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Contabilità irregolare dell’amministratore e risarcimento del danno

20 Ottobre 2021 | Autore:
Contabilità irregolare dell’amministratore e risarcimento del danno

Cadono le accuse di appropriazione indebita e la richiesta di restituzione delle somme se il condominio non fornisce la prova dell’ammanco di cassa.  

Non perché l’amministratore di condominio tiene una contabilità irregolare si può parlare di appropriazione indebita o si può richiedere il risarcimento del danno. È vero: il reato scatta solo dal momento in cui cessa il mandato: è proprio in questo momento che si può fare la sintesi tra le entrate e le uscite, verificando cosa è “scappato” dalla cassa. Ed è anche vero che, se così non fosse, molti illeciti penali degli amministratori di condominio cadrebbero in prescrizione. Ma il semplice fatto che vi sia stata una gestione confusionaria dei conti non fa dell’amministratore un criminale. 

A chiarire questi principi è stata un’interessante sentenza della Corte d’Appello di Palermo [1]. Ma procediamo con ordine.

Contabilità irregolare e confusa: risarcimento del danno 

Il nostro ordinamento riconosce il diritto al risarcimento solo a chi dimostra di aver subito un danno concreto e attuale. Pertanto, il semplice fatto che l’amministratore di condominio abbia tenuto una contabilità irregolare non è di per sé sufficiente per ottenere un indennizzo.

Come chiarito dalla sentenza in commento, in tema di condominio e danni risarcibili provocati dall’amministratore, l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile deve essere operata avendo riguardo degli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di dimostrare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causa-effetto tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento. 

C’è quindi una netta differenza  tra accertamento di una condotta inadempiente e verifica della produzione di un danno conseguenziale.

Appropriazione indebita dell’amministratore per contabilità irregolare 

La mancata tenuta del registro di cassa o l’irregolare e confusa redazione dei rendiconti o ancora la mancata presentazione degli stessi non sono indici utili per affermare che le differenze contabili da esse rinvenute integrino un ammanco per differenza da imputare all’amministratore. Sulla base di tale principio, la Corte d’Appello di Palermo ha rigettato la richiesta del condominio rivolta ad ottenere la restituzione di somme di danaro non documentate.

Per quanto un amministratore possa tenere una contabilità approssimativa e maldestramente elaborata non possono ad essa attribuirsi i connotati dell’inattendibilità e dell’assenza di trasparenza. Tale situazione di incertezza contabile può tutt’al più essere indice di un negligente assolvimento a uno dei compiti tipici dell’amministratore, non avendo questi reso in termini chiari e verificabili il conto della propria gestione. Ma ciò non implica, in via automatica, né il compimento di condotte distrattive, né la ricorrenza di un danno in capo al condominio, che pertanto non potrà chiedere, rispettivamente, né la restituzione di tali importi, né il risarcimento del danno.

La responsabilità professionale dell’amministratore di condominio

L’amministratore che non adempie in modo diligente ai propri compiti istituzionali, per come elencati dall’art. 1129 del Codice civile, può tutt’al più essere revocato per giusta causa, senza quindi la corresponsione del residuo compenso concordato per l’incarico fino alla scadenza. Ma per ottenere nei suoi riguardi anche il risarcimento è necessario dimostrare un danno concreto. Allo stesso modo, chi sostiene che vi sia un ammanco di cassa non può limitarsi a lamentare la gestione poco ordinata della contabilità ma deve fornirne la specifica prova. 

L’amministratore revocato deve rendere conto della propria gestione

Secondo la Cassazione [2], l’amministratore di condominio revocato dall’assemblea o dal giudice per un grave inadempimento è comunque tenuto a rendere il conto della sua gestione ed a rimettere ai condomini tutto ciò che abbia ricevuto per conto del condominio, vale a dire ciò che ha in cassa, indipendentemente dall’esercizio al quale le somme si riferiscono. 

L’amministratore revocato, pertanto, deve giustificare, attraverso i necessari documenti giustificativi, in che modo abbia svolto la sua opera, mediante la prova di tutto ciò che consenta di individuare e vagliare le modalità con cui abbia eseguito l’incarico e di stabilire se il suo operato sia stato conforme ai criteri di buona amministrazione. 

