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Violenza sessuale con abuso di inferiorità psichica

17 Ottobre 2021 | Autore:
Violenza sessuale con abuso di inferiorità psichica

Atti sessuali compiuti approfittando delle condizioni di vulnerabilità della persona offesa al momento del fatto: quando scatta il reato?

Per la legge italiana lo stupro non necessita obbligatoriamente dell’uso della forza fisica. In altre parole, si può avere una violenza sessuale anche senza atteggiamenti brutali o aggressivi, ma semplicemente approfittando della particolare condizione di debolezza della vittima. In tema di violenza sessuale, quando c’è abuso delle condizioni di inferiorità psichica?

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ricordato che l’abuso si verifica quando le condizioni di inferiorità sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della sessualità della vittima che, a causa della sua particolare vulnerabilità, è utilizzata quale mezzo per soddisfare le voglie sessuali del colpevole. Approfondiamo l’argomento, spiegando cos’è la violenza sessuale con abuso di inferiorità psichica.

Quando c’è violenza sessuale?

La violenza sessuale è il reato che commette chi costringe un’altra persona a compiere o subire atti sessuali [1].

Per “atti sessuali” non si intende soltanto il rapporto sessuale completo (la congiunzione carnale, per intenderci), ma qualsiasi coinvolgimento di parti del corpo definibili come “zone erogene”. Sono erogene quelle parti capaci di stimolare l’istinto sessuale (organi genitali, cosce, labbra, collo, seno, sedere ecc.).

Dunque, sono stupro tutti i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti delle zone erogene, anche se fatti sopra i vestiti, capaci di eccitare chi li compie.

Stupro: c’è bisogno della violenza?

Come anticipato in premessa, per commettere uno stupro non occorre obbligatoriamente che gli atti sessuali siano imposti con la forza o con la minaccia: il reato si compie anche quando ci si approfitta della particolare condizione di inferiorità della vittima.

È la stessa legge a specificare che è soggetto alla stessa pena prevista per chi usa violenza o minaccia anche colui che, per soddisfare i propri desideri sessuali, abusa delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto.

Quando c’è abuso di inferiorità psichica?

L’abuso di inferiorità psichica per commettere una violenza sessuale si ha ogni volta che il colpevole trae vantaggio dalla condizione di vulnerabilità mentale della vittima, soddisfacendo così i suoi desideri sessuali.

Ad esempio, secondo la Corte di Cassazione [2], scatta la violenza sessuale con abuso dell’inferiorità psichica della vittima per il sedicente santone che induce le vittime ad avere rapporti, anche di gruppo, convincendole che così si sarebbero liberate dal malocchio. Ciò perché il reato di violenza sessuale abusando dell’altrui condizione di inferiorità psichica è integrato da una persuasione subdola che spinge la persona offesa ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto.

La fattispecie si configura anche quando l’agente approfitta del fatto che la vittima è molto suggestionabile perché ha credenze esoteriche che si innestano su situazioni di debolezza psichica, culturale o sociale.

Nelle condizioni d’inferiorità rientrano non solo le patologie mentali ma anche le circostanze che mettono la vittima in una posizione particolarmente vulnerabile: ad esempio, un limitato processo evolutivo, sul piano mentale o culturale, oppure la minore età accompagnata da una situazione individuale e familiare che rendono la persona offesa particolarmente esposta alle richieste dell’agente.

Secondo una recente sentenza della Suprema Corte [3], sussiste il reato di violenza sessuale per abuso delle condizioni di inferiorità psichica se la vittima, seppur maggiorenne e capace di muoversi autonomamente, presenta una palese disabilità intellettiva, della quale l’autore del delitto si approfitta per farle compiere e/o subire atti sessuali.

Nel caso di specie, un uomo, sfruttando il deficit cognitivo della vittima, fingeva un reale interesse affettivo con ripetuti contatti a mezzo Facebook al fine di acquisire sempre maggiore intimità, facendosi inviare foto di nudo ed ottenendo appuntamenti durante i quali aveva convinto la persona offesa a compiere atti sessuali.

Secondo la Corte di Cassazione non ci sono dubbi: in tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorità fisica o psichica, l’induzione a compiere o a subire atti sessuali si realizza quando, con un comportamento di persuasione sottile e subdola, l’agente spinge, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che, diversamente, non avrebbe compiuto.

