Brocardi latini: perché gli avvocati si esprimono in modo incomprensibile.
Molti avvocati non sanno l’inglese oltre il livello di «where is the pen?» ma conoscono a memoria citazioni in latino. Tutto questo in un mondo professionale globale e digitalizzato. Eppure, il famoso latinorum di cui parlava il Manzoni, dacché era un elemento distintivo e di rispetto, oggi è un macigno che allontana i legali dalla realtà e li rende padroni di un mondo solo loro.
Siamo passati da un’era in cui a malapena la gente sapeva leggere e scrivere, sicché si fidava ciecamente delle parole del professionista, senza indagarne il significato, ad una in cui chi non parla il linguaggio globale viene escluso, a prescindere dal fatto che ciò dipenda da un’eccessiva specializzazione nel proprio lavoro.
Si potrà giustamente dire che il latino è una lingua meravigliosa, incredibile nella sua sinteticità ed armonia, che non va dimenticato ed anzi dovrebbe essere riscoperto. Ma il punto è che se nessuno lo parla, nessuno lo capisce. Non si può parlare cinese in Italia, così come non si può parlare italiano in Cina. Il linguaggio insomma deve essere contestualizzato.
Il fatto che un avvocato sappia il latino non deve essere confuso con il suo livello di preparazione: una confusione che parte proprio dagli avvocati che così facendo – anzi, così parlando – credono di esprimere la propria professionalità. Invece, la conoscenza di un’altra lingua – in questo caso, il latino – è un fatto puramente culturale, come ad esempio l’eventualità che un francese sappia lo spagnolo, un inglese parli il russo o una persona su Facebook conosca l’italiano.
Così come l’arte, c’è un momento in cui il latino va messo da parte. E questo momento è quando si parla con la gente comune.
Eppure, gli avvocati non dimenticano mai di essere avvocati e forse lo sono anche quando sognano. Ecco allora un pullulare di espressioni latine incomprensibili per chiunque chieda un consiglio pratico o un’assistenza legale. Quasi come se i legali avessero dimenticato la relativa traduzione in italiano. Un po’ come quando si va all’estero per qualche mese e poi, per snobismo, si finge di aver dimenticato la propria lingua. Il che ricorda i consulenti di marketing che ogni tre parole ne dicono quattro in un inglese italianizzato che non ha traduzioni neanche su Google.
Il punto è che queste frasi vengono spesso usate anche nella quotidianità, quando si è con gli amici, si fa una passeggiata sul corso o si parla di tutt’altro che di legge. Ciò finisce per imprimere agli avvocati un marchio che li identifica ovunque vadano, anche quando sono in “borghese”.
Autoelitarismo? Idiosincrasia all’utilizzo di un gergo popolare? Incapacità di sapersi esprimere in altro modo? La verità è che, quando si trascorrono 10 ore al giorno a leggere sentenze e libri di diritto, si fatica poi ad esprimersi in modo diverso. È le phisique du role.
Esistono comunque alcune espressioni di cui si potrebbe fare a meno e che, nella lingua di tutti i giorni, potrebbero ben lasciare spazio alla corrispondente parola italiana, quantomeno per farsi capire. C’è qualcuno che le chiama «le frasi più comiche degli avvocati». Quali sono? Eccone alcune.
Indice
Prior in tempore potior in iure
Sapete quando siete in fila e qualcuno, dietro di voi, vorrebbe passare prima sostenendo scuse di tutti i tipi? Cosa gli dite? «Amico… chi prima arriva meglio alloggia». Bene, al posto vostro un avvocato si esprimerebbe in questo modo: potior in tempore, potior in iure. Significa che, nei rapporti giuridici, a parità di diritto tra più persone, si preferisce chi tra queste è più celere, chi si trova per primo a fare la richiesta.
Dura lex sed lex
Dura lex sed lex sta a significare «Mi spiace amico mio: questa è la legge! Per quanto non ti piaccia fattene una ragione perché comunque devi rispettarla».
Siamo davanti a un tipico brocardo che gli avvocati usano quando non riescono a spiegare le ragioni logiche o morali di una determinata norma. Piuttosto che impelagarsi in lunghe disquisizioni preferiscono lavarsi le mani come Ponzio Pilato e scaricare la patata bollente sul legislatore: «Prenditela con lui, io non c’entro nulla!». È un po’ come dire «Ambasciator non porta pena».