L’amministratore revocato non può neanche ritenersi dispensato dal presentare il rendiconto, adducendo che erano stati comunque approvati i rendiconti relativi agli esercizi precedenti, giacché l’inoppugnabilità conseguita da tali rendiconti non impugnati non esclude che, estinto il mandato per revoca, l’amministratore debba dare prova delle somme incassate e degli esborsi per l’esercizio corrente. 


note

[1] C. App. Palermo sent. n. 1215/21 del 22.07.2021.

[2] Cass. sent. 8 luglio 2021 n. 19436.

Autore immagine: depositphotos.com

Corte di Cassazione Sezione 2 Civile Ordinanza 8 luglio 2021 n. 19436

Data udienza 2 marzo 2021 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20234/2016 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);

– ricorrenti – contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

         – controricorrente –

e contro

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 717/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 03/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/03/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 717/2016 della Corte d’Appello di Catania, pubblicata in data 3 maggio 2016.

Resiste con controricorso (OMISSIS).

E’ stato intimato altresi’ (OMISSIS), il quale non ha svolto attivita’ difensive.

2. Con sentenza del 1 ottobre 2011 il Tribunale di Catania sezione distaccata di Mascalucia, accolse la domanda proposta con citazione del 7 giugno 2007 da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti condomini del complesso edilizio denominato “(OMISSIS)” sito in (OMISSIS), condannando (OMISSIS), amministratore del Condominio dal 1 gennaio 2000 al 16 aprile 2007 (allorche’ era stato revocato dal Tribunale di Catania per gravi irregolarita’ gestionali) a rimborsare agli attori la somma di Euro 19.677,61 (percepita a titolo di oneri condominiali), oltre interessi. Il Tribunale affermo’ che l’amministratore (OMISSIS), a seguito della revoca giudiziale in forza di decreto del 16 aprile 2007 (cui era peraltro seguita nuova nomina assembleare in data 21 maggio 2007), si era reso inadempiente all’obbligo di rendiconto per la gestione relativa al periodo compreso tra il 1 gennaio 2000 e il 15 aprile 2007.

La Corte d’appello di Catania ha poi accolto l’appello proposto in via principale da (OMISSIS), rigettando l’appello incidentale inerente alle spese processuali del giudizio di revoca. La Corte di Catania ha affermato che, fermo l’obbligo di rendiconto gravante sull’amministratore revocato ex articolo 1713 c.c., (OMISSIS) era stato “riconfermato” nell’incarico dall’assemblea del 21 maggio 2007, con delibera non impugnata, ed aveva comunque presentato i rendiconti per gli anni correnti dal 2000 al 2005, approvati dall’assemblea con delibere parimenti non impugnate, sicche’ alcuna rimostranza i singoli condomini potevano piu’ opporre al riguardo.

3. La trattazione del ricorso e’ stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’articolo 375 c.p.c., comma 2, e articolo 380 bis.1 c.p.c.. Il controricorrente ha depositato memoria.

4. Il primo motivo del ricorso di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., articoli 1130 e 1713 c.c., e articolo 24 Cost.. I ricorrenti lamentano l’omessa pronuncia sulla domanda avente ad oggetto l’esibizione dei giustificativi di cassa, delle fatture, della documentazione contabile e del libro cassa ed entrate, nonche’ sulla conseguente richiesta di deposito formulata con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ed ancora sulla dedotta idoneita’ e sufficienza della stessa documentazione prodotta da (OMISSIS) a seguito dell’ordine di esibizione ex articolo 210 c.p.c.. Il motivo espone altresi’ che le

    

questioni concernenti la prorogatio imperii nell’intervallo tra il decreto di revoca giudiziale e la nuova nomina assembleare, nonche’ la mancata impugnazione delle deliberazioni di approvazione dei bilanci 2000-2005, affrontate in sentenza, erano estranee al tema introdotto con l’atto di citazione.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 345 c.p.c., quanto al fatto che (OMISSIS) non fosse mai cessato dalla carica di amministratore, anche in seguito alla revoca giudiziale.