Tale condotta si distingue nettamente dalla fattispecie di violenza sessuale mediante violenza o minaccia, in quanto l’abuso dell’inferiorità è caratterizzata dall’induzione che si realizza quando, con un’opera di persuasione, l’agente spinge o istiga il soggetto che versi nella ricordata condizione di debolezza ad aderire ad atti sessuali che, altrimenti, non avrebbe compiuto.

L’induzione, dunque, rappresenta una vera e propria sopraffazione nei confronti della vittima, la quale non aderisce all’atto perché convinta, ma soggiace al volere del soggetto attivo, ridotta a strumento di soddisfazione delle sue voglie.

Quanto all’abuso, è stato ribadito che lo stesso consiste nel doloso sfruttamento delle condizioni di menomazione della vittima, che viene strumentalizzata con l’obiettivo di accedere alla sua sfera intima a fini di soddisfacimento degli impulsi sessuali.

Per ulteriori sentenze in materia, si legga l’articolo Violenza sessuale abuso condizioni inferiorità: ultime sentenze.


note

[1] Art. 609-bis cod. pen.

[2] Cass., sent. n. 31512 dell’11 novembre 2020.

[3] Cass., sent. n. 37129 del 13 ottobre 2021.

Autore immagine: canva.com/

Cass. pen., sez. III, ud. 8 luglio 2021 (dep. 13 ottobre 2021), n. 37129

Presidente Rosi – Relatore Di Stasi

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 12/06/2020, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza emessa in data 12/06/2019 dal Tribunale di Messina, che aveva dichiarato M.S. responsabile del reato di cui all’art. 81 c.p., art. 609-bis c.p., commi 1 e 2, (perché abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica di S.V. la costringeva, in tempi diversi, a compiere e subire atti sessuali) e condannato alla pena ritenuta di giustizia, concedeva all’imputato le circostanze attenuanti generiche e rideterminava la pena in anni quattro di reclusione. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.S. , a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità. Lamenta che la Corte di appello aveva confermato il giudizio di penale responsabilità dell’imputato per essere stata raggiunta la prova della condotta di induzione perpetrata in danno della persona offesa con valutazioni illogiche, contraddittorie e disancorate dalle risultanze istruttorie; la contraddittorietà, in particolare, emergeva tra il riferimento alla disabilità intellettiva della persona offesa e l’approfittamento di tale stato da parte dell’imputato e la successiva considerazione che la persona offesa era una persona maggiorenne che appariva potersi muovere con discreta autonomia. Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 609 bis c.p., u.c., e correlato vizio di motivazione. Argomenta che la Corte territoriale aveva denegato l’invocata attenuante della minor gravità del fatto con motivazione illogica e contraddittoria ed in contrasto con l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche sulla base di una valutazione di minore gravità del fatto. Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata. Si è proceduto in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, in base al disposto del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, conv. in L. n. 176 del 2020.

