dal punto di vista pratico, il cambio di sesso come funziona?
Chi arriva alla consapevolezza che, come cantava l’indimenticabile Fabrizio De André in Princesa, «a ricordargli che è nato maschio sarà l’istinto sarà la vita», sente cioè che vive in un corpo sbagliato e vuole cambiare sesso, deve per prima cosa bussare alla porta di un tribunale e manifestare le sue intenzioni per ottenere il via libera all’intervento. Finora, la procedura prevedeva che solo dopo ci si doveva recare presso l’ufficio anagrafe del Comune per modificare i propri dati. Recentemente, il Tribunale di Sassari ha stabilito un nuovo orientamento secondo cui si può già avere un’altra carta d’identità prima di passare dalla sala operatoria. Vediamo, a questo punto, come funziona il cambio di sesso.
Indice
Cambio di sesso: come ottenere l’autorizzazione del giudice
Si potrebbe dire che per arrivare al cambio di sesso tutto ha inizio in un tribunale. In realtà, è facile intuire che tutto parte dai sentimenti e dalle sensazioni della persona che vuole farlo. Ma, come si diceva prima, è una sfera talmente intima che pretendere di entrarci sarebbe quasi una violazione di domicilio.
Al di là di questo aspetto, dunque, e dato per stabilito che ci sia la forte convinzione di modificare il proprio sesso, allora sì che la prima cosa da fare è interpellare un giudice che autorizzi «l’adeguamento dei caratteri sessuali» mediante trattamento medico-chirurgico. Sarà necessario, dunque, rivolgersi al tribunale territorialmente competente, cioè quello del luogo residenza.
Il magistrato può disporre una perizia per verificare le condizioni psichiche e sessuali del richiedente e nominare un consulente tecnico d’ufficio. Questa figura terrà degli incontri con l’interessato, farà le opportune indagini e consegnerà al giudice una relazione scritta. A sua volta, chi chiede di modificare il proprio sesso può nominare, se lo ritiene opportuno, un suo consulente tecnico di parte.
Se tutto procede secondo i programmi, il giudice darà l’autorizzazione all’intervento. Sarà necessaria, come accennato, una sentenza passata in giudicato.
Cambio di sesso: la parte medico-chirurgica
Una volta ottenuta l’autorizzazione del tribunale, chi si vuole sottoporre al cambio di sesso deve mettersi nelle mani dei medici. Per la terapia ormonale non c’è bisogno di alcuna autorizzazione ma devono, comunque, essere rispettati gli standard dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere, poiché il percorso non è proprio una passeggiata: si parla di terapie che consistono nella somministrazione di testosterone alla donna che vuole diventare uomo e di estrogeni femminilizzanti nel caso contrario.
Per quanto riguarda la parte chirurgica, per il cambiamento da uomo a donna sono necessarie principalmente la mammoplastica additiva, cioè l’introduzione di protesi per «realizzare» il seno, e la vaginoplastica, che comporta l’asportazione degli organi genitali maschili e la ricostruzione della parte tra il retto e la vescica, dove viene creata una nuova cavità.
Decisamente più complicato l’intervento che porta al cambiamento da donna a uomo. Prima di tutto, è necessaria l’asportazione dei seni, poi quella di utero e ovaie e, infine, la falloplastica, vale a dire la costruzione di un organo simile a un pene con funzioni urinarie e sessuali.
Cambio di sesso: quando si deve andare in Comune?
Ultimo, ma non ultimo, tra gli aspetti che riguardano il cambio di sesso è quello relativo alla modifica dei propri dati anagrafici. Sarà scontato che l’uomo voglia assumere un nome da donna e, magari, modificare anche il proprio cognome e viceversa.
Una recente sentenza del Tribunale di Sassari [2] ha stabilito che chi vuole cambiare sesso non deve attendere la conclusione dell’intervento medico-chirurgico per recarsi all’ufficio anagrafe ma può già farlo dopo il percorso psicoterapeutico che accerti l’intento e la consapevolezza della scelta. In pratica, quando ha ottenuto l’autorizzazione del tribunale.
Basta, secondo il giudice, il consolidato, reale e profondo bisogno di vivere secondo i ruoli del sesso opposto dal punto di vista emotivo e psicologico. Pertanto, continua la sentenza, è possibile rettificare nel Comune di residenza gli atti dello stato civile ancor prima «del trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei caratteri sessuali che pure dev’essere autorizzato, ma che non costituisce più presupposto della pronuncia di rettificazione di sesso».
In conclusione, dunque, il percorso per cambiare sesso potrebbe essere il seguente: prima la perizia psicologica e l’autorizzazione del tribunale, poi la modifica dei dati anagrafici in Comune e, infine, l’intervento medico-chirurgico.
Cambio di sesso: comporta la fine del matrimonio?
Potrebbero essere dei casi veramente eccezionali ma non per questo inesistenti. Poniamo che in una coppia sposata il marito non si senta più a suo agio come maschio e manifesti alla moglie la sua esigenza e la sua intenzione di cambiare sesso e di diventare donna. Non è detto che la moglie prenda i propri bagagli e se ne vada: può darsi che il legame costruito con quella persona le impedisca di lasciarla. Forse sarà difficile da credere ma succede davvero. Tant’è che uno di questi casi è arrivato qualche anno fa sul tavolo dei giudici della Corte costituzionale.
Legalmente, come la mettiamo? La Corte [3] ha ritenuto costituzionalmente illegittimi gli articoli di legge che non prevedono per i coniugi, dopo la rettificazione dei dati anagrafici, di mantenere un rapporto di coppia giuridicamente regolato con un’altra forma di convivenza registrata all’anagrafe. In sostanza, cambiare identità comporta lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili propri della trascrizione del matrimonio, ma non deve impedire alla coppia di registrare un altro tipo di rapporto di convivenza.
Ma la Cassazione si è spinta oltre: con una sentenza del 2015 [4], ha dichiarato illegittima la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero quello che viene chiamato «divorzio imposto» senza il consenso dei coniugi. Il risultato è che, anche dopo il cambio di sesso, entrambi restano sposati come lo erano quando sono usciti dalla chiesa o dal Comune. Orientamento confermato dalla legge Cirinnà [5], secondo cui dopo la rettificazione anagrafica è possibile avere automaticamente l’unione civile tra due persone dello stesso sesso.
note
[1] Art. 31 D.lgs. n. 150/2011.
[2] Trib. Sassari sent. n. 403/2021.
[3] Corte Cost. sent. n. 170/2014.
[4] Cass. sent. n. 8097/2015.
[5] Legge n. 76/2016.