Il terzo motivo di ricorso allega la violazione degli articoli 1713, 1129 e 1130 c.c., assumendosi che la Corte d’appello abbia errato nel ritenere che sull’amministratore non incombesse alcun obbligo di rendicontazione finale, giacche’ rinominato dall’assemblea subito dopo la revoca giudiziale, non potendo operare l’istituto della prorogatio imperii.

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione degli articoli 1713 (“sotto diverso profilo”), 1130 (“sotto diverso profilo”), 1135, 1136 e 1137 c.c., qui censurandosi il punto della sentenza di appello nella parte in cui e’ affermato che la mancata impugnazione delle delibere relative all’approvazione dei bilanci dal 2000 al 2005 avrebbe comportato l’impossibilita’ di muovere rimostranze. A dire dei ricorrenti la mancata impugnazione dei rendiconti indicati non avrebbe comunque esonerato l’amministratore dal presentare il rendiconto ex articolo 1713 c.c..

Con il quinto motivo di ricorso viene ancora denunciata, “sotto diverso profilo”, la violazione degli articoli 1713, 1130, 1135, 1136 e 1137 c.c.. Precisano i ricorrenti che il thema decidendum da loro introdotto in primo grado era costituito dal pagamento di somme di danaro all’amministratore, somme che lo stesso non avrebbe mai utilizzato per l’adempimento degli oneri condominiali.

5. Possono esaminarsi congiuntamente il terzo ed il quarto motivo di ricorso, tra loro connessi. L’accoglimento, per quanto specificato in motivazione, di tali due censure comporta l’assorbimento del primo, del secondo e del quinto motivo di ricorso, i quali perdono di immediata evidenza decisoria.

5.1. Va invero affermato che l’amministratore di condominio, che sia stato revocato dall’assemblea o dall’autorita’ giudiziaria (come avvenuto nella specie, per effetto del decreto reso il 16 aprile 2007 dal Tribunale di Catania), e’ tenuto, ai sensi dell’articolo 1713 c.c. (norma applicabile per l’assimilabilita’ dell’amministratore al mandatario con rappresentanza: cfr. Cass. Sez. 2, 16/08/2000, n. 10815) a rendere il conto della sua gestione ed a rimettere ai condomini tutto cio’ che abbia ricevuto per conto del condominio, vale a dire tutto cio’ che ha in cassa, indipendentemente dall’esercizio al quale le somme si riferiscono, atteso che, una volta revocato, il mandatario non ha piu’ titolo per trattenere quanto gli e’ stato somministrato dal mandante (arg. da Cass. Sez. 3, 11/08/2000, n. 10739). L’amministratore revocato, pertanto, dovendo rendere il conto del suo operato, e’ chiamato a giustificare, attraverso i necessari documenti giustificativi, in che modo abbia svolto la sua opera, mediante la prova di tutti gli elementi di fatto che consentano di individuare e vagliare le modalita’ con cui l’incarico sia stato eseguito e di stabilire se il suo operato sia stato conforme ai criteri di buona amministrazione.

La circostanza che, dopo la revoca dell’amministratore da parte dell’autorita’ giudiziaria, l’assemblea abbia poi nominato nuovamente l’amministratore revocato (in fattispecie, come la presente, non regolata ratione temporis dall’articolo 1129 c.c., comma 13, introdotto dalla L. n. 220 del 2012) non esonera lo stesso dall’obbligo di rendiconto. Invero, certamente non opera, per il periodo susseguente alla revoca ed antecedente alla costituzione del nuovo incarico da parte dell’assemblea, alcuna “perpetuatio” o “prorogatio” di poteri in capo all’amministratore di condominio revocato,

           

non potendo ravvisarsi una presumibile volonta’ conforme dei condomini in tal senso, e piuttosto supponendo la revoca l’esplicitazione di una volonta’ contraria alla conservazione dei poteri di gestione. Neppure l’amministratore revocato puo’ ritenersi dispensato dal presentare il rendiconto, come affermato dalla Corte d’appello di Catania, adducendo che erano stati comunque approvati i rendiconti relativi agli esercizi precedenti, giacche’ l’inoppugnabilita’ conseguita da tali rendiconti non impugnati (Cass. Sez. 2, 31/05/1988, n. 3701; Cass. Sez. 2, 14/07/1989, n. 3291; Cass. Sez. 2, 20/04/1994, n. 3747; Cass. Sez. 2, 04/03/2011, n. 5254) non esclude che, estinto il mandato per revoca, l’amministratore debba dare prova delle somme incassate e degli esborsi per l’esercizio corrente.

6. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso vanno percio’ accolti, con assorbimento del primo, del secondo e del quinto motivo di ricorso. La sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti delle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione, la quale esaminera’ nuovamente la causa uniformandosi all’enunciato principio e provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P .Q.M.

La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata limitatamente alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.

     


Corte appello Palermo sez. III, 22/07/2021, (ud. 08/07/2021, dep. 22/07/2021), n.1215

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

L’avvocato Ig. Di Le. ha proposto appello avverso la sentenza n. 4637 del 1.9.2015 con la quale il Tribunale di Palermo, riscontrato il negligente assolvimento degli obblighi assunti con l’accettazione del mandato ad amministrare il condominio di via E., in Palermo, primo fra tutti quello della regolare tenuta delle scritture contabili e della puntuale e accurata redazione dei rendiconti di gestione, lo ha condannato a rifondere al condominio l’importo di E 64.776,46 a titolo di risarcimento danni, oltre interessi e rivalutazione monetaria con decorrenza dal 11.1.2008, data di cessazione dall’incarico.

Articolati tre motivi di impugnazione, segnala l’appellante come:

– erroneo l’addebito di E 1.589,69 pari alla giacenza di cassa alla data del 7.3.2008, non rinvenuta dal nuovo amministratore dopo il passaggio delle consegne, sostenendo di aver dato prova di aver posto la liquidità nella disponibilità dell’amministratore subentrante in conformità alla modalità, in uso presso il condominio e dunque conosciuta e accettata dai condomini, della consegna in custodia delle somme al portiere dello stabile;

– immotivato l’addebito di E 21.750,86, basato sulla mera differenza contabile tra l’ammontare delle ricevute per quote condominiali insolute consegnate a marzo 2008 all’amministratore entrante, pari E 30.767,99 (fino a settembre 2007 + Amap fino al quinto bimestre 2007) oltre E 5.627,26 (quote ordinarie ottobre e novembre 2007) e l’ammontare di quelle in possesso del portiere dello stabile incaricato della riscossione, pari al minor importo di E 14.644,39, differenza insufficiente ad affermare la ricorrenza di ammanco di cassa in quanto non accompagnata da un accurato raffronto contabile incrociato con le annotazioni presenti nell’elenco e nel libro incassi condominiali, documenti pure consegnati all’amministratore di nuova nomina, e dal riscontro dell’effettiva inesigibilità dei maggiori crediti dichiarati dall’amministratore;

– l’infondato addebito dell’importo di E 35.179,63 dipendente, ancora una volta, da una mera operazione di raffronto e sottrazione meramente contabile tra l’attivo asseritamente consegnato, stavolta, all’avvocato Di Le. dal precedente amministratore, Giuseppe Ferro, in tesi corrispondente a E 51.768,19 (cifra ottenuta sottraendo dall’attivo complessivo di E 92.572,77 gli importi di E 35.652,77 spese da porre in riscossione ed E 5.151,74 crediti inerenti i mesi giugno e luglio 2005 non oggetto di contestazione) e l’ammontare della morosità condominiale risalente alla gestione Ferro contabilmente rilevata dall’appellante al termine della propria gestione, pari a E 16.588,56, senza considerare che, traslando i dati dal piano della contabilità a quello dell’effettività, l’avvocato Di Le., all’esito delle verifiche condotte dopo l’assunzione dell’incarico, aveva contestato al precedente amministratore la dubbia esistenza di poste attive da questi annotate in contabilità per complessivi E 37.448,98 (in quanto relative a crediti estinti per pagamento o per prescrizione) inserendo di conseguenza nella situazione contabile a propria volta consegnata al nuovo amministratore la voce ‘somme per disavanzo non giustificate’ al fine di enucleare e separare tali controverse consistenze attive dalle partite certamente esistenti.

