In tema di locazione di immobili urbani, il locatore non può pretendere, al termine del rapporto, il risarcimento dei danni per le spese di riparazione, se non offre la prova, almeno indiziaria, dell’uso scorretto della cosa da parte del conduttore.
Come difendersi se il padrone di casa chiede il risarcimento


Spetta al locatore dimostrare che i danni all’appartamento sono stati procurati dal comportamento negligente dell’inquilino.
Non è raro che, alla scadenza di un contratto di affitto, sorgano contestazioni tra il locatore e il conduttore in merito alle condizioni dell’immobile e ad asseriti danni procurati da quest’ultimo. La questione può essere facilmente risolta se le parti, prima della conclusione del contratto e della presa in possesso dell’unità abitativa, hanno redatto un verbale, corredato da fotografie, che attesti la condizione della stessa, in modo da confrontarla poi con quella al successivo rilascio. Ma non tutti hanno tale accortezza. In mancanza di prove, è necessario comprendere come difendersi se il padrone di casa chiede il risarcimento per i danni arrecati all’appartamento locato.
In proposito la giurisprudenza ha, in svariate occasioni, offerto alcuni interessanti suggerimenti pratici, il più delle volte a favore dell’inquilino, considerato di norma la parte “debole” del contratto. Ad esempio, e come vedremo a breve, si è detto che deve essere il locatore a dimostrare che i danni procurati all’immobile dipendono dal comportamento colpevole dell’affittuario. Ed in secondo luogo si è escluso che possa essere il locatore stesso a quantificare unilateralmente l’ammontare delle spese necessarie al ripristino dell’appartamento.
Ma procediamo con ordine e vediamo, più nel dettaglio, come difendersi se il padrone di casa chiede il risarcimento dei danni.
Indice
Come dimostrare i danni all’appartamento?
In mancanza di un inventario e di una documentazione fotografica che possano attestare le differenze tra il “prima” e il “dopo” la consegna dell’immobile, è bene sapere che il locatore non può limitarsi a lamentare asseriti danni all’appartamento. Deve anche dimostrare che questi sono stati causati dall’inquilino. Chi potrebbe infatti dire se l’appartamento era già in tale condizione prima della locazione? Non solo. Sull’inquilino ricade solo il risarcimento per i danni provocati dalla sua incuria e negligenza nella detenzione dell’immobile, non anche per quelli derivanti dal normale uso del bene. L’usura – ossia il normale deterioramento causato dall’uso quotidiano dell’appartamento – grava solo sul locatore (leggi su questo tema: Chi paga i danni all’appartamento in affitto?); lo stesso dicasi per gli interventi straordinari di manutenzione come la sostituzione di impianti o l’esecuzione di opere murarie.
Una volta definiti i profili della responsabilità dell’inquilino è bene che sia però il proprietario, terminato il rapporto di locazione ad uso abitativo del suo appartamento, a fornire la prova – almeno indiziaria – di un uso scorretto da parte dell’inquilino. Diversamente, non può pretendere il risarcimento dei danni per le spese di riparazione [1].
Come chiarito peraltro anche dalla stessa Cassazione [2], incombe sul locatore la dimostrazione dell’esistenza e della consistenza dei danni denunciati nonché della loro riconducibilità – in un rapporto di causa-effetto – al cattivo uso fattone dal conduttore.
Insomma, tutto si incentra sul cosiddetto onere della prova in un eventuale processo. Ed ecco perché deve essere interesse del padrone di casa far firmare un verbale di consegna prima dell’inizio dell’affitto ed, eventualmente, fotografare l’appartamento in modo da poter poi confrontare le immagini con le condizioni dello stesso alla sua riconsegna.
La quantificazione dei danni
Ammesso che venga dimostrata la responsabilità dell’inquilino nella determinazione dei danni all’appartamento, sorge un secondo problema: come quantificare i danni ed a chi spetta farlo?
Verosimilmente si potrà verificare uno scontro tra il locatore che pretende un importo elevato, avvalorato da un preventivo rilasciatogli dagli operai di propria fiducia, e l’inquilino che invece sostiene che i lavori possono essere fatti “in economia”.
Ebbene, non spetta né all’uno né all’altro definire l’entità delle spese necessarie al ripristino dell’immobile, ma solo al giudice. Giudice a cui ci si dovrà rivolgere se le parti non trovano una soluzione bonaria della vertenza.
Certo, il locatore potrebbe trattenere la cauzione incassata all’inizio della locazione, così autotutelandosi in via immediata. Ma la legge non glielo consente: non almeno se, nello stesso tempo, non ha avviato un giudizio contro l’inquilino per rimettere la patata bollente al tribunale.
