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Processo tributario: le dichiarazioni di terzi sono ammesse?

28 Ottobre 2021 | Autore:
Processo tributario: le dichiarazioni di terzi sono ammesse?

Come difendersi dall’accertamento fiscale con le dichiarazioni scritte, sostitutive di atto notorio; quale valore hanno e come vengono valutate dal giudice.

Che peccato non poter portare testimoni a proprio favore in un’aula di giustizia. Magari potrebbero scagionarti dalle accuse, ma hanno le porte sbarrate. Questo succede nel processo tributario, dove vige il divieto di prova testimoniale. È una regola rigida, stabilita per ovvi motivi di praticità, altrimenti troverebbero facilmente ingresso testimoni compiacenti, disposti a dichiarare qualsiasi cosa pur di non far pagare le tasse ad un loro amico o parente.

Questo però non significa che le dichiarazioni di terzi a favore del contribuente non possano mai trovare ingresso nella causa. Esiste un modo legittimo per veicolarle nel processo tributario e renderle utilizzabili da parte del giudice, anche se non avranno il valore di prova piena.

Nel processo tributario le dichiarazioni di terzi sono ammesse quando vengono raccolte in forma scritta e con particolari accorgimenti. Dal lato del Fisco, questo avviene quando l’Agenzia delle Entrate, o la Guardia di Finanza, sentono determinati soggetti a riscontro dei fatti oggetto di accertamento e riportano le loro affermazioni in un verbale. Succede spesso in occasione di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede o il domicilio del contribuente, ma può accadere anche in un momento successivo, come quando vengono sentiti clienti e fornitori per confermare o smentire la veridicità di determinati documenti o per chiarire alcune operazioni economiche e le loro modalità di pagamento. Dal lato del contribuente, invece, esiste un altro sistema: è la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, con la quale l’identità del dichiarante viene accertata da un pubblico ufficiale e anche la data della dichiarazione viene resa certa. Il contenuto delle dichiarazioni rese, invece, rimane liberamente valutabile da parte del giudice.

Ciò premesso, ora vediamo più in dettaglio quando e come le dichiarazioni di terzi sono ammesse nel processo tributario; avrai già capito che questo sistema non è un aggiramento del divieto della prova testimoniale, ma un’integrazione del materiale probatorio, necessaria per garantire il diritto di difesa ed eliminare la disparità che altrimenti si creerebbe tra Fisco e contribuente.

Divieto di prova testimoniale nel processo tributario

La legge [1] dispone che nel processo tributario «non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale». La Corte Costituzionale ha da tempo affermato che tale previsione non lede in modo irrimediabile il diritto di difesa [2], perché – come vedremo tra breve – è possibile fornire attraverso una dichiarazione scritta la prova delle circostanze che il teste avrebbe potuto riferire oralmente.

La Corte di Cassazione [3] ha chiarito che il divieto si riferisce esclusivamente alla prova testimoniale orale, quella da assumere nel processo con la presenza fisica della persona da sentire, davanti alle parti e al giudice, in modo da garantire il contraddittorio processuale. Di recente, con le udienze da remoto, è diventato possibile rendere la testimonianza anche a distanza, con determinati accorgimenti, ma la forma dell’escussione rimane sempre quella verbale.

La dichiarazione sostitutiva nel processo tributario

Esiste la possibilità di introdurre nel processo tributario non i testimoni, ma le loro dichiarazioni scritte, nel modo che ora ti spiegheremo. Il divieto generale della prova testimoniale nel processo tributario non opera quando si tratta di acquisire alla causa, su iniziativa delle parti, i seguenti documenti:

  • le dichiarazioni raccolte a verbale dall’Amministrazione finanziaria nella fase procedimentale che ha preceduto l’emanazione dell’avviso di accertamento o di qualsiasi altro atto impositivo;
  • le dichiarazioni rilasciate da terzi in favore del contribuente in sede extraprocessuale, cioè al di fuori del processo.

In questo modo viene riconosciuto il diritto di difesa e viene garantita la «parità delle armi» tra l’Amministrazione e i contribuenti, applicando il principio del giusto processo sancito dall’art. 111 della Costituzione. Lo ha ribadito una nuova ordinanza della Corte di Cassazione [4], ammettendo la possibilità per il contribuente di produrre nel processo tributario le dichiarazioni sostitutive rese da terzi (nel caso specifico, si trattava di soggetti che avevano eseguito riparazioni meccaniche sugli automezzi dell’azienda accertata).

La forma di queste dichiarazioni è quella dell’atto sostitutivo di notorietà, cioè un “atto notorio” sostituito da un’autocertificazione. La dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà è prevista dalla legge [5] per attestare «stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato» ed anche «stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza». Quest’ultima parte della norma consente di raccogliere dichiarazioni di soggetti che hanno avuto rapporti con il contribuente accertato o che comunque sono a conoscenza delle sue vicende: ad esempio, un familiare, un cliente, un fornitore, un impiegato amministrativo dell’azienda.

L’atto sostitutivo di notorietà fa prova nel processo tributario?

Una volta rilasciata, la dichiarazione sostitutiva di notorietà può essere introdotta nel processo, come documento allegato al ricorso, ad opera del contribuente che ha instaurato il giudizio di opposizione all’atto impositivo emanato nei suoi confronti.

Il contenuto delle dichiarazioni, però, non ha un valore di prova analogo a quello della testimonianza, ma inferiore. La Cassazione [6] ha precisato che tali dichiarazioni «hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi». Ciò significa che esse possono contribuire a formare il convincimento del giudice, ma devono essere accompagnate da altri elementi; da sole non sono idonee a basare la decisione del processo.

Chi ha rilasciato una dichiarazione scritta può essere sentito nel processo?

Diversamente da quanto accade nel processo civile e in quello penale, nel processo tributario il giudice non ha il potere di disporre l’audizione di un testimone, neppure quando una sua dichiarazione scritta è già stata prodotta da una parte in giudizio e acquisita agli atti di causa. La Corte di Cassazione [7] ha sottolineato che esiste un «divieto di sopperire d’ufficio alle carenze istruttorie delle parti»: il giudice tributario deve essere terzo e imparziale, perciò non può colmare le lacune presenti in una dichiarazione incompleta, e gli è preclusa ogni possibilità di integrazione probatoria.

Prova testimoniale nel processo tributario: approfondimenti

Per approfondire la tematica trattata leggi i seguenti articoli:


note

[1] Art. 7, co. 4, D.Lgs. n. 547/1992.

[2] C. Cost. Sent. n. 18/2000.

[3] Cass. sent. n. 7627/2021.

[4] Cass. ord. n. 30209 del 27.10.2021.

[5] Art. 47 D.P.R. n. 445/2000.

[6] Cass. ord. n. 9721/2021.

[7] Cass. ord. n. 12406/2021.


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