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Maestra sculaccia bambini: commette reato?

21 Ottobre 2021 | Autore:
Maestra sculaccia bambini: commette reato?

Quando scatta l’accusa per il delitto di maltrattamenti, di abuso dei mezzi di correzione e di lesioni personali a carico dell’insegnante che percuote gli alunni.

I sistemi pedagogici si sono molto evoluti nell’epoca moderna. Certe pratiche “educative” che nel secolo scorso erano esercitate in ambito scolastico e tollerate dai genitori, come uno schiaffo sul viso o una sculacciata ad un alunno “ribelle”, adesso sono considerate in modo pressoché unanime come violenza fisica ed anche psicologica. Le norme penali, invece, come quelle sull’abuso dei mezzi di correzione e sui maltrattamenti, sono rimaste le stesse di quasi un secolo fa. È cambiata molto, però, la loro interpretazione. Questa premessa è necessaria per capire se, al giorno d’oggi, una maestra che sculaccia i bambini commette reato.

Negli anni più recenti, i giudici hanno adottato la linea dura contro questi episodi: le percosse di qualsiasi tipo costituiscono violenza e, perciò, gli insegnanti che usano abitualmente le punizioni corporali vengono quasi sempre ritenuti colpevoli del reato di maltrattamenti, che è molto più grave di quello dell’abuso dei mezzi di correzione e di disciplina. Inoltre, se gli schiaffi lasciano segni sul corpo o nella psiche del bambino, c’è anche il reato di lesioni personali.

Ma alcune pronunce vanno in controtendenza, come una recentissima sentenza della Corte di Cassazione [1] che ha prosciolto dalle accuse alcune maestre d’asilo che talvolta avevano sculacciato i loro piccoli allievi e c’era la prova di questi episodi, registrati dalle telecamere. In realtà, questa sentenza non fa altro che applicare gli stessi principi già adottati dalla giurisprudenza in questi inquietanti casi. L’apprezzamento dei fatti e della loro gravità è fortemente intrecciato con il loro inquadramento giuridico, ma viene sempre prima di esso e ciò è necessario per evitare interpretazioni distorte. Un conto è una punizione corporale adottata in modo sistematico e reiterato, un altro conto è uno «schiaffetto» – così lo definisce la Corte – occasionale e che non turba la serenità del rapporto tra maestre e bambini.

Cerchiamo allora di orientarci in questo difficile campo per capire se e quando una maestra che sculaccia i bambini commette un reato e, in caso affermativo, di quale reato si tratta e quali sono le conseguenze penali.

Sculacciare un bambino è reato?

La sculacciata, come tutti sappiamo, è una percossa ripetuta sul sedere, che viene data con la mano aperta. È compiuta con l’intenzione di provocare un piccolo dolore fisico, che viene inflitto dall’adulto come castigo e punizione per qualche mancanza, bugia, capriccio o altra marachella commessa dal bambino. Gli esperti la ritengono sbagliata, perché non aiuta il bambino a comprendere il comportamento giusto: soprattutto i bimbi più piccoli non sono in grado di comprendere il motivo di questa punizione e ciò può provocare ansia, frustrazione e ribellione. Le maestre, che sono professioniste dell’educazione, conoscono bene questi concetti.

A livello giuridico, i reati configurabili per una sculacciata sono diversi e la qualificazione del fatto costituente reato dipende soprattutto dalla frequenza di ripetizione e dell’intensità delle percosse.

I reati ravvisabili in una sculacciata sono, a seconda dei casi:

  • le percosse: il reato punisce chi colpisce fisicamente una persona senza che da ciò derivi una malattia nel corpo o nella mente [2];
  • le lesioni personali, quando dalla sculacciata deriva una conseguenza fisica (lividi, ecchimosi, contusioni, escoriazioni, ferite) o psichica [3];
  • l’abuso dei mezzi di correzione e di disciplina, «se dal fatto deriva il pericolo di una malattia, nel corpo o nella mente» [4];
  • i maltrattamenti, che si configurano quando le condotte esulano da ogni finalità educativa. Sono la fattispecie più grave, in quanto il reato è punito con la reclusione da tre a sette anni, ma la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in danno di un minore, come avviene nelle scuole dell’infanzia e dell’obbligo. Inoltre, il delitto di maltrattamenti può concorrere con quello di lesioni personali.