Relata refero
Rimaniamo in tema di ambasciatori di messaggi sgraditi. Immaginate un uomo che si sta per separare. Il suo avvocato, nel tentativo di trovare un accordo tra le parti, parla con la moglie del proprio cliente. Nel sentire le condizioni di quest’ultima, apprende che vorrebbe 2mila euro al mese di mantenimento. Non è difficile intuire quale possa essere la reazione del marito che, non avendo l’avversaria davanti, potrebbe scagliarsi proprio contro il messaggero. «Avvocà, ma come? Ma sta scherzando? Le ha consentito di dire una cosa del genere? Da quale parte sta lei!». Il cliente insomma si arrabbia con il legale, quasi come se fosse una sua proposta. Ed allora è presumibile che l’avvocato, nel tentativo di mettere le mani avanti ed evitare un’aggressione verbale, gli dica prima: Relata refero cioè «Ti riporto solo ciò che mi è stato riferito, non c’è nulla di mio in queste parole».
Strictu sensu
Nel mezzo di una discussione animata dite al vostro interlocutore: «Sei un ignorante». Al che questo vi guarda storto, pronto a sferrarvi un pugno. Intuendo le sue cattive intenzioni, cercate di riparare: «Intendevo dire “ignorante” nel senso che ignora» (come «imbecille» nel senso che “imbelle”, direbbero Aldo, Giovanni e Giacomo). Insomma, gli fate capire che la vostra intenzione era quella di usare il vocabolo nel suo significato letterale, in senso stretto. Al posto vostro, un avvocato dirà strictu sensu (e probabilmente questo farà arrabbiare ancor di più il suo avversario che, non capendolo e scambiando il vocabolo per un’altra offesa, lo stenderà definitivamente).
Excusatio non petita, accusatio manifesta
Questa è la più divertente. Siete in auto con quattro amici. Sul più bello, si sente una puzza di peto. «Chi è stato? Io non di certo» dice subito uno di voi. Gli altri iniziano ad annusare l’aria e si accorgono dell’odore di uovo marcio. Ed allora accusano proprio quello che ha parlato per primo. Ecco, questa scenetta verrebbe magistralmente sintetizzata da un avvocato proprio con questo brocardo latino: excusatio non petita, accusatio manifesta, ossia chi si scusa senza che gli sia stato chiesto si sta autoaccusando. A proposito, quasi dimenticavo, il brocardo è una massima, una citazione che tende a sintetizzare un concetto.
Captatio benevolentiae
Mia nonna diceva: il diavolo che ti alliscia vuole la tua anima. Il che significa che chi ti sta adulando sta per chiederti un piacere. I latini evidentemente non avevano tempo per dire tutte queste parole e sintetizzavano il tutto con captatio benevolentia ossia conquistare la benevolenza, il favore di chi ti ascolta con un mezzo ruffiano.
Terzium non datur
Di questa espressione si potrebbe anche fare a meno. Quando dite: «o è zuppa o pan bagnato» non ci sarebbe altro da aggiungere. Agli avvocati però piace sempre mettere la ciliegina ed ecco spuntare come un fungo la postilla: terzium non datur che sta a significare «Non ci sono altre possibilità se non queste due».
Quisque de populo
Quisque de populo indica una persona presa dal popolo, senza alcuna prerogativa o qualità specifica. In pratica, è il “pinco pallo”, il “vattelapesca”, il “Mario Rossi” di turno o, per dirla sempre al mo’ dei latini, il povero “Tizio”, “Caio” o “Sempronio”. Quando un avvocato deve dire: «Metti che una persona qualsiasi…» dirà piuttosto Quisque de populo.
Erga omnes
Nel diritto si usa dire erga omnes con riferimento a qualcosa che ha valore ed efficacia nei confronti di tutto il popolo. Il suo opposto è la famosa espressione inter partes ossia solo tra le parti. Di solito, si dice che la legge ha effetto erga omnes, si applica cioè a tutte le persone che si trovano nelle condizioni indicate dalla norma. Le sentenze invece hanno valore inter partes, salvo quelle della Corte Costituzionale.
E poi ci sono le leggi ad personam che, pur essendo destinate a tutti, presentano dei requisiti così specifici da essere indirizzate a pochissimi soggetti se non a uno solo.
Rebus sic stantibus
Se il tempo mantiene, domani andremo al mare. Un avvocato direbbe piuttosto Rebus sic stantibus ossia: se le cose non cambiano. Questa espressione potrebbe essere tradotta così: «allo stato attuale delle cose».
Ope legis
Ope legis significa «per opera della legge» e quindi «automatico», che scaturisce direttamente dalla norma e non necessita di alcuna attuazione o pronuncia da parte di un giudice. Ad esempio, l’obbligo di un padre di mantenere il figlio avuto da una relazione di fatto scaturisce ope legis dal fatto stesso della nascita e non da una sentenza del giudice che lo condanni a versare il mantenimento. Quindi, sin dal primo giorno di vita del neonato, è necessario aiutare la madre con un assegno periodico. Se ciò non avviene, il tribunale condannerà il padre a versare gli arretrati.
Ex abrupto
Ex abrupto significa «all’improvviso», inaspettatamente, senza avvertimenti. Sapete come? Come la fine di questo articolo.