Ecco perché i giudici possono controllare la vita politica, economica e sociale del Paese.
Spesso, ci si chiede quanto è forte il potere della magistratura in Italia. Per comprenderlo bisognerebbe rispolverare la Costituzione e le norme di procedura civile e penale.
Nell’intenzione dei padri costituenti la magistratura nasce come corpo autonomo e indipendente dallo Stato, necessario a garantire il cittadino dagli abusi di quest’ultimo.
La magistratura è, da un lato, un limite al potere esecutivo e, quindi, alla discrezionalità della Pubblica Amministrazione che mai potrebbe agire di propria iniziativa, senza cioè un provvedimento del giudice (si pensi a una perquisizione, a una ispezione, a un arresto a meno che non sia in flagrante). Dall’altro, la magistratura è un limite al potere legislativo, limite che viene esercitato tramite il controllo della Corte Costituzionale sulle leggi adottate dal Parlamento o dal Governo, che giammai possono essere contrarie ai principi stabiliti dalla Costituzione.
Non si può tuttavia spogliare un soggetto di un potere senza poi finire per accordarlo ad un altro affinché lo controlli. Il controllore finisce per assumere su di sé il potere del soggetto controllato ma, inevitabilmente, diventa il nuovo centro del potere e, quindi, del potenziale abuso.
Così disegnato il nostro assetto costituzionale, si è finito per dare alla magistratura un potere notevole nella convinzione che esso sarebbe stato usato sempre nei limiti della legalità, secondo imparzialità e soprattutto con perizia. Ma anche gli uomini migliori possono sbagliare e la storia è piena di esempi di errori gravi (fatti in buona o malafede).
Nell’ottica di chi scrisse la nostra Costituzione, il potere accordato alla magistratura serviva per limitare gli altri poteri; senonché, di fatto, ciò ha finto per rendere i giudici il nuovo centro del potere, senza che vi potesse essere un ulteriore organo a controllarli se non il CSM, ossia il Consiglio Superiore della Magistratura. Quest’ultimo, in fin dei conti, non è che l’organo di governo della magistratura, eletto per ben due terzi dagli stessi magistrati.
Per comprendere però quanto è forte il potere della magistratura in Italia non bisogna limitarsi a considerare il fatto che ai giudici è concesso di condannare o assolvere un imputato o di decidere se dare torto o ragione a una persona in causa con un’altra. Il vero potere dei giudice è ben al di sopra delle beghe condominiali, dei piccoli reati di quartiere e delle controversie tra aziende.
Vediamo perché.
Il potere di interpretazione del diritto
«Il giudice è soggetto solo alla legge» dice l’articolo 117 della Costituzione. Con questa frase si intende accordare ai magistrati il potere di interpretare le norme secondo il proprio convincimento, al di là quindi di quelle che possono essere le direttive della Pubblica Amministrazione o i precedenti giudiziari dei loro stessi colleghi.
Un giudice può decidere anche in difformità dalla stessa Cassazione, seppur motivando la propria interpretazione.
Questo potere, piuttosto che accrescere le garanzie del cittadino, finisce per ridurle non consentendo di prevedere quale potrebbe essere la probabile sorte del giudizio, pur attenendosi all’interpretazione dominante della giurisprudenza. Un magistrato potrebbe infatti fornire sempre una decisione contraria all’indirizzo maggioritario. E ciò succede anche all’interno della stessa Cassazione dove le singole sezioni sono spesso in disaccordo tra loro. Il processo, così, diventa una sorta di terno al lotto.
La stessa Cassazione potrebbe un giorno stabilire una interpretazione del tutto originale di una norma, seppur non trovi un fondamento nelle parole usate dal legislatore; il che finirebbe per creare di fatto una regola nuova. Si pensi, tanto per fare un esempio, alla sentenza della Cassazione secondo cui commette reato il cittadino che non mostra la carta d’identità alle autorità che gliene facciano richiesta. E ciò anche se non esiste una norma che stabilisca l’obbligo di uscire di casa con i documenti di riconoscimento (leggi Bisogna uscire di casa con i documenti d’identità?). Oppure si pensi alle numerose norme in materia di licenziamento che hanno finito per imporre numerosi vincoli non scritti al datore di lavoro.
Insomma, la magistratura può, con il suo potere interpretativo, stabilire la direzione che le leggi devono avere, correggendo così, con la penna rossa, le norme scritte dal Parlamento.
Quando però una decisione finisce per avere, da un punto di vista nazionale, un valore marginale, il potere del giudice passa in secondo piano. A volte però esso si confronta con questioni di rilevante valore economico: si pensi a tutte le cause in materia pensionistica, bancaria, assicurazioni, rapporti di lavoro e così via.
Senza poi contare gli effetti che tutto ciò può determinare ai fini della condanna di eventuali appartenenti a organizzazioni criminali o di politici, così influenzando la vita (e la morte) dei partiti e delle elezioni.
Il potere di cancellare le leggi
Un altro enorme potere in mano alla magistratura è quello di cancellare le leggi ritenute incostituzionali. Tale potere è riconosciuto alla Corte Costituzionale su iniziativa, peraltro, di un altro giudice (chiamato ad applicare, nel corso di una causa, la norma sospettata di illegittimità) e non del cittadino (il quale non può mai ricorrere alla Consulta in via autonoma).
Anche qui il potere della magistratura è enorme, avendo questa la possibilità di ritenere illegittima una norma perché contrastante non già con un articolo specifico della Costituzione ma con i principi generali dell’ordinamento. Il che rende ancora più discrezionale la sua decisione. Si pensi a tutte le sentenze che hanno di fatto spazzato via la parte principale del Jobs Act, nella parte in cui la legge cercava di prefissare un limite al risarcimento in favore del lavoratore licenziato illegittimamente. Invece la magistratura, usurpata di tale potere che prima aveva esercitato in modo piuttosto ampio, ha ritenuto la norma incostituzionale e l’ha cancellata dal nostro ordinamento, riprendendosi ciò che le era stato tolto.
Insomma, tramite la Corte Costituzionale, la magistratura riesce a dettare un po’ la politica economica e sociale del Paese e, in un certo senso, a sostituirsi in parte al legislatore per quanto non le sarebbe concesso. È vero: la Consulta non può mai emettere sentenze “additive”, ossia che creano norme mai scritte dal legislatore ma, di fatto, con un buon iter argomentativo, tale limite è stato più volte bypassato.