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Chi paga il tampone ai lavoratori non vaccinati?

26 Ottobre 2021 | Autore:
Chi paga il tampone ai lavoratori non vaccinati?

Il costo del test è a carico delle aziende, dello Stato o dei dipendenti? I provvedimenti del Governo, gli accordi nelle imprese e la soluzione del Tar Lazio.

Dal 15 ottobre 2021 il Green pass è diventato obbligatorio per accedere in tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati. Sono compresi anche i lavoratori esterni, come chi rifornisce le mense, e quelli casalinghi, come colf e badanti. In alternativa al vaccino, o alla guarigione dal Covid, il Green pass può essere ottenuto anche da chi si sottopone a tampone. Ma deve farlo con frequenza: il test va rinnovato ogni 48 ore. Così ci si pone una domanda: chi paga il tampone ai lavoratori non vaccinati?

Secondo alcuni, è l’azienda che deve farsi carico di questo costo; secondo altri, lo Stato (che però non è andato al di là della calmierazione dei prezzi: 15 euro per i maggiorenni, 8 per i ragazzi dai 12 ai 18 anni); altri ancora sostengono che debba essere il lavoratore a sopportare questa spesa. Ma il costo dei test incide notevolmente sul bilancio familiare: stando alle stime, un lavoratore no vax spenderebbe circa 200 euro al mese in tamponi.

Così alcuni dipendenti del comparto scuola (dove l’obbligo del Green pass era entrato in vigore già dal 1° settembre, come per gli operatori sanitari) si sono rivolti al giudice, sostenendo l’illegittimità dei provvedimenti del Governo sul Green pass. Adesso, è intervenuto il Tar Lazio con una nuova ordinanza [1] così è arrivata la risposta al quesito: chi paga il tampone ai lavoratori non vaccinati?

Obbligo del Green pass sui luoghi di lavoro

Come abbiamo detto in apertura, il Green pass è divenuto obbligatorio per legge [2] a partire dal 15 ottobre 2021, per accedere in tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati. L’obbligo durerà sino al 31 dicembre 2021, salvo proroghe.

Chi è senza Green pass non può entrare; deve essere bloccato all’ingresso, è considerato assente ingiustificato e viene provvisoriamente sospeso dal servizio o dall’impiego (nelle aziende piccole, con meno di 15 dipendenti dal 5° giorno di assenza, nelle aziende grandi e nel comparto pubblico già a partire dal primo giorno).

Così il lavoratore perde non solo la retribuzione, ma anche i contributi previdenziali e l’anzianità di servizio. Non può, però, essere licenziato, o sottoposto ad altri provvedimenti disciplinari, e ha diritto alla conservazione del posto di lavoro (nelle piccole aziende può essere sostituito, durante l’assenza, per un massimo di 20 giorni).

Green pass: condizioni per ottenerlo

Il Green pass, chiamato anche «certificazione verde», può essere ottenuto da chi:

  • ha fatto la vaccinazione anti-Covid (basta la prima dose per ottenere un certificato avente validità dopo 15 giorni dalla somministrazione);
  • è guarito dal Covid negli ultimi 6 mesi;
  • è risultato negativo al test antigenico rapido (cioè il tampone) eseguito nelle ultime 48 ore o al test molecolare nelle ultime 72 ore.

Sinora, non è passata la proposta di estensione della validità dei tamponi, ai fini del Green pass, fino a 72 ore, che era stata chiesta da molti esponenti del mondo del lavoro ma ha trovato l’opposizione del ministero della Salute.

Gli accordi aziendali per il pagamento dei tamponi

In alcune grandi imprese, i dipendenti e l’azienda hanno trovato un accordo che prevede il pagamento dei tamponi a carico del datore di lavoro. Si tratta, perlopiù, di aziende manifatturiere che hanno bisogno di manodopera continua e non possono avere una flessione di produzione a causa dell’assenza dei lavoratori non vaccinati e dell’impossibilità di sostituirli.

Quindi, il costo dei tamponi sostenuto dal datore viene recuperato con il mantenimento della produttività e della competitività. Insomma, pagare questa spesa conviene anche all’azienda. Ma questa soluzione è dovuta ad un’intesa volontaria raggiunta caso per caso. Non esiste un obbligo di legge che imponga al datore di farsi carico dei costi per i tamponi dei suoi dipendenti.

Chi ha diritto al tampone gratuito?

Di regola, il tampone è a pagamento e la spesa viene sostenuta da chi vi si sottopone. Come abbiamo detto all’inizio, il costo è a prezzi calmierati di 15 euro per gli adulti e 8 euro per i ragazzi, ma solo presso le farmacie aderenti all’iniziativa «Protocollo tamponi rapidi» predisposta dal Governo.

Il tampone, invece, è gratuito per i disabili, per i lavoratori fragili e per gli altri soggetti riconosciuti esenti dalla campagna vaccinale in base a idonea certificazione medica (si tratta dei soggetti impossibilitati a vaccinarsi a causa di patologie ostative).

