Cass. civ., sez. VI – ord. 20 ottobre 2021, n. 29195
Presidente Ferro – Relatore Fidanzia
Rilevato che:
– la Corte d’Appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto da V.M. nei confronti di S.I., e in parziale riforma della sentenza n. 8143/2019 del Tribunale di Roma, ha assegnato a quest’ultima un assegno divorzile dell’importo di Euro 1.200,00 mensili a carico dell’ex marito;
– avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione V.M., affidandolo a tre motivi, mentre S.I. ha resistito con controricorso;
che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis.
Considerato che:
1. con il primo motivo è stata dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 360 c.p.c., n. 4;
che, in particolare, il ricorrente deduce di aver svolto quattro motivi d’appello, aventi ad oggetto, rispettivamente, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., (primo motivo), il difetto di motivazione della sentenza e/o motivazione apparente (secondo motivo) e l’insufficienza, inadeguatezza, incongruità, incoerenza, illogicità e/ contraddittorietà della motivazione della sentenza (terzo motivo), la non debenza dell’assegno divorzile (quarto motivo);
– la Corte d’Appello non ha fatto il minimo accenno ai motivi predetti, e in particolare, alla dedotta violazione dell’art. 132 c.p.c., con conseguente violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato;
2. il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza e specificità;
– che, infatti, il ricorrente si è limitato soltanto ad indicare la rubrica dei motivi svolti in appello, ma senza indicarne il contenuto ed illustrare le argomentazioni di fatto e di diritto svolte a loro supporto, così impedendo di cogliere il significato e la portate delle censure svolte innanzi al giudice di appello;
che, peraltro, l’unico riferimento concreto dei motivi d’appello riguarda la dedotta violazione dei criteri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, su cui il giudice d’appello si è pronunciato;
3. con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., sulla disponibilità delle prove;
che, in particolare, la Corte d’Appello ha erroneamente e in modo apodittico ritenuto come acclarate e provate circostanze che sono sempre state recisamente contestate dal ricorrente, così quelle che la Spugnino si fosse sempre dedicata alla figlia e alle cure domestiche (pag. 3, rigo 18 sentenza), che il V. avesse lavorato per alcuni periodi all’estero (pag. 14, rigo 18), che la S. si fosse maggiormente dedicata, rispetto al coniuge, all’accudimento quotidiano e alla crescita della figlia e delle cure domestiche (pag. 44 rigo 22) – circostanza quest’ultima smentita dal rilievo che i coniugi si sono sempre avvalsi con frequenza plurisettimanale della collaborazione di una colf – che la convivenza si era protratta per ventitrè anni, coincidenti con gli anni del maggior impegno professionale del ricorrente nella realizzazione professionale, sicché costui aveva potuto dedicarsi con maggiore dedizione e serenità al proprio lavoro beneficiando delle attenzioni e dell’accudimento prestato dalla coniuge alla figlia e all’ambiente domestico;
4. il motivo è inammissibile;
infatti, questa Corte (vedi Cass. n. 20637 del 2016) ha già enunciato il principio di diritto secondo cui, in virtù del principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare;
in particolare, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione postula, infatti, che il vizio possa essere apprezzato sulla base del contenuto dell’atto, senza necessità di rimandi al contenuto di atti processuali che non siano in esso trascritti (ancorché non integralmente, ma pur sempre nella misura necessaria a integrare la specificità al motivo e a consentirne la valutazione senza necessità di procedere all’esame del fascicoli d’ufficio o di quelli parte), e ciò vale – ovviamente – anche quando il vizio dedotto concerna la sussistenza delle condizioni per ritenere che una circostanza sia stata o meno contestata (cfr. Cass. n. 15961 del 2007, Cass. n. 17253 del 2009 e Cass. n. 10853 del 2012);
– nel caso, di specie, il ricorrente non ha adempiuto all’onere di allegazione, nei termini sopra illustrati, limitandosi alla mera enunciazione del vizio lamentato;
5. che con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, violazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., e contraddittorietà della motivazione, sul rilievo che non è stato applicato il principio della recente sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, che consente il riconoscimento di un assegno di mantenimento in funzione assistenziale, se un coniuge sia privo di mezzi adeguati e vi sia l’impossibilità di procurarseli e, in funzione equilibratrice-perequativa, ove lo squilibrio economico-patrimoniale delle parti dipenda da scelte di conduzione della vita familiare condivise dai coniugi con sacrifici e rinunce professionali e reddituali, profili insussistenti nel caso di specie, in cui la sig.ra S. è economicamente indipendente ed ha sempre svolto l’attività di insegnante in una scuola pubblica, professione per cui aveva studiato;
6. il motivo presenta profili di inammissibilità;
– le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente stabilito che la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo, che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà, e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto, ma in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, e, conseguentemente alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, in particolare, tenendo conto delle aspettative professionali, ed economiche eventualmente sacrificate (Cass. S.U. n. 18287 del 2018);
nel caso di specie, la Corte d’Appello ha applicato tali criteri, non considerando il livello di autosufficienza economica secondo un parametro astratto (come auspicato dal ricorrente), bensì ed appunto, in concreto, tenendo conto del contributo fornito dalla controricorrente alla realizzazione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge;
proprio in questo contesto la Corte d’Appello ha valorizzato il lungo periodo di convivenza tra i coniugi, protrattosi per ventitrè anni, nei quali il ricorrente ha potuto dedicarsi con maggiore impegno, dedizione e serenità al proprio lavoro e alla propria realizzazione professionale (conseguendo, man mano, redditi sempre più crescenti), beneficiando effettivamente della attenzione e dell’accudimento prestato dalla coniuge alla figlia e all’ambiente domestico;
peraltro, la Corte d’Appello, ha, altresì, valutato il profilo che la sig.ra S. , avendo comunque svolto in pieno il proprio lavoro di insegnante, non aveva sacrificato aspettative professionali in ragione delle maggiori incombenze familiari, tanto è vero che ha ridotto ad Euro 1200,00 mensili (da Euro 1.500,00 mensili) l’assegno riconosciuto alla coniuge dal giudice di primo grado;
correttamente, come emerge dalle valutazioni della Corte d’Appello, il mancato sacrificio di aspettative professionali ed economiche del coniuge cd. debole può incidere, riducendola, sulla componente perequativa-riequilibratrice dell’assegno di mantenimento, ma non azzerarla, ove risulti – come nel caso di specie (secondo la ricostruzione del giudice di merito) – che il coniuge abbia con le proprie maggiori incombenze familiari comunque contribuito, oltre alla realizzazione della vita familiare, al successo professionale (ed economico) dell’altro coniuge e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio familiare e personale di tale coniuge;
– le censure del ricorrente si appalesano, inoltre, inammissibili in quanto il ricorrente, nel dedurre la violazione di legge, ha inteso, in sostanza, come nel secondo motivo, sollecitare una diversa ricostruzione della realtà rispetto a quella operata dal giudice di merito (in ordine al contributo fornito dalla ricorrente alla realizzazione della vita familiare e alla formazione del patrimonio familiare);
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come meglio in dispositivo; sussistono i presupposti per disporre il cd. raddoppio del contributo unificato e l’oscuramento dei dati personali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per spese a rimborso, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi le generalità delle parti e gli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. n. 168 del 2003, art. 52.