Detto in parole più semplici, il padrone di casa non può compensare i danni all’appartamento, da lui unilateralmente quantificati, con il deposito cauzionale se, nel contempo, non instaura una causa per la quantificazione degli stessi. Diversamente, il deposito va restituito all’affittuario.
note
[1] Trib. Crotone sent. n. 574/21 del 16.06.2021.
[2] Cass. sent. n. 14305/2005, n. 1320/2005.
Autore immagine: depositphotos.com
Tribunale Crotone Civile Sentenza 16 giugno 202 n.574
Data udienza 14 giugno 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CROTONE
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alfonso Scibona, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n.r.g. 1810/2016, avente ad oggetto “appello”,
promossa da
(…) (C.F. (…)), elett.te domiciliato a C. (K.), via S. L. n. 37; rappresentato e difeso dagli Avv.ti Vi.Sc. e Lu.Qu., giusta procura in atti; APPELLANTE
contro
(…) (C.F. (…)), elett.te domiciliata a M. (K.), via C. n. 12; rappresentata e difesa dall’Avv. Vi.De., giusta procura in atti;
APPELLATO
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
In via preliminare si precisa che la presente sentenza viene redatta secondo lo schema contenutistico delineato dagli artt. 132 e 118 disp. att. c.p.c., come modificati dalla L. n. 69 del 2009 e, quindi, con omissione dello svolgimento del processo ed espressione succinta delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, non essendo tenuto il giudice ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, potendosi egli limitare alla trattazione delle sole questioni “rilevanti ai fini della decisione”.
Pertanto, le questioni non trattate non andranno ritenute come “omesse”, ma semplicemente assorbite (ovvero superate) per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto rilevante e/o provato dal giudicante.
In fatto
1. – Con atto di citazione notificato in data 20.09.2016 (…) ha proposto appello avverso la sentenza n. 811/2016, depositata in data 23.06.2016, con cui il Giudice di Pace di Crotone l’aveva condannato a pagare in favore della locatrice C.F. l’importo pari ad Euro 193,66, a titolo di canoni di locazione rimasti insoluti, nonché quello pari ad Euro 600,00, a titolo di risarcimento dei danni riportati dall’immobile locato, oltre interessi e spese di giudizio.
Con il proposto gravame ha in particolare lamentato di essere stato illegittimamente condannato dal Giudice di prime cure:
I) al pagamento dei canoni di locazione per il periodo compreso tra il 01.11.2010 ed il 15.12.2010, risalendo il rilascio dell’immobile ad epoca anteriore;
II) al risarcimento dei danni liquidati in sentenza, perché estranei all’oggetto della domanda attorea o comunque non imputabili al conduttore;
III) alla refusione delle spese di lite, atteso l’accoglimento solo parziale della pretesa creditoria avanzata da controparte. Per le esposte ragioni ha quindi chiesto, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “1) In via principale accogliere per i motivi tutti dedotti in narrativa il proposto appello e, per l’effetto:
– accertare e dichiarare che non sussiste nesso eziologico tra la condotta del conduttore ed i presunti danni;
– accertare e dichiarare che non sussiste alcuna obbligazione di pagamento sui presunti canoni scaduti;
2) con vittoria delle spese, competenze ed onorari dei due gradi di giudizio, iva e cpa come per legge da distrarsi in favore dei sottoscritti procuratori ex art. 93 c.p.c., con sentenza munita della clausola di provvisoria esecuzione”.
2. – Radicatosi il contraddittorio, si è costituito in giudizio C.F., la quale, eccependo l’inammissibilità ed infondatezza dell’appello, ha rassegnato le seguenti conclusioni:
“1) Dichiarare inammissibile e comunque rigettare perché privo di fondamento giuridico e fattuale l’appello proposto dal sig. (…) avverso la sentenza n. 811 del 2016 del Giudice di Pace di Crotone;
2) in ogni caso condannare parte appellante alle spese e competenze professionali difensive del doppio grado di giudizio, oltre rimborso forfettario 15%, iva e cpa”.
3. – Espletata l’istruttoria mediante mera acquisizione documentale, all’udienza dell’08.06.2021 la causa è stata posta in decisione con rinuncia dei procuratori delle parti all’assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
In diritto
1. – Preliminarmente, in rito, deve essere rigettata l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del gravame sollevata dall’odierno appellato.
