Sex worker: chi è e cosa fa?


Quando è reato e quando non lo è concedere delle prestazioni sessuali. Chi rientra in questo settore e cosa rischia il cliente.
Il salto di qualità sul biglietto da visita è arrivato anche per loro. Così come per il direttore del personale, diventato HR Director, dove HR sta per Human Resources, cioè direttore delle risorse umane, cioè direttore del personale. Non è cambiato niente, se non una qualifica più «in» sulla carta. Ma il mestiere, quello era e quello resta. Vale anche per gli ex dirigenti e ora manager, per gli amministratori delegati diventati Ceo, per i direttori finanziari che si fanno chiamare Cfo. Quasi ci si vergognasse di dire in italiano il mestiere che si fa. C’è una categoria, però, che non solo non si vergogna di dire il mestiere che fa ma che ha anche deciso di farlo come tutti gli altri: in inglese. Solo che, in questo caso, suona proprio esplicito: sex worker. Chi è e cosa fa?
Quella che tutti conoscevano (anche se non necessariamente di persona) come prostituta, ha subìto negli anni scorsi una classificazione di dubbio gusto a seconda del giro che frequentava. Se i clienti erano facoltosi ed il guadagno era almeno a tre zeri, era pronta l’etichetta di «escort». In caso contrario, prostituta rimaneva. Si ritorna al discorso di prima: cambiano i termini ma il mestiere è sempre lo stesso. Ora, qualunque siano le possibilità e le esigenze del cliente, si parla di sex worker. Chi è e cosa fa? Vediamo.
Sex worker: chi è?
Non c’è un altro modo per definire il sex work: letteralmente, si tratta di un lavoro sessuale. Vuol dire che il sex worker è colui (o colei) che offre delle prestazioni sessuali (servizi o performance) in cambio di denaro o di beni: soldi in contanti (verrebbe da dire «al di sotto dei 999,99 euro dal 1° gennaio 2022» per non infrangere la soglia delle transazioni dirette) oppure altre utilità a seconda della quantità delle prestazioni e del debito contratto: un affitto pagato per un determinato periodo di tempo, gioielli, auto di un certo tipo, un appartamento al mare, abiti costosi, le tasse universitarie, ecc.
Le stime – per quanto sia possibile farle – dicono che circa l’80% delle persone che lavorano in questo settore è straniero, nella maggior parte dei casi senza documenti e dipendenti da protettori. Ma, appunto, sono delle stime molto relative. È noto, ad esempio, che ci sono dei casi di studentesse che, per pagarsi l’università o per concedersi certi lussi, fanno il mestiere del sex worker nel più assoluto anonimato.
Sex worker: cosa fa?
Il sex worker, come qualsiasi altro lavoratore, offre delle prestazioni sessuali stabili oppure occasionali e non necessariamente per strada: è sex worker chi esercita l’attività a domicilio o in albergo così come via Internet, cioè in una chat erotica o in un social media (Facebook, Instagram, YouTube o altro). In sostanza, si può definire sex worker chi ottiene un guadagno da una prestazione sessuale fisica o virtuale. Il suo lavoro, infatti, può essere diretto o indiretto. Nel primo caso, rientrano le prestazioni sessuali che presuppongono un contatto fisico.
La prestazione viene accordata:
- in modo casuale: ad esempio, il sex worker che lavora sulla strada e che non ha concordato preventivamente un appuntamento con il cliente passato di lì per caso;
- su appuntamento: ad esempio, il sex worker che lavora per un’agenzia e che deve offrire le proprie prestazioni ad una determinata persona, in un luogo preciso e per un certo periodo di tempo (una sera, una notte, una settimana).
Nel caso del sex work indiretto, invece, si entra nella sfera virtuale. Si parla, dunque, di chat erotiche o di siti dichiaratamente a luci rosse che chiedono dei soldi in cambio di incontri a distanza con dei sex worker. Oppure di uomini o donne che «agganciano» dei clienti su Facebook o su altri social facendosi garantire un qualsiasi tipo di guadagno (soldi su un conto, ricariche, ecc.) in cambio di foto o video ad alto contenuto erotico o pornografico.
È legale fare il sex worker?
Va detto subito che in Italia il lavoro del sex worker non è reato, a meno che venga svolto all’interno di una delle cosiddette case di tolleranza. Quello che, invece, viene penalmente punito è lo sfruttamento ed il favoreggiamento della prostituzione.
La legge Merlin [1] punisce con la reclusione da due a sei anni lo sfruttamento della prostituzione, vale a dire chi trae profitto dal guadagno di un sex worker anche se quest’ultimo è d’accordo di condividerlo con altri in modo spontaneo.
Viene anche punito chi facilita l’esercizio della prostituzione, cioè chi accompagna il sex worker sul luogo di lavoro, chi mette degli annunci particolarmente accattivanti per agevolare la prostituta a procurarsi dei clienti, ecc.
La legge, infine, punisce con la reclusione fino a sei anni chi mette a disposizione dei luoghi in cui poter esercitare la prostituzione. Nello specifico, chiunque:
- abbia la proprietà, oppure solamente amministri, gestisca o diriga una casa chiusa;
- conceda in locazione un proprio locale per farvi svolgere consapevolmente l’attività di prostituzione;
- tolleri, all’interno del proprio locale pubblico o del locale che gestisce, l’esercizio della prostituzione (un pub, un night club, casa sua, ecc.).
Detto questo, il sex worker non commette reato con il proprio lavoro poiché, secondo la legge, è una sua scelta volontaria il fatto di prostituirsi, cioè di concedere il proprio corpo per prestazioni a pagamento. Purché, però, ciò non comporti una diminuzione permanente dell’integrità fisica o sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
Allo stesso modo, chi paga un sex worker per avere una prestazione sessuale non commette reato, a condizione che si tratti di una prestazione sessuale offerta da una persona maggiorenne e consenziente.
Tale professione è anche tassata, ai sensi dell’art. 36 comma 34bis Legge 248/2006 e Sentenza Corte Costituzionale n. 141/2019.