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Si può chiedere l’assegno di mantenimento durante la causa?

22 Ottobre 2021 | Autore:
Si può chiedere l’assegno di mantenimento durante la causa?

L’ex coniuge può modificare, in corso di causa o anche in appello per la prima volta, la misura dell’assegno di mantenimento se cambiano le condizioni economiche delle parti. 

In una causa di separazione o di divorzio, la domanda volta ad ottenere l’assegno di mantenimento deve essere avanzata all’inizio del giudizio ossia nell’atto di ricorso o nella comparsa di risposta. Non si può integrare o modificare la domanda in corso di causa. Ma cosa succede se, durante il processo, cambiano le condizioni economiche di una delle parti? 

Ipotizziamo una donna che, all’inizio del giudizio di divorzio, vanti un contratto part-time e che pertanto chieda all’ex marito un assegno mensile di soli 200 euro ma che, dopo qualche mese, prima ancora che il giudice emetta la sentenza, venga licenziata. Potrebbe allora modificare la domanda processuale nonostante il processo sia già iniziato o farlo addirittura per la prima volta in sede di appello? Si può chiedere l’assegno di mantenimento durante la causa? 

A tale importante domanda ha risposto proprio di recente la Cassazione [1]. Ecco quali sono le regole da applicare in casi come questo.

Modifica delle sentenze e delle domande 

In generale, una sentenza definitiva (ossia «passata in giudicato») non può più essere oggetto di modifica. Nessun magistrato può giudicare due volte sulla stessa vertenza, neanche se una delle parti ha dimenticato di eccepire questioni importanti nel corso del processo (se ciò è dipeso dall’avvocato scatterà eventualmente una responsabilità professionale di quest’ultimo e l’obbligo del risarcimento).

Neanche in appello è possibile presentare nuove domande o prove: il secondo grado serve solo a valutare nuovamente gli stessi fatti decisi in primo grado che si asseriscono giudicati in modo non corretto. Se infatti si introducessero in appello fatti nuovi, per questi non vi sarebbe la possibilità di un ulteriore grado di giudizio. Lo stesso vale in Cassazione.

Inoltre, nel processo civile, vige il principio di immodificabilità della domanda introduttiva: una volta fissato il tema del giudizio, le parti non possono ampliarlo introducendo nuove questioni (cosiddetta «preclusione processuale»).

Modifica delle condizioni di separazione o divorzio 

Le regole appena elencate valgono anche nei giudizi di separazione o divorzio a patto che le condizioni economiche delle parti restino le stesse. Se invece mutano – sia nel corso del processo che al termine dello stesso – allora è ben possibile chiedere una revisione dell’assegno di mantenimento. Ne abbiamo già parlato in Presupposti per la revisione dell’assegno di mantenimento.

In altre parole, nell’ambito delle questioni familiari (e solo per queste), la legge consente di scavallare il principio della “immodificabilità della domanda introduttiva” e della sentenza finale tutte le volte in cui mutino sostanzialmente gli assetti reddituali delle parti. Si pensi al caso di una donna che subisce un licenziamento o a un uomo divenuto invalido e, pertanto, incapace di lavorare. 

A tali condizioni, nel corso del processo di primo grado avente ad oggetto la separazione o divorzio: 

  • si può modificare l’importo richiesto a titolo di mantenimento;
  • si può chiedere un mantenimento a cui invece si era inizialmente rinunciato con l’atto introduttivo.

Allo stesso modo, nel corso del processo di appello di separazione e divorzio:

  • si può chiedere un mantenimento che non era stato richiesto in primo grado;
  • si può chiedere un mantenimento superiore rispetto a quello richiesto in primo grado.

Ed in ultimo, nonostante la sentenza sia divenuta irrevocabile, è possibile chiedere una revisione delle condizioni di separazione e divorzio. 

Non c’è quindi alcuna preclusione alla modifica delle domande processuali, anche in appello, nel caso in cui i presupposti del diritto all’assegno maturino nel corso del giudizio. E ciò perché la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza della separazione o del divorzio presuppongono la possibilità di modularne la misura al sopravvenire di nuovi elementi di fatto.

L’assegno di divorzio può essere chiesto per la prima volta anche in appello

Applicando questi principi, nella pronuncia richiamata in apertura, la Cassazione ha precisato che l’assegno di divorzio può essere chiesto per la prima volta anche in appello tutte le volte in cui i presupposti per ottenere il beneficio maturano nel corso del giudizio.

Approfondimenti

Per maggiori approfondimenti, leggi:


note

[1] Cass. ord. n. 29290/21 del 21.10.2021.