Invero, va in proposito ribadito che “ciò che l’attuale testo dell’art. 342 c.p.c. (come novellato dall’art. 54 co. 1 lett. a del D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012) esige è che le questioni ed i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze; per cui, se il nodo critico è nella ricostruzione del fatto, esso deve essere indicato con la necessaria chiarezza, così come l’eventuale violazione di legge. Ne consegue che, così come potrebbe anche non sussistere alcuna violazione di legge, se la questione è tutta in fatto, analogamente potrebbe porsi soltanto una questione di corretta applicazione delle norme, magari per presunta erronea sussunzione della fattispecie in un’ipotesi normativa diversa; il tutto, naturalmente, sul presupposto ineludibile della rilevanza della prospettata questione ai fini di una diversa decisione della controversia. La maggiore o minore ampiezza e specificità delle doglianze ivi contenute sarà, pertanto, diretta conseguenza della motivazione assunta dalla decisione di primo grado. Ove le argomentazioni della sentenza impugnata dimostrino che le tesi della parte non sono state in effetti vagliate, l’atto di appello potrà anche consistere, con i dovuti adattamenti, in una ripresa delle linee difensive del primo grado; mentre è logico che la puntualità del giudice di primo grado nel confutare determinate argomentazioni richiederà una più specifica e rigorosa formulazione dell’atto di appello, che dimostri insomma di aver compreso quanto esposto dal giudice di primo grado offrendo spunti per una decisione diversa. L’individuazione di un “percorso logico alternativo a quello del primo giudice”, però, non dovrà necessariamente tradursi in un “progetto alternativo di sentenza”; il richiamo, contenuto nel citato art. 342 c.p.c., alla motivazione dell’atto di appello non implica che il legislatore abbia inteso porre a carico delle parti un onere paragonabile a quello del giudice nella stesura della motivazione di un provvedimento decisorio. Quello che viene richiesto – in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata – è che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili. Tutto ciò, inoltre, senza che all’appellante sia richiesto il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate” (cfr. Cass., Sez. Un., 16.11.2017 n. 27199; Cass., sez. VI-3, ord. 30.05.2018 n. 13535).
Orbene, nella specie, il contenuto dell’atto di appello consente il superamento di tale primo e prodromico “filtro di ammissibilità”, essendo enucleate in modo sufficientemente chiaro sia le ragioni che – secondo l’appellante – minano la legittimità e logicità del percorso argomentativo posto a fondamento della pronuncia di primo grado, sia le conseguenze giuridiche derivanti dall’accoglimento delle doglianze formulate, implicanti il rigetto della pretesa risarcitoria dedotta in giudizio.
2. – Tanto precisato, nel merito del giudizio e nei limiti entro cui è destinato ad operare l’effetto devolutivo dell’appello, con il thema decidendum rigidamente delimitato dalle censure dedotte in sede di impugnazione (tantum devolutum quantum appellatum), deve osservarsi quanto segue.
3. – Il primo motivo di gravame è infondato.
Con esso parte appellante deduce di aver rilasciato l’immobile in data anteriore rispetto a quella del 15 dicembre 2010 (cfr.., atto di appello, pag. 3: “Gradiremmo sapere su quali elementi il Giudicante ha basato la sua convinzione, perché tale termine fittizio di rilascio dell’immobile è stato indicato, sic et simpliciter, nella richiesta stragiudiziale e nell’atto di citazione, entrambi provenienti da parte attorea e non corroborati da prova alcuna né documentale né istruttoria”).
La doglianza risulta tuttavia smentita dai suoi stessi scritti difensivi, atteso che la data di rilascio indicata dall’attrice non era stata oggetto di alcuna tempestiva e specifica contestazione ex art. 115 c.p.c. (cfr. comparsa costitutiva di primo grado, pag. 4, in cui era lo stesso convenuto a riconoscere di aver raggiunto “un accordo con il procuratore del suo locatore, avente ad oggetto il pagamento dei canoni scaduti e delle spese legali con l’impregno espresso in una dichiarazione di lasciare l’immobile entro il 15 dicembre 2010”).
Nessuna prova è stata poi offerta di un eventuale – e solo genericamente dedotto – rilascio anticipato rispetto al termine pattuito. 4. – Relativamente al secondo motivo di impugnazione occorre invece distinguere due aspetti.
4.1. – Con esso l’odierno appellante contesta, in primo luogo, il vizio di ultrapetizione in cui sarebbe asseritamente incorso il Giudice di prime cure nella parte in cui lo ha condannato al risarcimento del danno per la riparazione della maniglie degli infissi (cfr. atto di appello, pag.4: “nell’atto introduttivo non vi è menzione alcuna della voce relativa alle maniglie degli infissi indicato in sentenza”).
La censura è priva di pregio.
Sul punto è sufficiente osservare che tale pregiudizio, oltre ad essere espressamente menzionato nella narrativa della citazione di primo grado (cfr. pag. 1: “il locale in oggetto si presenta in una situazione di completo degrado, con bidet e miscelatori del bagno divelti, maniglie delle porte divelte, pareti in pessime condizioni di verniciatura”), veniva ulteriormente specificato nell’allegata perizia di parte (cfr. punto 6: “fornitura e posa in opera di ferramenta (maniglie) per n. 11 infissi interni ed esterni in legno”).