Alcune Regioni, come il Piemonte, non fanno pagare il tampone a chi ha ricevuto la prima dose di vaccino ed è in attesa del rilascio del Green pass.

Il datore di lavoro deve pagare i tamponi?

La nuova ordinanza del Tar Lazio [1] ha deciso su un ricorso presentato da alcuni operatori scolastici che sostenevano l’illegittimità del Green pass sotto molteplici aspetti, compreso l’obbligo di esibizione all’ingresso come condizione per accedere sul luogo di lavoro. Avevano, perciò, chiesto la sospensione cautelare d’urgenza dei provvedimenti adottati dal Governo e di quelli conseguenti disposti dagli istituti scolastici per il proprio personale.

I giudici amministrativi hanno stabilito che il datore di lavoro non deve pagare i tamponi dei dipendenti. Perché questa soluzione? Nelle motivazioni si legge che:

  • la richiesta di munirsi ed esibire la certificazione verde non si pone in contrasto con i principi costituzionali intesi a salvaguardare l’iniziativa economica dei privati, sancita dall’art. 41 della Costituzione;
  • non c’è violazione del diritto alla salute sancito all’art.32 della Costituzione, poiché «per ottenere il documento in questione non è necessario sottoporsi al vaccino, attesa la possibilità, in alternativa, di dimostrare di essere negativi ad un tampone ovvero di essere guariti dall’infezione da Covid-19 da non più di sei mesi»;
  • l’uso del certificato verde è stato ritenuto legittimo anche dal Garante privacy in quanto assicura «il rispetto della disciplina di protezione dei dati personali nonché di evitare conseguenze discriminatorie, anche indirette, nel contesto lavorativo»;
  • il tampone non costituisce un dispositivo di protezione individuale rientrante tra quelli previsti dalla normativa sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro [3], perché «non riguarda solo i luoghi di lavoro ma anche tutti quelli indicati dalla normativa vigente», come ad esempio ristoranti, cinema e stadi;
  • il Green pass serve a proteggere «la generalità dei consociati, e non soltanto i lavoratori, e si prefigge l’obiettivo di tutelare la salute pubblica in via generale, prevenendo la diffusione della pandemia, e non quello di tutelare la salute individuale dei lavoratori».

note

[1] Tar Lazio, ord. n. 5705/21 del 26.09.2021.

[2] D.L. n. 127 del 21.09.2021.

[3] D. Lgs. n. 81/2008


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1 Commento

  1. Con riferimento all’articolo, la ringrazio per la risposta alla domanda che come Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza mi sono più volte posto, ma per la quale non condivido la conclusione, in quanto di diversa opinione:
    Dopo aver letto il DL 127 del 2021 sul Green Pass, non ho trovato indicazioni sul chi deve farsene carico economicamente, quindi credo che restino in vigore le disposizioni indicate dalla legge 3 agosto 2007 n. 123, art. 1 comma 2, lettera r), in correlazione al decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81 art. 15, e della direttiva quadro 89/391 CEE.
    Tenuto conto che il lavoratore deve collaborare con il datore di lavoro (ai sensi dell’art. 20 T.U. Sicurezza) nel sottoporsi ai tamponi per ottenere il Green Pass, pena il vietato ingresso in azienda, (tra l’altro divieto già previsto se un lavoratore evita di sottoporsi alla sorveglianza sanitaria obbligatoria), che il test (Tampone Covid-19) sullo stato di salute del lavoratore è paragonabile ad altri tipi di analisi: gli esami del sangue, test dell’udito (audiometrico), test della funzionalità polmonare (spirometria) ecc., quindi il Tampone come i menzionati altri test, ha tutte le caratteristiche per rientrare nella sorveglianza sanitaria obbligatoria prevista dall’art, 15 del d.lgs. 81/08, “Misure generali di tutela”.
    In conclusione: l’aggravio di ulteriori spese per ottenere il Green Pass determina una penalizzazione economica che si riflette inevitabilmente, ostacolando, anche il Pieno diritto al lavoro, il che configura il dipendente come parte “più debole” costituzionalmente da tutelare, in correlazione al fatto che anche se pur libera l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e, preso atto che l’art. 2087, chiama in campo direttamente il datore di lavoro, di fatto, è quest’ultimo che “rimane con il cerino in mano” del farsi carico delle spese.
    Questa è la mia risposta alla domanda (il dipendente senza green pass paga il tampone?) che mi sono posto come RLS, per cui ritengo che il tampone per la rilevazione del Covid-19, rientri nelle disposizioni obbligatorie non a carico del lavoratore.
    Oltre a quanto sopra, credo che se il Legislatore avesse voluto far gravare il costo del tampone sui lavoratori avrebbe specificato che il DL 127/2021, derogava alle disposizioni previste dalla legge in merito all’esclusione di qualsiasi onere finanziario per il lavoratore e la lavoratrice subordinati e per i soggetti ad essi equiparati in relazione all’adozione delle misure relative alla sicurezza e alla salute dei lavoratori e delle lavoratrici. Visto che al momento non sono a conoscenza della possibilità di deroga delle leggi vigenti per tacito, non scritto o sottinteso.

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