Conseguenze penali, civili, fiscali per chi dichiara come propria residenza una casa dove non vive effettivamente o stabilmente.
La falsa dichiarazione di residenza è un reato. Ma non solo. Si tratta anche di un illecito fiscale quando il comportamento è diretto ad eludere le imposte sulla casa. In tal caso, oltre al procedimento penale per il falso in atto pubblico, c’è il rischio di versare l’Imu degli ultimi cinque anni.
Attenzione poi alla revoca della residenza che il Comune potrebbe disporre come conseguenza per la falsa attestazione: il responsabile potrebbe perdere il diritto al voto, all’assistenza medica, al rilascio della carta d’identità e dei certificati anagrafici.
Di recente, la Cassazione ha peraltro autorizzato i Comuni a farsi rilasciare, dalle società fornitrici della luce, dell’acqua e del gas, una copia delle bollette intestate al titolare dell’immobile: dalla lettura dei consumi delle utenze domestiche infatti è possibile scoprire, molto più facilmente, la falsa dichiarazione di residenza.
Ma procediamo con ordine e vediamo quali sono i rischi e le conseguenze per chi, pur non dimorando abitualmente in un determinato immobile, si reca all’Anagrafe e dichiara di essere lì residente.
Indice
Dove deve essere la residenza?
Ciascun cittadino è libero di fissare la propria residenza ove preferisce, ma ad una condizione: che si tratti del luogo ove vive per gran parte dell’anno, ossia dov’è reperibile. La residenza deve infatti sempre coincidere con la cosiddetta dimora abituale. Non si può quindi stabilire la propria residenza dove ci si trova occasionalmente o solo per qualche mese all’anno come, ad esempio, in una stanza di hotel, in un residence, nella casa vacanze o in un appartamento dato in affitto a terzi (la cosiddetta “seconda casa”). Anche chi è senza fissa dimora deve stabilire un luogo preciso – che sia anche un ponte o la panchina di un parco – ove possa essere reperibile.
Cos’è la residenza fittizia?
La residenza fittizia è quel luogo ove il cittadino non dimora abitualmente, anche se si tratta di un immobile di sua proprietà.
Il più delle volte, si fornisce al Comune una falsa residenza allo scopo di usufruire di agevolazioni fiscali e di benefici socio assistenziali. Si pensi al figlio che distacca fittiziamente la propria residenza da quella dei genitori solo per formare un nucleo familiare a parte e avere un Isee più basso onde godere dei sussidi dell’Inps. Oppure si pensi a una coppia di coniugi, proprietari di un immobile a testa, che dichiarino la rispettiva residenza in una casa diversa solo per ottenere l’esenzione Imu.
Cosa si rischia in caso di falsa dichiarazione di residenza?
Come anticipato in apertura, la dichiarazione fatta all’anagrafe di una residenza non effettiva – ossia in un luogo diverso dalla dimora abituale – integra un reato: quello di falso in atto pubblico. La pena in questo caso non può essere inferiore a 3 mesi di reclusione e può arrivare a un massimo di due anni, in base alla gravità della condotta e dello scopo perseguito dal soggetto.
Il reato scatta solo per chi dichiara al Comune un luogo di residenza diverso da quello reale e non anche per chi, mutando la residenza da quella precedente, non provvede ad aggiornare il registro dell’Anagrafe e non fornisce così il nuovo indirizzo, continuando a risultare residente in quello vecchio.
Dalla falsa residenza derivano anche conseguenze fiscali: chi ha fornito una residenza fittizia solo per non pagare l’Imu rischia il recupero a tassazione dell’imposta degli ultimi 5 anni oltre alla mora e alle relative sanzioni. Si ricorda, infatti, che per non pagare l’Imu sulla prima casa non basta dichiarare di essere residenti in un determinato immobile ma bisogna anche viverci abitualmente con tutta la propria famiglia.
C’è un’ultima conseguenza in caso di falsa attestazione di residenza: il Comune, una volta verificato che il soggetto non dimora effettivamente nell’immobile da questi stesso indicato all’Anagrafe, può revocargli la residenza, con la conseguenza che quest’ultimo non avrà più una propria residenza.
Che succede se il Comune ti toglie la residenza?
Se il Comune revoca la residenza, si va incontro a una serie di conseguenze. Innanzitutto, si diventa irreperibili: con la conseguenza che non si possono più ricevere le raccomandate, le multe stradali, le cartelle esattoriali, gli accertamenti fiscali, gli atti giudiziari e così via. Il fatto però di non poterli ricevere non significa che tali notifiche non siano valide: al contrario, queste si considereranno regolarmente effettuate e, quindi, saranno valide mediante il deposito dell’atto presso il Comune o l’ufficio postale. Tale è la forma di notifica per i soggetti irreperibili. Il destinatario, pertanto, non conoscendo il contenuto dell’atto, non potrà difendersi e, facendo scadere i termini per la relativa difesa giudiziale, ne subirà le conseguenze (ad esempio, il pignoramento dei beni, l’irrevocabilità di una sentenza o di un verbale di accertamento per una violazione stradale).
Oltre a ciò, la cancellazione dai registri dell’anagrafe comunale implica la perdita dei seguenti diritti:
- diritto al voto, sia per le elezioni politiche che per quelle amministrative; il fatto di non avere una residenza implica la cancellazione dalle liste elettorali;
- diritto all’assistenza sanitaria: chi non è residente in un Comune non può neanche nominare un proprio medico di base, residente in quello stesso Comune, che lo possa assistere, prescrivere le ricette mediche, ecc. Ricordiamo infatti che il medico di famiglia dipende dal luogo di residenza. Pertanto, non si potrà neanche ottenere l’esenzione dal ticket sanitario o le agevolazioni mediche;
- diritto ad ottenere i certificati anagrafici e a rinnovare i documenti d’identità (come la carta d’identità o il passaporto).
Chi viene cancellato dall’Anagrafe può sempre correre ai ripari presentando una nuova richiesta di iscrizione all’anagrafe dello stesso o di un altro Comune, sapendo però che dovrà comunque indicare un luogo ove effettivamente vive.
Come si scopre una falsa dichiarazione di residenza?
A svolgere i controlli sulla dichiarazione di residenza è la polizia municipale. Non sempre però gli agenti sono in grado di controllare ogni singolo appartamento.
Pertanto, di recente, la Cassazione [1] ha autorizzato i Comuni a farsi rilasciare, dalle società fornitrici delle utenze domestiche (luce, acqua e gas), copia delle bollette intestate al titolare dell’utenza. Se da queste infatti dovessero risultare dei consumi irrisori o inesistenti per gran parte dell’anno, allora sarebbe chiaro il fatto che l’immobile non è abitato. Da ciò deriverebbero tutte le conseguenze (penali, civili e fiscali) che abbiamo appena elencato.