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Scadenza periodo di comporto: conseguenze

31 Ottobre 2021 | Autore:
Scadenza periodo di comporto: conseguenze

Quando il superamento dei limiti di assenza per malattia comporta il licenziamento? Come si può evitare? Il datore di lavoro deve avvisare prima il dipendente?

Da tempo, sei assente dal lavoro per malattia e non prevedi di rientrare in tempi brevi. Hai timore di perdere il posto di lavoro e ti domandi se e quando potresti essere licenziato. Quali conseguenze ha la scadenza del periodo di comporto?

Durante il periodo di malattia hai diritto per legge alla conservazione del posto di lavoro, ma non per sempre. Ci sono dei limiti massimi consentiti, oltre i quali è possibile il licenziamento. Neppure il licenziamento, però, è automatico, e si può evitare grazie ad alcuni accorgimenti, che convertono l’assenza per malattia in altri motivi legittimi.

Le conseguenze della scadenza del periodo di comporto, dunque, sono variabili e dipendono essenzialmente dalla tipologia di impiego e dal livello di inquadramento del dipendente, secondo le previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro, che individuano i limiti massimi delle assenze per malattia e il metodo di conteggio.

Periodo di comporto: cos’è?

La Costituzione italiana [1] dispone che i lavoratori hanno diritto a mezzi adeguati per provvedere alle loro esigenze di vita nei casi di «infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria». Per attuare queste previsioni il Codice civile [2] stabilisce che il lavoratore assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto e a percepire la retribuzione o un’indennità sostitutiva. Inoltre, il periodo di assenza per malattia deve essere computato nell’anzianità di servizio.

Queste garanzie non operano per sempre, ma solo fino a quando l’assenza per malattia non superi un determinato limite, chiamato periodo di comporto.

Durata del comporto: come si calcola?

La durata del periodo di comporto non è stabilita direttamente dalla legge (tranne che per gli impiegati, con un limite di 3 mesi, se l’anzianità di servizio è inferiore a 10 anni, e di 6 mesi se è superiore) ma è quasi sempre fissata dai contratti collettivi nazionali di categoria (in breve, i Ccnl).

Esistono due tipi di comporto:

  • il comporto secco, in cui il periodo massimo di assenze si calcola per ciascuna malattia, di durata ininterrotta; si tratta, cioè, di un unico evento di malattia in cui tutte le giornate di assenza sono consecutive;
  • il comporto per sommatoria, che viene calcolato considerando tutte le assenze per malattia, anche quelle brevi, avvenute in un determinato arco di tempo (un anno, oppure l’ultimo biennio o triennio, in base alle previsioni del Ccnl).

Il comporto per sommatoria serve a prevenire il fenomeno dell’assenteismo, in quanto il dipendente che si pone spesso in malattia è consapevole che tutte le giornate di assenza verranno considerate nel calcolo. Anche i giorni non lavorativi compresi nel periodo di malattia – ad esempio, i festivi e prefestivi – rientrano nel computo, a meno che il contratto collettivo non disponga diversamente.

Comporto: come evitare il superamento dei limiti?

Per evitare che il periodo di comporto si compia interamente, se il contratto lo consente, il lavoratore può far interrompere il suo decorso chiedendo le ferie già maturate o mettendosi in aspettativa non retribuita. L’istanza deve essere scritta e va presentata prima della scadenza del periodo di comporto. Il datore di lavoro non è obbligato ad aderire a tali richieste, anche se deve valutarle attentamente per bilanciare le esigenze aziendali con l’interesse del lavoratore.

Molti contratti collettivi prevedono, a tutela dei lavoratori in tali situazioni, la conservazione del posto di lavoro se il dipendente si pone in aspettativa prima del decorso del termine di comporto. In tali casi, il datore di lavoro non ha discrezionalità e non può negare l’accoglimento della richiesta. Per approfondire questo aspetto leggi “Come non farsi licenziare per superamento del comporto“.

Scadenza del comporto: è possibile il licenziamento?

Alla scadenza del periodo di comporto, il datore di lavoro non è più soggetto all’obbligo di conservazione del posto e può licenziare il dipendente che è rimasto in malattia oltre i limiti massimi stabiliti dal contratto collettivo. La lettera di licenziamento dovrà evidenziare tutti i periodi di malattia considerati ai fini del superamento del comporto. Invece, il licenziamento intimato prima che il periodo di comporto sia interamente decorso è nullo per contrarietà a norme imperative di legge [3].

Il licenziamento non è automatico: se il datore di lavoro non lo dispone, il rapporto di lavoro prosegue. La Corte di Cassazione [4] ha affermato che l’inerzia prolungata dell’azienda, accompagnata da comportamenti incompatibili con la volontà di licenziare (ad esempio, assegnando nuovi compiti al dipendente) equivale alla rinuncia al licenziamento per superamento del periodo di comporto.

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione [5] ha chiarito che il datore di lavoro non è tenuto ad avvisare il dipendente dell’imminente scadenza del periodo di comporto. Questa omissione, secondo la Suprema Corte, non viola gli obblighi di correttezza e buona fede, neppure quando l’azienda non risponde alle richieste del lavoratore volte a conoscere la durata e, infine, una volta decorso l’intero periodo gli intima il licenziamento per superamento del comporto.

Approfondimento

Leggi Periodo di comporto: ultime sentenze.


note

[1] Art. 38, co. 2, Cost.

[2] Art. 2110 Cod. civ.

[3] Cass. S.U. sent. n. 12568 del 22.05.2018.

[4] Cass. sent. n. 18411/2016 e n. 23920/2010.

[5] Cass. ord. n. 30478/21 del 28.10.2021.


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