4.2. – Merita, per converso, parziale accoglimento la doglianza inerente l’imputabilità dei pregiudizi lamentati dall’originaria attrice.
Deve infatti rammentarsi che incombe pur sempre sul locatore la prova dell’esistenza e consistenza dei danni denunciati nonché della loro riconducibilità eziologica al cattivo uso fattone dal conduttore (cfr. Cass., sez. III, 07.07.2005 n. 14305; Cass., sez. VI-3, ord. 26.01.2015 n. 1320: “In tema di locazione di immobili urbani, il locatore non può pretendere, al termine del rapporto, il risarcimento dei danni per le spese di riparazione, se non offre la prova, almeno indiziaria, dell’uso scorretto della cosa da parte del conduttore”).
4.2.a. – Ciò posto, salve le ulteriori precisazioni, ritiene questo giudice condivisibili le considerazioni di natura eminentemente tecnica espresse al riguardo dal c.t.u., secondo cui “i danni presenti nell’appartamento sono riconducibili in parte al normale deterioramento dovuto alla vetustà dell’appartamento ed in altra parte alle infiltrazioni causate dalla perdita idrica del bagno” (cfr. relazione di c.t.u. a firma dell’Ing. (…)).
D’altronde l’immobile in oggetto, risalente agli anni ’70, appare dotato di una rubinetteria di non eccelsa qualità (cfr. compendio fotografico in atti), con la conseguenza che la rottura del tubo del gruppo miscelatore non può ritenersi incompatibile con il suo fisiologico deterioramento dovuto all’uso ordinario della cosa ovvero alla sua vetustà ex art. 1590 c.c..
Sotto questo profilo appare eccessivamente enfatizzata dal Giudice di primo grado la rilevanza probatoria della deposizione testimoniale resa dal teste (…) (cfr. verbale d’udienza del 19.04.2013), non potendo rimettersi ai testi inammissibili giudizi di carattere valutativo.
Le sue dichiarazioni devono ritenersi rilevanti nella sola parte in cui ha riferito di “essere stato presente alla consegna dell’immobile da parte dell’avvocato del convenuto (…) all’attrice (…)”, così confermando che lo stato dei luoghi era analogo a quello successivamente valutato dall’ausiliario.
4.2.b. – A diverse conclusioni deve invece pervenirsi con riferimento alla rottura di ben 11 maniglie degli infissi, circostanza, questa, che denota una certa negligenza nell’uso della cosa da parte del conduttore.
5. – Il danno va pertanto liquidato in un importo pari ad Euro 330,00, così come indicato nella stessa consulenza di parte redatta dal tecnico di fiducia della locatrice (cfr. relazione di c.t.p. a firma del geom. (…)).
Così determinato l’importo dovuto, deve considerarsi che quello risarcitorio è un debito di valore.
Sicché, pur in difetto di espressa domanda in tal senso, va riconosciuta d’ufficio la rivalutazione monetaria nonché gli interessi compensativi, secondo i criteri indicati dalla Suprema Corte con la sentenza n. 1712 del 1995, dalla data della domanda sino alla data di deposito della presenta pronuncia.
Da tale momento e sino al saldo effettivo saranno poi dovuti i soli interessi corrispettivi al saggio legale.
6. – In punto di regolamentazione delle spese di lite va fatta applicazione del principio secondo cui “Il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale” (cfr., da ultimo, Cass., sez. I, ord. 13.07.2020 n. 14916).
Pertanto, tenuto conto dell’accoglimento parziale dell’originaria domanda attorea nei limiti di in un importo significativamente inferiore rispetto alla pretesa azionata in giudizio, ricorrono i presupposti per la compensazione di entrambi i gradi di giudizio ai sensi dell’art. 92 comma 2 c.p.c. (cfr. Cass., sez. III, 22.02.2016 n. 3438; Cass., sez. lav., 10.10.2019 n. 31288; Cass., 21.01.2020 n. 1269).
Restano invece definitivamente a carico del conduttore le spese di c.t.u. P.Q.M.
Il Tribunale di Crotone, in persona del dott. Alfonso Scibona, in funzione di Giudice d’appello, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n.r.g. 1810/2016, così statuisce:
1. conferma il capo di condanna della sentenza di primo grado relativo al pagamento dei canoni di locazione rimasti insoluti;
2. condanna (…) a pagare in favore di C.F., a titolo di risarcimento danni, l’importo pari ad Euro 330,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali con la decorrenza e nei modi indicati in motivazione;
3. compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio. Così deciso in Crotone il 14 giugno 2021.
Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2021.