Considerato in diritto

  1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. I vizi motivazionali dedotti dal ricorrente non trovano riscontro nell’adeguato percorso argomentativo della sentenza impugnata, basato su oggettivi riscontri istruttori e privo di manifeste illogicità e, come tale, non censurabile in questa sede. La Corte di appello ha posto a fondamento della affermazione di responsabilità le dichiarazioni rese dalla persona offesa, il cui vaglio di attendibilità è stato effettuato in maniera rigorosa, attraverso l’analisi della condotta della dichiarante, della linearità del suo racconto e dell’esistenza di riscontri esterni allo stesso, costituiti dalle dichiarazioni rese dai testi escussi in dibattimento. I Giudici di appello, nel confermare l’affermazione di responsabilità per il reato di violenza sessuale, hanno reso, in aderenza alle risultanze istruttorie, una motivazione adeguata, priva di aporie logiche ed in linea con principi espressi in materia da questa Corte. In particolare, il percorso argomentativo ha preso le mosse dalle condizioni di palese disabilità intellettiva della persona offesa ragazza (affetta da ritardo cognitivo medio e con visibile “disformia facciale”) ed è stato evidenziato che la condotta induttiva dell’imputato (con un differenziale di età di ben trent’anni in più rispetto alla vittima), era stata consistita nello sfruttamento del deficit cognitivo della, con ripetuti contatti a mezzo facebook al fine di acquisirne sempre maggiore intimità, fingendo un reale interesse affettivo, facendosi inviare foto di nudo ed ottenendo due appuntamenti (convincendola di voler solo fare conversazione), durante i quali aveva posto in essere gli atti sessuali contestati; la ragazza in dibattimento confermava quanto riferito ai Carabinieri e, cioè, che l’imputato l’aveva convinta, vincendo la sua resistenza, a subire ed a praticare i rapporti sessuali di cui all’imputazione. Va ricordato che, in tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorità fisica o psichica, l’induzione a compiere o a subire atti sessuali si realizza quando, con un comportamento attivo di persuasione sottile e subdola, l’agente spinge, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto (Sez.3, n. 38011 del 17/05/2019,Rv.277834 – 01; Sez.3,n. 38787 del 23/06/2015, Rv.264698 – 01). Come è noto, la fattispecie di violenza sessuale “per induzione”, prevista dall’art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, è incentrata sull’induzione all’atto sessuale di soggetto mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica. Tale condotta si distingue nettamente dalla fattispecie di violenza sessuale mediante violenza o minaccia o per costrizione mediante abuso di autorità di cui al comma 1 della stessa norma, sul rilievo che la fattispecie di cui al comma 2, n. 1 è caratterizzata dalla induzione che si realizza quando con un’opera di persuasione sottile, quanto subdola, l’agente spinge o istiga il soggetto che versi nella ricordata situazione di inferiorità fisica o psichica ad aderire ad atti sessuali che, altrimenti, non avrebbe compiuto. L’induzione punibile, attuata mediante l’abuso, non si configura come attività di persuasione, ma come “vera e propria sopraffazione nei confronti della vittima, la quale non è in grado di aderire perché convinta, ma soggiace al volere del soggetto attivo, ridotta a strumento di soddisfazione delle sue voglie” (Sez. 3, n. 4426 del 13/5/1997, Masu, Rv. 208453, successive conformi Sez. 3, n. 20766 del 14/04/2010, T., Rv. 247654; Sez. 3, n. 32513 del 19.6.2002, P., Rv. 223101). Quanto all’abuso, è stato ribadito che lo stesso consiste nel doloso sfruttamento da parte dell’autore del reato, delle condizioni di menomazione della vittima, che viene strumentalizzata con l’obiettivo di accedere alla sua sfera intima a fini di soddisfacimento degli impulsi sessuali (cfr., tra le altre, sez.4, n. 40795 del 3/10/2008, Cecere, Rv. 241326; sez. 3, n. 2646 del 27/1/2004, Laffy, Rv. 227029). In conclusione, indurre ad un atto sessuale mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichica altro non è che approfittare delle condizioni di inferiorità psichica e l’abuso si verifica quando le condizioni di inferiorità vengono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della sessualità della persona, che a causa della sua vulnerabilità connessa all’infermità psichica, viene ad essere utilizzata quale mezzo per soddisfare le voglie sessuali dell’autore del comportamento di induzione. Le doglianze mosse con il ricorso, meramente ripropositive di questioni adeguatamente vagliate dai Giudici di merito, si connotano quali inammissibili considerazioni in fatto finalizzate ad un riesame delle risultanze istruttorie, che non può costituire oggetto del sindacato di legittimità. 2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte di appello ha escluso la ricorrenza dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., richiamando modalità (atti non di minore invasività sessuale) e reiterazione della condotta e la qualità degli atti compiuti. La motivazione è adeguata e priva di vizi logici e, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità. Del resto, questa Corte ha affermato che, in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all’art. 609-bis c.p., u.c., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Sez.3, n. 46461 del 16/05/2017,Rv.271348 – 01; Sez.3,n. 6784 del 18/11/2015, dep.22/02/2016,Rv.266272;Sez.3, n. 21623 del 15/04/201515, Rv.263821; Sez.3, n. 23913 del 14/05/2014, Rv.259196; Sez.3,n. 5002 del 07/11/2006, dep.07/02/2007, Rv.235648). Non sussiste, inoltre, incompatibilità tra la concessione delle circostanze attenuanti generiche ed il diniego dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., essendo diversi i rispettivi criteri di concedibilità. Questa Corte ha, infatti, affermato che mentre per la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche rilevano tutti i parametri indicati nell’art. 133 c.p., per la concedibilità dell’attenuante speciale rilevano solo gli elementi indicati nel comma 1 e non quelli indicati nel comma 2 del predetto articolo (Sez.3, n. 42439 del 05/05/2016, Rv.267903). 3. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile. 4. Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non sussistendo elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità” (Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.


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