Autore immagine: depositphotos.com

Cass. civ., sez. VI – 1, ord., 21 ottobre 2021, n. 29290

Presidente Bisogni – Relatore Fidanzia

Rilevato

– che con sentenza n. 6012/2019, depositata il 9.10.2019, la Corte d’Appello di Roma, nella causa di divorzio proposta da N.A. nei confronti della moglie T.F. , ha respinto l’appello proposto da quest’ultima, contumace in primo grado, finalizzata ad ottenere il versamento da parte dell’ex coniuge di un assegno divorzile, nella misura ritenuta congrua fino all’estinzione dei debiti dell’impresa familiare prima intestata all’appellante e successivamente alla separazione esercitata in proprio dall’appellato;

– che il giudice di primo grado, ha, in primis, accolto l’eccezione sollevata dal N. dell’inammissibilità della domanda di attribuzione di un assegno divorzile proposta per la prima volta in grado di appello per violazione dell’art. 345 c.p.c., e, quanto al merito, ha ritenuto, l’insussistenza delle condizioni per avere diritto al richiesto assegno;

– che avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.F. affidandolo a tre motivi, mentre N.A. si è costituito in giudizio con controricorso;

che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c.;

che il controricorrente ha depositato la memoria ex. art. 380 bis c.p.c..

Considerato

1. che con il primo motivo, illustrati n& paragrafo § 1 in quattro distinti capitoli 1.1., 1.2., 1.3. e 1.3.1., è stato dedotto l’omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, riguardanti, rispettivamente, la situazione reddituale e patrimoniale dei coniugi, il contributo fornito dalla sig.ra T. alla formazione del patrimonio personale del marito, l’inadeguatezza dei mezzi della ricorrente e della sua incapacità di procurarseli;

– 2. che con il secondo motivo, illustrato nel paragrafo § 2, è stata dedotta la violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in combinato disposto con l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonché la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6;

3. che con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 345 c.p.c., nonché alla L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 15, per essere stato violato il principio del rebus sic stantibus che permea i procedimenti in materia di famiglia;

– che, in particolare, la ricorrente evidenzia di aver allegato nel paragrafo § 2 dell’atto di appello la circostanza (di cui era venuta a conoscenza dopo la sentenza di primo grado) che il sig. N. , dopo la proposizione del ricorso nel quale aveva dedotto di essere privo di reddito e di lavoro, nel corso del giudizio di primo grado e comunque prima della pronuncia della sentenza di primo grado, si era intestato il negozio di famiglia ad Agropoli, venendosi in tal modo a modificare le condizioni economiche dei coniugi che erano presenti al momento dell’instaurazione del giudizio di divorzio;

– che, pertanto, la richiesta di attribuzione dell’assegno di divorzio svolta per la prima volta in grado di appello era ammissibile;

4. che il terzo motivo, da esaminarsi con priorità rispetto agli altri investendo la statuizione di natura processuale della Corte d’Appello, con cui è stata accolta l’eccezione di inammissibilità della domanda di assegno di divorzio, proposta per la prima volta in appello, è fondato;

che, in particolare, questa Corte (Cass. n. 3925 del 12/03/2012), ha già da tempo enunciato il principio di diritto secondo cui, nel giudizio di divorzio, se, da un lato, la domanda di assegno deve essere proposta nel rispetto degli istituti processuali propri di quel rito, quindi dovendo essere necessariamente contenuta nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nella comparsa di risposta, tuttavia, dall’altro, deve escludersi la relativa preclusione nel caso in cui i presupposti del diritto all’assegno maturino nel corso del giudizio, in quanto la natura e la funzione dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio, così come quelli attinenti al regime della separazione, postulano la possibilità di modularne la misura al sopravvenire di nuovi elementi di fatto;

che, d’altra parte, neppure può trovare applicazione l’istituto del giudizio di revisione L. n. 898 del 1970, ex art. 9, atteso che, nei procedimenti di separazione e divorzio, ove gli elementi di fatto che possono incidere sull’attribuzione e determinazione degli obblighi economici siano verificati in corso di causa, devono essere presi in esame nel corso del giudizio, in quanto governato dalla regola rebus sic stantibus, trovando applicazione l’istituto della revisione soltanto in relazione ai fatti successivi all’accertamento coperto da giudicato, dovendo, invece, le altre emergenze essere esaurite nei gradi d’impugnazione relativi al merito (Cass. n. 174/2020);

che, pertanto, la Corte d’Appello è incorsa nella violazione dell’art. 345 c.p.c.;

5. che i motivi residui, che investono le argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello sul merito del ricorso, sono inammissibili per difetto di interesse, per effetto dell’accoglimento del motivo, che ha investito la statuizione di natura processuale del giudice di secondo grado;

– che, in proposito, è orientamento consolidato di questa Corte (Cass. n. 11675 del 16/06/2020; vedi anche Cass. S.U. n. 2155/21; Cass. n. 30393/2017; Cass. n. 17004/2015) che, ove il giudice, dopo avere dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della “potestas iudicandi”, abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e, quindi, prive di effetti giuridici con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità la quale costituisce la vera ragione della decisione;

che deve pertanto cassarsi la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso limitatamente al terzo motivo, inammissibili gli altri, rinvia Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.


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