Il criterio seguito dal consulente tecnico consistente nell’assumere quale dato di partenza dei propri conteggi il valore attivo dichiarato dal precedente amministratore, senza tener conto della porzione dubbia, per aggiungervi le entrate e sottrarvi le spese generate nella gestione Di Le., aveva dunque condotto a un risultato aberrante e del tutto sganciato dalla realtà.

Insiste quindi per la riforma della sentenza, che aveva peraltro recepito la più penalizzante delle ipotesi ricostruttive prospettate dal c.t.u., previa effettuazione di nuove indagini tecniche.

Ricostituitosi il contraddittorio in grado di appello, il condominio di via E. ha chiesto il rigetto dell’impugnazione e la condanna dell’appellante alla refusione delle spese di lite.

Il secondo e il terzo motivo di appello, che ragioni di priorità logica e di affinità sostanziale delle questioni consigliano di trattare in via prioritaria e congiunta, sono meritevoli di accoglimento.

L’analisi condotta dal tecnico incaricato dal Tribunale ha confermato che l’odierno appellante:

– ha tenuto in modo negligente e irregolare la contabilità (non ha istituito e aggiornato il registro di cassa con l’annotazione di tutte le entrate e le uscite, pag. 28 della relazione di c.t.u.; non ha predisposto e sottoposto ai condomini i rendiconti di gestione degli anni 2005, 2006 e 2007, avendo redatto unicamente al termine del mandato il ‘rendiconto di gestione amministrativa condominiale Agosto 2005/novembre 2007’ che, tuttavia, non è stato approvato dall’assemblea);

– ha redatto in modo approssimativo l’unico resoconto contabile conclusivo (il quale non solo non è corredato dai documenti giustificativi delle spese e ‘non espone le entrate conseguite nell’arco temporale considerato e non consente l’individuazione delle spese effettivamente sostenute’, pag. 11 della relazione di c.t.u., ma si chiude, nonostante la commissione di errori nell’addizione delle morosità, facendo quadrare la situazione patrimoniale, pag. 29 della relazione di c.t.u.);

– ha omesso adempimenti fiscali e previdenziali rilevanti (non ha inoltrato il modello 770 semplificato per le annualità 2005 e 2006 (pagg. 6 e 13 della relazione di c.t.u.), non ha versato contributi relativi al rapporto di lavoro di portierato.

Discende da quanto osservato che alla contabilità da questi approssimativamente tenuta ed maldestramente elaborata non possono che attribuirsi i connotati della inattendibilità e dell’assenza di trasparenza (pag. 28 della relazione di c.t.u.).

Se ciò attesta, senza che residuino margini di dubbio, il fondamento dell’addebito di negligente assolvimento a uno dei compiti tipicamente associati secondo le regole generali e nella specifica declinazione che esse ricevono al comma I nn. 8) e 10) dell’art. 1130 cc.- al mandato ad amministrare, non avendo l’amministratore reso in termini chiari e verificabili il conto della propria gestione, non può tuttavia inferirsene, come invece ritenuto dal Tribunale, né il compimento di condotte distrattive (pag. 17 della sentenza impugnata), né, in ogni caso, la ricorrenza di un pregiudizio in capo al condominio.

Occorre invero rammentare che nell’ambito, affine a quello qui in esame, dell’azione di responsabilità promossa nei confronti degli amministratori di società, la Suprema Corte ha avuto occasione di chiarire che ‘l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile deve essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento. Nelle predette azioni la mancanza di scritture contabili della società, pure se addebitabile all’amministratore convenuto, di per sé sola non giustifica che il danno da risarcire sia individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto’ (Cass. civ. sez. un., 06/05/2015, n. 9100, di recente ripresa da Cass. civ. sez. I, 17/05/2021, n.13220), così rimarcando la differenza di piano d’analisi corrente tra accertamento di una condotta inadempiente e verifica della produzione di un danno consequenziale ed escludendo la legittimità del ricorso ad automatismi nella liquidazione del pregiudizio patrimoniale (Cass. civ. sez. I, 03/10/2018, n.24103).