Maestra sculaccia i bambini: cosa fare?

Il bambino che viene percosso abitualmente e in modo intenso mostra segni fisici ed anche di malessere psicologico che i genitori possono riconoscere. Il comportamento del bimbo rivela molto: c’è il disagio nell’andare a scuola o all’asilo, un nervosismo eccessivo, il pianto immotivato, frequenti sbalzi d’umore e di comportamento. Il bambino può confidarsi con i genitori e rivelare direttamente gli episodi di violenza che ha subito; altrimenti può essere d’aiuto la visita di un pediatra e di uno psicologo infantile che possono individuare e riconoscere i segni meno evidenti.

Se gli episodi di violenza vengono riconosciuti, gli insegnanti possono essere denunciati alle autorità (Procura della Repubblica, Polizia, Carabinieri). I genitori espongono i fatti che hanno appreso e lasciano agli inquirenti il compito di accertarli e di qualificarli in uno dei reati ipotizzabili che ti abbiamo descritto. Per conoscere in dettaglio questi rimedi leggi l’articolo “Docente maltratta alunno: che fare?“.

Sculacciate in classe: la prova delle telecamere

Di solito, le sculacciate vengono inferte ai bambini più piccoli, che potrebbero avere ritrosia a rivelare direttamente di averle subite. Gli inquirenti, per acquisire la prova dei fatti denunciati dai genitori, potranno decidere di installare le telecamere a scuola in modo da riprendere, attraverso la videosorveglianza nascosta. la vita quotidiana nella classe e così di verificare se le maestre compiono davvero condotte violente sui bambini. I filmati spesso si rivelano utili per incastrare gli insegnanti che compiono atti illeciti.

Sculacciate ai bambini: quando non sono reato?

La nuova sentenza della Cassazione [1] che ti abbiamo anticipato all’inizio ha riscontrato, attraverso le registrazioni audio e video compiute nell’aula d’asilo, che le maestre in alcune occasioni avevano sculacciato i bambini, ma ha ritenuto che tale condotta non fosse sufficiente per integrare il reato di maltrattamenti. Così le maestre incriminate sono state assolte. La Corte afferma che le sculacciate sono «moralmente non apprezzabili» ed «errate sotto il profilo pedagogico», ma sostiene che esse «non assumono rilievo penale».

Il Collegio è giunto a questa decisione perché dalle videoriprese – protratte per due mesi di osservazione – era emerso che «la vita all’interno del nido riservava anche molti momenti di serenità con atteggiamenti affettuosi delle maestre nei confronti dei bambini». Inoltre, mancavano «precisi elementi indicatori di un disagio psicologico nei bambini», che, invece, «si affidano sereni alle maestre nei momenti di tranquillità, senza che sia possibile riscontrare un clima di paura da parte loro». Perciò, gli Ermellini hanno sancito che «non è stata accertata la sussistenza di condotte violente sistematiche, tali da determinare un clima di abituale afflizione nei bambini» e non era ipotizzabile «una situazione, all’interno della classe, caratterizzata da un atteggiamento fortemente persecutorio delle maestre».

A salvare le maestre dall’accusa di maltrattamenti è stata decisiva la constatazione che, «a parte l’uso, da parte loro, di un linguaggio non appropriato nei termini e nei modi, e alcuni momenti di proibizioni e singoli episodi di violenza fisica – uno schiaffetto o una sculacciata –», tutte le condotte si inserivano «nel contesto di un’intera giornata in cui non mancavano spontanee manifestazioni di affetto da parte delle maestre e scene di serenità». Quindi – osserva la sentenza – «sono mancati comportamenti reiterati costituenti maltrattamenti e assistiti dalla necessaria coscienza e volontarietà, non essendosi realizzate quelle condizioni di ripetizione di atti vessatori idonee a determinare la sofferenza fisica o morale continuativa dei bambini, difettando, del resto, in loro anche comprovati turbamenti psichici o danni psicologici».

In definitiva, secondo il ragionamento dei giudici di piazza Cavour quello che conta è la serenità del rapporto tra maestra e bambini, che una sculacciata non può turbare. Puoi leggere la sentenza per esteso nel riquadro al termine di questo articolo. Per approfondire leggi anche “Maltrattamenti agli alunni: ultime sentenze“.


note

[1] Cass. sent. n. 36393 del 07.10.2021.

[2] Art. 581 Cod. pen.

[3] Art. 582 Cod. pen.

[4] Art. 571 Cod. pen.

[5] Art. 572 Cod. pen.

Cass. pen., sez. II, ud. 10 settembre 2021 (dep. 7 ottobre 2021), n. 36393

Presidente Rago – Relatore Di Pisa

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 18/12/2020 la Corte di Appello di Genova, pronunziando in sede di rinvio, confermava integralmente la sentenza assolutoria del Tribunale di Imperia del 29/06/2017 impugnata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Imperia nei confronti di R.R. e P.P. imputate per maltrattamenti nei confronti di minori compiuti nella loro qualità di educatrici in servizio presso la struttura “(…)”. La corte territoriale, dopo avere proceduto alla rinnovazione dell’attività istruttoria in conformità a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la pronunzia di annullamento della sentenza di condanna adottata in grado di appello, confermava la ricostruzione e la valutazione operata dal primo giudice ritenendo che le condotte contestate “ancorché moralmente non apprezzabili o giudicate errate sotto il profilo pedagogico” non assumevano rilievo penale.

2. Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Genova il quale, con un unico motivo articolato in più censure, deduce violazione dell’art. 192 c.p., comma 2 e art. 572 c.p.p.. L’ufficio impugnante lamenta, in primo luogo, che la corte di merito aveva errato nel disattendere la richiesta della Procura di sentire i genitori dei minori, incombente istruttorio necessario al fine di una migliore comprensione dei fatti accertati dai periti. Nel richiamare quanto riferito dalla teste L. nonché una serie di episodi significativi del clima all’interno della struttura “(…)” indicati dal perito Dott.ssa T.L. nel proprio elaborato all’interno del materiale audio ed iconografico acquisito, rileva come la corte di appello era pervenuta ad una pronunzia assolutoria violando il dettato di cui all’art. 572 c.p., così come interpretato dalla Corte di Cassazione, non considerando che nel caso in esame da una lettura unitaria e non parcellizzata del materiale probatorio, era emersa la prova di condotte prevaricatrici, di sopraffazione, di violenza verbale o psicologica da parte delle imputate integranti la fattispecie penale contestata.

3. I difensori delle imputate R.R. e P.P. hanno depositato memorie rispettivamente in data 20 e 22 Luglio 2021 con le quali hanno chiesto, entrambe, la declaratoria di inammissibilità del ricorso rilevando che lo stesso mirava ad una rilettura degli accadimenti in questione e che nella specie non sussisteva alcuna responsabilità delle imputate difettando la prova di una condotta di vessazione continuativa fonte di disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di vita dei minori.

4. Il difensore della parte civile C.G. ha depositato conclusioni scritte e nota spese.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Va, in primo luogo, rilevata la manifesta infondatezza della censura relativa al rigetto della istanza istruttoria avanzata dalla Procura appellante finalizzata alla audizione dei genitori dei minori, incombente ritenuto necessario al fine di una migliore comprensione dei fatti accertati dai periti. La scelta della corte di appello di rinnovare l’istruttoria dibattimentale limitatamente alla nuova audizione dei testi L.R. e S.D. e di procedere all’esame del perito Dott.ssa T.L. si pone in linea con l’orientamento secondo cui in caso di impugnazione della sentenza di assoluzione da parte del pubblico ministero, l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, previsto dall’art. 603 c.p.p., comma 3-bis, anche con riferimento alle prove a discarico richieste dalla difesa, non riguarda tutte le prove dichiarative assunte in primo grado, ma solo quelle che, secondo le ragioni specificatamente prospettate nell’atto di impugnazione, siano state oggetto di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado e siano ritenute decisive ai fini della valutazione di responsabilità. (Sez. 3 -, Sentenza n. 16444 del 04/02/2020 Ud. (dep. 29/05/2020) Rv. 279425 – 02. In generale va osservato che la scelta della corte di appello di non dare corso ad ulteriori incombenti istruttori alla luce delle complessive emergenze processuali deve ritenersi frutto di una scelta discrezionale non sindacabile in questa sede.

3. Osserva, quindi, la Corte che le ulteriori censure risultano proposte per motivi non consentiti o comunque sono da ritenere manifestamente infondate. Deve premettersi che i giudici di appello, valutato il complessivo materiale istruttorio in conformità a quanto ricostruito dal primo giudice, hanno evidenziato come, sebbene era risultato che in talune occasioni i metodi educativi utilizzati dalle due imputate apparivano improntati a severità e rigore, al di là di una inadeguatezza sul piano pedagogico-educativo di tali metodi, non sussistevano elementi di prova sufficienti per ritenere la condotta contestata penalmente rilevante in quanto dall’osservazione di tutte le video-riprese acquisite agli atti era emerso che “la vita all’interno del nido riservava anche molti momenti di serenità con atteggiamenti affettuosi delle maestre nei confronti dei bambini, argomento non contestabile e rilevato dal giudice di primo grado nel considerare che circa due mesi di intercettazioni abbiano solo fatto sorgere pochi casi dubbi e per il resto nulla di rilevante”. Ed, ancora, hanno precisato come appariva significativa nel senso di escludere la configurabilità del reato contestato “la riscontrata mancanza da parte del perito di precisi elementi indicatori di un disagio psicologico, con i bambini che si affidano sereni alle maestre nei momenti di tranquillità senza che sia possibile riscontrare un clima di paura da parte loro…. elemento che si salda coerentemente con il contestato di ordinaria tranquillità appena descritto”. Una simile ricostruzione non può ritenersi inficiata dalle censure dell’ufficio impugnante che ha prospettato una erronea lettura delle complessive risultanze istruttorie e, segnatamente, dell’elaborato del perito in cui sono stati indicati una serie di episodi – analiticamente richiamati in ricorso alle pagg. 6/11 – nonché delle dichiarazioni della teste L. la quale avrebbe confermato il clima di prevaricazione e sopraffazione verificatosi all’interno dell’asilo. Occorre considerare che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015 – dep. 27/11/2015, Musso, Rv. 26548201). Deve, anche, rilevarsi che in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento”. (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 – dep. 31/03/2015, 0., Rv. 26296501). Muovendo da tali coordinate ermeneutiche deve ritenersi che la sentenza impugnata, da leggere unitamente alla sentenza assolutoria di primo grado vertendosi in ipotesi di c.d. doppia conforme, appare immune da censure. Il dato di partenza del comune ragionamento dei giudici di merito, attiene alla circostanza che le video riprese eseguite per un breve lasso di tempo non avevano fatto emergere che pochi episodi di scarso significato e che le stesse risultanze della perizia, che aveva preso le mosse da dette riprese, non aveva palesato chiari disagi da parte dei bambini ospiti dell’asilo. Secondo la conforme ricostruzione dei giudici di merito oggetto di argomentazioni adeguate e prive di aporie logico-giuridiche non è stata accertata, quindi, la sussistenza di condotte violente sistematiche tali da determinare un clima di abituale afflizione da parte dei relativi destinatari, occorrendo, per contro, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 572 c.p. che l’impiego indebito di strumenti correttivi si ripeta e, per l’effetto, nella classe si venga a realizzare un regime di sistematica prevaricazione in danno dei minori. Il concetto di maltrattamenti, come costantemente osservato, presuppone una condotta abituale, che si estrinseca in più atti lesivi, realizzati in tempi successivi, dell’integrità, della libertà, dell’onore, del decoro del soggetto passivo o più semplicemente in atti di disprezzo, di umiliazione, di asservimento che offendono la dignità della vittima. Fatti episodici, pur lesivi dei diritti fondamentali della persona, ma non riconducibili nell’ambito della descritta cornice unitaria, perché traggono origine da situazioni contingenti e particolari che sempre possono verificarsi nei rapporti interpersonali non integrano il delitto di maltrattamenti, ma conservano eventualmente, se ne ricorrono i presupposti, la propria autonomia come delitti contro la persona, già di per sé sanzionati dall’ordinamento giuridico. La corte d’appello, pure valutati i singoli episodi ritenuti maggiormente significativi (c.d. episodio del “grazie” del 13/12/2014; c.d. episodio del “taglio di capelli” del 22/01/2014 e c.d. episodio del “colpo di padella” del 23/01/2014) ha, per contro, con specifica e articolata motivazione, ricostruito i fatti con lettura unitaria e tutt’ altro che parcellizzata, nel senso della insussistenza di una situazione, all’interno della classe, caratterizzata da un atteggiamento fortemente persecutorio delle maestre odierne imputate nei confronti di alcuni