Congedo maternità: come funziona


Quando scatta l’astensione anticipata in gravidanza? Come viene pagata? Quando è possibile per il papà restare a casa con il bambino?
Tutte le lavoratrici in gravidanza con contratto subordinato hanno diritto ad un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro prima e dopo il parto. Ci sono, poi, ulteriori mesi di assenza facoltativa. Si tratta del cosiddetto congedo maternità: come funziona? Da quando scatta e fino a quando la neomamma può stare a casa con il figlio? E come viene pagata la maternità, sia durante il periodo obbligatorio sia durante quello facoltativo?
Recentemente, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha fatto alcuni chiarimenti riguardo alla data in cui effettivamente deve iniziare il congedo rispetto a quella in cui la lavoratrice ha consegnato la domanda, soprattutto in caso di maternità anticipata.
Inoltre, va ricordato che, in presenza di determinate condizioni che impediscono alla madre di beneficiare del congedo, l’astensione dal lavoro spetta al padre.
Il diritto al congedo e alla relativa indennità è previsto anche in caso di adozione o affidamento di minori. Vediamo come funziona il congedo di maternità, anche alla luce dei recenti aggiornamenti dell’Ispettorato.
Indice
Congedo maternità: chi può usufruirne?
Possono beneficiare del congedo di maternità le:
- lavoratrici dipendenti assicurate all’Inps anche per la maternità, comprese le lavoratrici assicurate ex Ipsema (l’Istituto di previdenza del settore marittimo, oggi non più attivo);
- apprendiste, operaie, impiegate, dirigenti con un rapporto di lavoro in corso all’inizio del congedo;
- disoccupate o sospese, purché tra l’inizio della disoccupazione o della sospensione e quello del congedo non siano decorsi più di sessanta giorni;
- lavoratrici agricole a tempo indeterminato o determinato che, nell’anno di inizio del congedo, siano in possesso della qualità di bracciante con iscrizione negli elenchi nominativi annuali per almeno 51 giornate di lavoro agricolo;
- lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti);
- lavoratrici a domicilio;
- lavoratrici di attività socialmente utili o di pubblica utilità;
- lavoratrici iscritte alla Gestione Separata Inps e non pensionate in possesso del requisito contributivo previsto dalla legge per finanziare le prestazioni economiche di maternità. L’indennità è riconosciuta a prescindere dall’effettiva astensione dall’attività lavorativa;
- lavoratrici dipendenti da amministrazioni pubbliche (incluse le lavoratrici dipendenti ex Inpdap ed Enpals) le quali in caso di maternità sono tenute agli adempimenti previsti dalla legge verso l’amministrazione pubblica dalla quale dipendono e da cui percepiscono la relativa indennità.
Congedo maternità: quanto dura?
Formalmente, e secondo quanto previsto dal Testo unico sulla maternità e sulla paternità, il congedo obbligatorio dura cinque mesi. Inizia, di norma, due mesi prima della data presunta del parto (certificata dal ginecologo), salvo diversi accordi con il datore di lavoro. Tuttavia, se il medico lo ritiene opportuno, il periodo di astensione può iniziare prima dei due mesi in caso di gravidanza a rischio oppure, su disposizione della Direzione territoriale del lavoro, se le mansioni della lavoratrice sono incompatibili con il suo stato.
Dopo il parto (il giorno dell’evento non viene conteggiato) il congedo di maternità dura:
- tre mesi (se prima del parto c’è stata l’astensione obbligatoria di due mesi) e, in caso di parto avvenuto dopo la data presunta, i giorni compresi tra la data presunta ed effettiva;
- tre mesi più i giorni non goduti, se il parto è anticipato rispetto alla data presunta (parto prematuro o precoce). Questo anche nel caso in cui la somma dei tre mesi successivi al parto e dei giorni compresi tra la data effettiva e quella presunta del parto supera il limite di cinque mesi;
- l’intero periodo di interdizione prorogata disposto dalla Direzione territoriale del lavoro (per mansioni incompatibili con il puerperio).
La legge consente una certa flessibilità. Ad esempio, è possibile lavorare fino all’ottavo mese di gravidanza anziché fino al settimo (se le condizioni di salute della futura mamma e le mansioni da svolgere lo consentono) e fruire di un congedo di quattro mesi dopo il parto. Oppure, lavorare fino al parto ed astenersi esclusivamente dopo, entro i cinque mesi successivi all’evento, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale, o con esso convenzionato, e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute di mamma e bambino.