Contrasta con i principi richiamati la condanna dell’appellante al pagamento di:

i) E 21.750,86, differenza tra ammontare delle attestazioni di morosità dei condomini consegnate dall’appellante al nuovo amministratore per E 30.767,99 + E 5.627,26 e le ricevute detenute dal portiere e consegnate all’amministratore subentrante per complessivi E 14.644,39. La non corrispondenza dei dati numerici, rappresentazione plastica del disordine contabile che ha connotato la gestione Di Le., non consente, se non a prezzo di un’inammissibile forzatura, di trarre la conclusione né unica, né logicamente plausibile che la differenza numerica di valori sia stata appresa dall’amministratore o da altri in assenza di vigilanza da parte di costui. Ancor più in radice, non è neppure possibile ritenere che sussista sul piano dell’effettività una simile differenza di valori, da qualificare come ammanco del quale l’amministratore possa essere chiamato a rispondere ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 1453 c.c.. Per giungere a tale conclusione, sarebbe occorso non il supplemento di indagine tecnica richiesto dall’appellante dal quale, proprio perché condotto pur sempre sui documenti contabili non correttamente formati e tenuti, nessuno spunto realmente chiarificatore era ragionevole attendersi, ma la dimostrazione, omessa dal condominio che pure era gravato dal relativo onere, che le attestazioni di morosità consegnate dall’amministratore siano state azionate, anche solo bonariamente e in via stragiudiziale, ed efficacemente opposte dai condomini asseritamente morosi, sì da ottenere conferma dell’inattendibilità del titolo creditorio predisposto dall’appellante;

ii) E 35.179,63, posta ereditata dalla precedente gestione amministrativa, affidata a tale Gi. Fe., che l’amministratore Di Le. ha contestato e inserito in termini dubitativi nella propria contabilità sotto la voce ‘somme per disavanzo non giustificate’, consegnando all’amministratore subentrante i documenti a questa afferenti. Ebbene, se, ancora una volta, può rimproverarsi all’appellante di non essersi diligentemente attivato, nel pur non breve periodo di permanenza in carica, per appurare l’effettiva esistenza di tale credito condominiale, non ricorrono elementi sufficienti ad affermare che tali poste siano effettivamente mancanti (e che lo siano nella misura indicata), e, soprattutto, che l’impossibilità per il condominio di recuperare il proprio credito sia imputabile all’appellante.

Recuperando piuttosto il criterio di effettività nella verifica del danno discendente dalle condotte dell’amministratore contrarie ai doveri di diligenza gestion indicato, come imprescindibile linea guida, dalla Suprema Corte, deve essere confermata la condanna dell’appellante al pagamento del minor importo di E 4.043,07, sommatoria degli ammanchi di cassa provati dal condominio e in alcun modo giustificati dall’amministratore. Giova al riguardo evidenziare che:

– è incontestato che al momento del passaggio delle consegne dall’avvocato Di Le. al nuovo amministratore condominiale, il giorno 7.3.2008, la cassa presentasse un attivo di E 1.589,69. E’ parimenti indiscusso che tale importo non sia stato materialmente rimesso nelle mani dell’amministratore entrante, ma come ammesso dall’appellante, affidato in custodia al portiere dello stabile, evenienza che ‘mai ebbe ad essere obiettata, né dai condomini, in sede di riunione assembleare, né dall’amministratore subentrate in sede di sottoscrizione del verbale di passaggi di consegne documentali’ (pag. 6 dell’atto di appello). Ebbene né l’atteggiamento tollerante dei condomini, né la temporanea accettazione dello stato di fatto da parte del nuovo amministratore R., seguita peraltro, appena 7 giorni dopo il passaggio delle consegne, da un’articolata contestazione dell’attendibilità dei dati documentali, può esonerare l’appellante da responsabilità per l’omessa vigilanza sulle mansioni proprie delegate al portiere, non ricorrendo ragioni per discostarsi dalla regola generale, riaffermata anche in ambito penale (Cass. 3.3.2020 n. 17174), secondo cui la delega a terzi delle funzioni non fa venir meno il dovere di controllo in capo al delegante, potendo anzi in senso contrario evidenziarsi l’irragionevolezza della scelta di mantenere nelle mani del portiere dello stabile un importo persino superiore al deposito in conto corrente, che alla medesima data del passaggio delle consegne superava di poco E 1.200,00.