bambini ovvero dell’intera classe non essendosi realizzate, di fatto, quelle condizioni di ripetizione di atti vessatori idonee a determinare la sofferenza fisica o morale continuativa delle persone offese, difettando, del resto, comprovati turbamenti psichici e/o danni psicologici per i minori. La corte territoriale ha, pure, chiarito quanto alle dichiarazioni delle teste L.R. , educatrice supplente che aveva prestato la propria attività lavorativa presso l’asilo (…) X per il periodo di circa un anno a decorrere da marzo 2011, come la stessa aveva manifestato una valutazione negativa della professionalità delle due educatrici e di inadeguatezza dei metodi pedagogici utilizzati ma dalle condotte descritte dalla medesima non era dato desumere un abituale clima di sopraffazione e vessazione nei piccoli fonte di stato di malessere psico-fisico e/o di sofferenza. I giudici di appello, con argomentazioni che non appaiono nè carenti nè illogiche nè contraddittorie, risentito il perito ed esaminati i files audio-video in atti, hanno posto l’accento sul fatto che, a parte l’uso di un linguaggio non appropriato nei termini e nei modi, i momenti di proibizioni e singoli episodi di violenza fisica (lo “schiaffetto” o la “sculacciata”) tutte le condotte si inserivano nel contesto dell’intera giornata in cui non mancavano spontanee manifestazioni di affetto da parte delle maestre e scene di serenità, precisando, pure, che l’episodio del “taglio di una ciocca di capelli” non poteva in alcun modo qualificarsi come gesto maltrattante, non trattandosi di un gesto punitivo bensì di un modo “sbrigativo” di risolvere un problema legato ad un nodo nei capelli di una bambina. In definitiva, come ricostruito dai giudici di merito, sono mancati comportamenti reiterati costituenti maltrattamenti e assistiti dalla necessaria coscienza e volontarietà. Si tratta di un apprezzamento articolato, attento alle risultanze processuali in continuo confronto con le deduzioni difensive, che è pervenuto ad una conclusione in linea con l’insegnamento della Suprema Corte secondo cui solo l’uso sistematico di condotte siffatte, quale trattamento ordinario del minore, anche lì dove sostenuto dall’animus corrigendi” concretizza, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, gli estremi del delitto di maltrattamenti (Sez. 6, sent. 36564/2012 e sent. 45467/2010). Difettando l’abitualità e la significativa pluralità delle azioni vessatorie, fisiche e psicologiche poste in essere dalle imputate nei confronti dei minori alle stesse affidate per ragione di educazione e mancando un rapporto mortificante e terrorizzante per i piccoli (come desumibile univocamente dalla accertata insussistenza di segni di rilevante e stabilizzato disagio in capo ai bambini) e risultando per contro ricostruiti momenti significativi di tranquillità e serenità, le conclusioni cui sono pervenuti i primi giudici oltre che oggetto di adeguata ricostruzione appaiono corrette in diritto contrariamente a quanto lamentato dall’ufficio ricorrente. A fronte della ricostruzione delle condotte delittuose in esame appare di tutta evidenza che la tesi difensiva dell’ufficio ricorrente – che fondamentalmente suggerisce una diversa lettura di taluni dei dati probatori – non è diretta a contestare la logicità dell’impianto argomentativo delineato nella motivazione della decisione impugnata, ma si risolve nella contrapposizione, a fronte del giudizio espresso dai giudici di merito, di una alternativa ricostruzione dei fatti, evidentemente sottratta alla delibazione di questa Suprema Corte in ragione dei limiti posti alla cognizione di legittimità dall’art. 606 c.p.p.. Parte ricorrente solo formalmente ha indicato vizi della motivazione della decisione gravata, ma non ha, invero, prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni nè è stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dagli atti del procedimento, dati per conto compiutamente valutati dai giudici di merito. Pertanto non essendo evidenziabile alcuno dei vizi motivazionali deducibili in questa sede quanto alla affermazione della penale responsabilità in ordine al reato di cui sopra e non essendo configurabile, quindi, la dedotta contraddittorietà della motivazione anche tenuto conto dei poteri del giudice di merito in ordine alla valutazione della prova, le censure, essendo sostanzialmente tutte incentrate su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, appaiono manifestamente infondate.

4. Per le considerazioni esposte, dunque, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

5. In ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso nessuna statuizione va emessa quanto alle spese processuali sostenute dalle parti civili.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.


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