La durata rimane la stessa in caso di parto gemellare.
Per l’adozione o l’affidamento nazionale di minore il congedo di maternità spetta per cinque mesi a partire dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato.
Per le adozioni o gli affidamenti internazionali, il congedo spetta per cinque mesi a partire dall’ingresso in Italia del minore adottato o affidato. Il periodo di congedo può essere fruito anche parzialmente prima dell’ingresso in Italia del minore. Se l’affidamento non è preadottivo, il congedo spetta solo alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti per tre mesi, anche frazionato su cinque mesi, a partire dall’affidamento del minore.
Che succede se il bambino viene ricoverato durante il congedo?
In caso di ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata durante il congedo di maternità, la madre può sospendere anche parzialmente il congedo e riprendere l’attività lavorativa. L’astensione verrà ripresa a partire dalle dimissioni del bambino. Questo diritto può essere esercitato una sola volta per ogni figlio, solo se le condizioni di salute della madre sono compatibili con la ripresa dell’attività lavorativa e accertate da certificazione medica.
In caso di adozione o affidamento, la sospensione del congedo per il ricovero del bambino è prevista solo per le lavoratrici e i lavoratori dipendenti, sempre che sia stata ripresa l’attività lavorativa.
Che succede in caso di interruzione della gravidanza?
Nel malaugurato caso in cui la donna perda il bambino dopo 180 giorni dalla gestazione o di morte del bimbo alla nascita o durante il congedo di maternità, la lavoratrice ha diritto ad astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo, a meno che rinunci a fruire dell’assenza lavorativa.
Quando è possibile fruire del congedo di paternità?
In certe situazioni viene riconosciuto ai lavoratori il congedo di paternità. Succede in caso di:
- morte o grave infermità della madre: il padre richiedente, all’atto della compilazione della domanda, indica gli estremi della madre e la data del decesso. La certificazione sanitaria di grave infermità va presentata in busta chiusa al centro medico legale dell’Inps, a mano o a mezzo raccomandata;
- abbandono del figlio da parte della madre, da attestare con la compilazione online della dichiarazione di responsabilità;
- affidamento esclusivo del figlio al padre: vanno comunicati gli elementi identificativi del provvedimento indicando l’autorità giudiziaria, la sezione, il tipo e numero di provvedimento e la data di deposito in cancelleria. Tuttavia, basta anche allegare copia conforme all’originale del provvedimento giudiziario.
In caso di adozione o affidamento di minori, il congedo di paternità è fruibile dal padre anche a seguito della rinuncia totale o parziale della madre lavoratrice al congedo di maternità.
La durata del congedo di paternità è quella equivalente al congedo non fruito dalla madre e decorre dal momento in cui si verifica uno degli eventi sopra citati. Se la madre non lavora, finisce tre mesi dopo il parto.
Congedo maternità: quanto viene pagato?
Durante il congedo di maternità (ed anche quello di paternità) la lavoratrice percepisce l’80% della retribuzione media globale giornaliera, calcolata sulla base dell’ultima busta paga.
Per gli iscritti alla Gestione Separata, se il reddito deriva da attività libero professionale o di collaborazione coordinata e continuativa parasubordinata, l’indennità di congedo è pari all’80% di 1/365 del reddito.
Congedo maternità anticipato: da quando decorre?
Secondo le recenti indicazioni dell’Ispettorato nazionale del lavoro, l’anticipo del congedo di maternità a causa di un’incompatibilità tra lo stato di gravidanza e le mansioni di cui si occupa la futura mamma decorre solo quando il datore di lavoro dichiara l’impossibilità di collocare la donna in un altro reparto o di assegnarle un altro tipo di lavoro.
Negli altri casi, invece, l’Ispettorato deve decidere l’anticipo del congedo entro sette giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda. Occorre, pertanto, attendere l’autorizzazione dell’Inl prima di assentarsi dal lavoro.
Detta autorizzazione viene determinata in caso di:
- gravi complicanze della gravidanza o persistenti forme morbose che possono compromettere la gravidanza;
- condizioni ambientali o di lavoro che possono creare pregiudizio alla salute della mamma o del bambino;
- impossibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni.
Ferma restando la facoltà di successivi accertamenti – conclude l’Ispettorato – è possibile disporre immediatamente l’astensione dal lavoro allorquando il datore di lavoro, anche tramite la lavoratrice, produca una dichiarazione di quest’ultimo nella quale risulti in modo chiaro, sulla base di elementi tecnici attinenti all’organizzazione aziendale, l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni.