Dipendente falsifica orario di lavoro: cosa rischia?


Quali conseguenze per il lavoratore che dichiara più ore di quelle realmente svolte e spettanti in busta paga? Quando scatta il licenziamento? È anche reato?
In molti uffici, pubblici e privati, la rilevazione delle presenze sul luogo di lavoro sfugge ai sistemi automatici, come la timbratura del cartellino o il controllo elettronico del badge d’ingresso, e viene autodichiarata dai lavoratori stessi, specialmente quando riguarda prestazioni aggiuntive e complementari, come il lavoro straordinario o festivo e quello svolto all’esterno della sede. Alcuni dipendenti, però, approfittano della fiducia loro concessa dal datore di lavoro, o del loro ruolo direttivo, e si attribuiscono più ore di quelle effettivamente svolte.
Cosa rischia il dipendente che falsifica l’orario di lavoro? Perché di falso si tratta, in quanto viene dichiarata una situazione non conforme al vero, al fine di ottenere un beneficio economico indebito, cioè la retribuzione non spettante. Le conseguenze sono diverse per i dipendenti pubblici e privati, in quanto per i primi la falsa attestazione della presenza in servizio costituisce reato (sono le famose “truffe del cartellino”), ma anche per i secondi può scattare il licenziamento in tronco, ferma restando la possibile accusa di truffa in danno dell’azienda.
Indice
Conteggio ore in busta paga
La busta paga si basa solitamente sul numero di giornate, o di ore lavorative, svolte nel mese, secondo i termini ed i periodi di presenza stabiliti nel contratto individuale, moltiplicate per la paga oraria o giornaliera contrattuale. Il cedolino mensile evidenzia separatamente le ore di lavoro straordinario o supplementare e la maggiorazione dovuta; sono anche riportate le giornate di assenza retribuite (come quelle per malattia) o non retribuite (ad esempio in caso di aspettativa volontaria).
La retribuzione è il compenso per l’attività lavorativa prestata: è evidente che una qualsiasi alterazione o manomissione delle dichiarazioni dei periodi svolti comporta l’attribuzione di una paga maggiore di quella dovuta. Così l’importo complessivo degli emolumenti giornalieri, settimanali o mensili viene erroneamente conteggiato ed erogato dal datore al dipendente infedele, che non avrebbe diritto a percepire tale retribuzione per quella maggiore entità che non corrisponde alle ore effettivamente lavorate. Da ciò derivano le conseguenze che ora esamineremo.
Dipendenti pubblici: la falsa attestazione di presenza è reato
Tra gli obblighi fondamentali dei lavoratori subordinati – che vengono retribuiti a tempo, non a prestazione – c’è la presenza sul luogo di lavoro. La legge sul pubblico impiego [1] prevede una specifica ipotesi di reato per punire, con la pena della reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 400 a 1.600 euro, «il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente».
È il fenomeno ormai comunemente noto con il nome di “truffa del cartellino“, che può essere compiuta in molteplici (e ingegnosi) modi. Ma le conseguenze negative non finiscono qui (anzi, di solito, la vicenda penale costituisce l’epilogo di questi casi), perché il lavoratore che si rende responsabile di queste condotte:
- subisce il licenziamento disciplinare [2], preceduto dalla sospensione immediata dal servizio e dallo stipendio se la violazione è accertata in flagranza;
- è obbligato a risarcire il danno patrimoniale causato all’Amministrazione di appartenenza, pari alla retribuzione percepita nei periodi in cui non ha eseguito le prestazioni dovute;
- può essere processato anche per il reato di truffa aggravata, se la sua condotta illecita ha provocato alla Pubblica Amministrazione un danno ulteriore rispetto alla retribuzione non percepita, come un pregiudizio d’immagine o della qualità dei servizi offerti al pubblico [3].
Nei casi più modesti c’è la possibilità di essere prosciolti dal reato per la «particolare tenuità del fatto» [4], che i giudici riconoscono quando la condotta di falsa timbratura del cartellino o del badge è occasionale o episodica e il danno arrecato all’Amministrazione non è rilevante, ed anche quando la prassi di assentarsi – pur illecita – viene tollerata dal superiore (se vuoi saperne di più leggi “Truffa del cartellino: come essere assolti“).
Dipendenti privati: falsificazione orario e licenziamento
Il reato di falsa attestazione di presenza in servizio riguarda solo i dipendenti pubblici, ma anche i lavoratori dipendenti privati possono rispondere di truffa in danno dell’azienda di appartenenza e, soprattutto, sono passibili di licenziamento se compiono una falsa dichiarazione dell’orario di lavoro svolto. A comprova di ciò, una nuova ordinanza della Corte di Cassazione [6] ha riconosciuto valido il licenziamento disciplinare intimato ad un dipendente che aveva falsificato il proprio orario di lavoro, ed anche quello di un collega, approfittando del ruolo fiduciario rivestito. Si tratta di un licenziamento per giusta causa, che avviene quando il fatto è talmente grave da rompere il legame di fiducia tra il dipendente ed il datore e non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Nel caso deciso dalla Suprema Corte, il lavoratore che si era attribuito un numero di ore maggiore rispetto a quelle realmente svolte aveva compiuto una grave e consapevole violazione delle regole aziendali sulla corretta quantificazione dei compensi da riconoscere al personale dipendente.
Inoltre, in quella vicenda, vi era stata anche una elusione dei sistemi aziendali di rilevazione di presenze e orari: la società aveva consentito il recupero delle ore lavorate in eccedenza rispetto al limite contrattuale, mediante la fruizione di permessi e riposi compensativi, ma il dipendente aveva alterato questi dati, senza alcuna autorizzazione a farlo ed anzi approfittando della sua posizione organizzativa che gli consentiva di realizzare tali manipolazioni.
note
[1] Art. 55 quinquies D.Lgs. n. 165/2001 (Testo Unico sul Pubblico Impiego).
[2] Art. 55 quater D.Lgs. n. 165/2001.
[3] Art. 640, comma 2, n.1) Cod. pen.
[5] Cass. ord. n. 28626 del 18.10.2021.