Cass. civ., sez. VI – 1, ord., 21 ottobre 2021, n. 29290
Presidente Bisogni – Relatore Fidanzia
Rilevato
– che con sentenza n. 6012/2019, depositata il 9.10.2019, la Corte d’Appello di Roma, nella causa di divorzio proposta da N.A. nei confronti della moglie T.F. , ha respinto l’appello proposto da quest’ultima, contumace in primo grado, finalizzata ad ottenere il versamento da parte dell’ex coniuge di un assegno divorzile, nella misura ritenuta congrua fino all’estinzione dei debiti dell’impresa familiare prima intestata all’appellante e successivamente alla separazione esercitata in proprio dall’appellato;
– che il giudice di primo grado, ha, in primis, accolto l’eccezione sollevata dal N. dell’inammissibilità della domanda di attribuzione di un assegno divorzile proposta per la prima volta in grado di appello per violazione dell’art. 345 c.p.c., e, quanto al merito, ha ritenuto, l’insussistenza delle condizioni per avere diritto al richiesto assegno;
– che avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.F. affidandolo a tre motivi, mentre N.A. si è costituito in giudizio con controricorso;
che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c.;
che il controricorrente ha depositato la memoria ex. art. 380 bis c.p.c..
Considerato
1. che con il primo motivo, illustrati n& paragrafo § 1 in quattro distinti capitoli 1.1., 1.2., 1.3. e 1.3.1., è stato dedotto l’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, riguardanti, rispettivamente, la situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi, il contributo fornito dalla sig.ra T. alla formazione del patrimonio personale del marito, l’inadeguatezza dei mezzi della ricorrente e della sua incapacità di procurarseli;
– 2. che con il secondo motivo, illustrato nel paragrafo § 2, è stata dedotta la violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonché la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6;
3. che con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 345 c.p.c., nonché alla L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 15, per essere stato violato il principio del rebus sic stantibus che permea i procedimenti in materia di famiglia;
– che, in particolare, la ricorrente evidenzia di aver allegato nel paragrafo § 2 dell’atto di appello la circostanza (di cui era venuta a conoscenza dopo la sentenza di primo grado) che il sig. N. , dopo la proposizione del ricorso nel quale aveva dedotto di essere privo di reddito e di lavoro, nel corso del giudizio di primo grado e comunque prima della pronuncia della sentenza di primo grado, si era intestato il negozio di famiglia ad Agropoli, venendosi in tal modo a modificare le condizioni economiche dei coniugi che erano presenti al momento dell’instaurazione del giudizio di divorzio;
– che, pertanto, la richiesta di attribuzione dell’assegno di divorzio svolta per la prima volta in grado di appello era ammissibile;
4. che il terzo motivo, da esaminarsi con priorità rispetto agli altri investendo la statuizione di natura processuale della Corte d’Appello, con cui è stata accolta l’eccezione di inammissibilità della domanda di assegno di divorzio, proposta per la prima volta in appello, è fondato;
che, in particolare, questa Corte (Cass. n. 3925 del 12/03/2012), ha già da tempo enunciato il principio di diritto secondo cui, nel giudizio di divorzio, se, da un lato, la domanda di assegno deve essere proposta nel rispetto degli istituti processuali propri di quel rito, quindi dovendo essere necessariamente contenuta nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nella comparsa di risposta, tuttavia, dall’altro, deve escludersi la relativa preclusione nel caso in cui i presupposti del diritto all’assegno maturino nel corso del giudizio, in quanto la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime della separazione, postulano la possibilità di modularne la misura al sopravvenire di nuovi elementi di fatto;
che, d’altra parte, neppure può trovare applicazione l’istituto del giudizio di revisione L. n. 898 del 1970, ex art. 9, atteso che, nei procedimenti di separazione e divorzio, ove gli elementi di fatto che possono incidere sull’attribuzione e determinazione degli obblighi economici siano verificati in corso di causa, devono essere presi in esame nel corso del giudizio, in quanto governato dalla regola rebus sic stantibus, trovando applicazione l’istituto della revisione soltanto in relazione ai fatti successivi all’accertamento coperto da giudicato, dovendo, invece, le altre emergenze essere esaurite nei gradi d’impugnazione relativi al merito (Cass. n. 174/2020);
che, pertanto, la Corte d’Appello è incorsa nella violazione dell’art. 345 c.p.c.;
5. che i motivi residui, che investono le argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello sul merito del ricorso, sono inammissibili per difetto di interesse, per effetto dell’accoglimento del motivo, che ha investito la statuizione di natura processuale del giudice di secondo grado;
– che, in proposito, è orientamento consolidato di questa Corte (Cass. n. 11675 del 16/06/2020; vedi anche Cass. S.U. n. 2155/21; Cass. n. 30393/2017; Cass. n. 17004/2015) che, ove il giudice, dopo avere dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della “potestas iudicandi”, abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e, quindi, prive di effetti giuridici con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità la quale costituisce la vera ragione della decisione;
che deve pertanto cassarsi la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso limitatamente al terzo motivo, inammissibili gli altri, rinvia Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.