Il primo motivo di impugnazione deve dunque essere respinto;

– il consulente tecnico incaricato in primo grado ha poi appurato che l’amministratore Di Le. ha riscosso: a) presso i condomini l’importo di E 1.830,00 da destinare al versamento delle ritenute di acconto operate sui compensi per lavoro autonomo, senza tuttavia procedere all’adempimento e senza neppure restituire le somme ai condomini; b) dai condomini S. e A. l’importo di E 339,22 che però non è menzionato tra le entrate condominiali e il cui utilizzo a copertura di spese di gestione condominiale non è stato dimostrato; c) ancora una volta presso tutti i condomini l’importo di E 819,27 onde estinguere il debito condominiale, riportato in tre cartelle di pagamento, per omessi contributi inerenti il contratto di lavoro subordinato con il portiere riversando solo in parte (precisamente per E 584,00) quanto raccolto, così che indimostrata è la destinazione del residuo importo di E 235,25 oltre che in ogni caso dovuti gli addebiti per interessi, sanzioni e agio richiesti dall’ente delegato alla riscossione nella misura di E 48,91, posto che l’omesso o parziale versamento dei contributi è da imputare all’amministratore medesimo.

Conclusivamente, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, Ig. Di Le. deve essere condannato al pagamento del minor importo di E 4.043,07 (1.589,69 + 1.830,00 + 339,22 + 235,25 + 48,91). Trattandosi di debito di valore, in quanto generato da obbligazione risarcitoria, l’importo indicato deve essere maggiorato della rivalutazione monetaria con decorrenza dalla data di consumazione dell’illecito, identificata dal Tribunale, con statuizione non gravata da impugnazione, nel giorno 11.1.2008, e degli interessi da ritardo computati al saggio legale con la medesima decorrenza, sulla sorte anno per anno rivalutata, sì da ascendere alla data odierna a E 5.369,62 (dei quali E 712,00 a titolo di interessi equitativamente arrotondati), soma sulla quale dalla data della presente sentenza sino al dì dell’effettiva corresponsione decorreranno altri interessi nella misura del saggio legale.

Avuto riguardo all’esito della controversia, che ha accolto in minima parte le ragioni di credito azionate dal condominio attore in primo grado, si ravvisano i presupposti per compensare in ragione di ¾ tra le parti le spese di lite, dovendo la rimanente porzione, liquidata in E 1.830,00, di cui E 130,00 per esborsi ed E 1.700,00 per compensi, per il giudizio di primo grado, ed E 1.900,00 per il presente grado di giudizio (di cui E 650,00 per la fase di studio, E 350,00 per la fase introduttiva ed E 900,00 per la fase decisionale), maggiorati entrambi gli importi con c.p.a. e i.v.a come per legge e spese forfetarie ex d.m. n. 55/2014, essere posta a carico di Ig. Di Le..

P.Q.M.

La Corte di Appello, definitivamente pronunziando, in parziale riforma della sentenza n. 4637 pronunziata dal Tribunale di Palermo il 1.9.2015, appellata da Di Le. Ig. con atto notificato al Condominio di via E. in Palermo il giorno 26.2.2016, riduce a E 5.369,62, oltre interessi al saggio legale con decorrenza dalla data della presente sentenza sino al dì dell’effettiva corresponsione, l’importo per cui è condanna a carico dell’appellante Di Le. Ig. e in favore del Condominio;

compensa in ragione di ¾ tra le parti le spese del giudizio e condanna Di Le. Ig. alla refusione in favore del condominio appellato del rimanente ¼, liquidato in E 1.930,000 per il giudizio di primo grado ed in E 1.900,00 per il presente grado di giudizio, maggiorati entrambi gli importi di c.p.a. e iva nella misura di legge e spese forfetarie ex d.m. n. 55/20914.

Così deciso in Palermo, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte di Appello in data 8 luglio 2021.

Depositata in cancelleria il 22/07/2021

 


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