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Maltrattamenti in famiglia: quando scatta l’arresto?

16 Dicembre 2021 | Autore:
Maltrattamenti in famiglia: quando scatta l’arresto?

Uomo picchia donna convivente: in quali casi c’è la flagranza di reato? In cosa consistono i maltrattamenti?

La legge punisce ogni forma di violenza, sia fisica che psicologica. Non occorre dunque necessariamente alzare le mani per incorrere in reato: secondo la giurisprudenza, anche una serie ripetuta nel tempo di vessazioni e umiliazioni nei confronti della vittima sono in grado di integrare il delitto. In particolare, ci riferiamo al reato di maltrattamenti, punito dalla legge con la reclusione fino a sette anni. Con questo articolo ci occuperemo di un aspetto in particolare: vedremo cioè quando scatta l’arresto per maltrattamenti in famiglia.

Sin da subito va detto che l’arresto è una misura con cui l’autore del reato, colto in flagrante, viene privato della propria libertà personale. Secondo la Corte di Cassazione [1], i carabinieri chiamati dalla donna maltrattata dal compagno non possono procedere all’arresto se l’intervento delle forze dell’ordine si concretizza a fatti già accaduti. Insomma: i giudici sembrano dire che, se l’uomo non viene colto proprio nel momento in cui sta picchiando la donna, non si può procedere all’arresto. Ma è proprio così oppure si tratta di una clamorosa svista della Cassazione? Quando scatta l’arresto per maltrattamenti in famiglia? Vediamo.

Maltrattamenti: quando è reato?

I maltrattamenti contro familiari o conviventi sono un reato punito con la reclusione sino a sette anni; nei casi più gravi, la pena può arrivare fino a nove anni, giungendo al tetto massimo di ventiquattro anni in caso di morte della persona maltrattata.

Per la precisione, la legge punisce chi maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte [2].

Per maltrattamenti si intende ogni tipo di condotta che si traduce in un abuso nei confronti della vittima.

Nei maltrattamenti non rientrano soltanto i soprusi fisici, ma anche quelli psicologici. Ad esempio, costituisce maltrattamento la condotta vessatoria consistente in continui insulti e umiliazioni.

In buona sostanza, ogni tipo di abuso, fisico o morale, se ripetuto nel tempo, è idoneo a integrare il delitto di maltrattamenti.

Una sola condotta colpevole non è invece sufficiente. Ad esempio, il padre che percuote il figlio in preda a un improvviso e occasionale stato d’ira rischia di essere incriminato per percosse o per lesioni personali, ma non per maltrattamenti.

Arresto: cos’è?

L’arresto è la procedura di privazione della libertà personale prevista dalla legge per coloro che sono colti nell’atto di compiere un reato.

Altra cosa sono invece gli arresti domiciliari, che costituiscono una misura cautelare comminata dal giudice in attesa che il processo si definisca. Gli arresti domiciliari, infatti, prescindono dallo stato di flagranza.

Requisiti dell’arresto sono:

  • la flagranza di reato, cioè l’essere colti nell’atto di compiere un crimine [3];
  • la commissione di un delitto per il quale la legge stabilisce la possibilità di procedere ad arresto.

Equiparata alla flagranza di reato è la cosiddetta quasi flagranza, che ricorre ogni volta che una persona, subito dopo il reato, è inseguita dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima.

Per legge [4], i maltrattamenti contro familiari e conviventi rientrano tra i reati per i quali la polizia può (anzi, deve) procedere all’arresto in caso di flagranza o di quasi flagranza.

Secondo la sentenza della Cassazione citata in apertura, però, non è sufficiente una semplice denuncia e l’intervento sul posto dei carabinieri per poter procedere a tanto. Vediamo perché.

Maltrattamenti: quando scatta l’arresto?

Pur rientrando tra i reati per cui si può procedere all’arresto, le forze dell’ordine devono sempre verificare il sussistere dello stato di flagranza quando vogliono arrestare la persona denunciata per maltrattamenti.

Secondo la Corte di Cassazione, l’arrivo dei militari a cose fatte esclude la legittimità dell’arresto in quanto è impossibile parlare di flagranza del reato.

Nel caso affrontato dalla Suprema Corte, una donna chiamava i carabinieri per dire di essere stata picchiata dal compagno con cui conviveva. Giunti sul posto, le forze dell’ordine trovavano solamente alcune suppellettili danneggiate.

Secondo la Cassazione, in un caso del genere, l’arresto è illegittimo perché non sussiste né la flagranza né la quasi flagranza del reato. Ovviamente, ciò non significa che il fatto non costituisca reato; semplicemente, le autorità non possono procedere all’arresto dell’autore del crimine.

Si badi: la Corte di Cassazione non sta dicendo che si può procedere all’arresto del convivente violento solo se lo si trova nell’istante preciso in cui picchia la donna. Secondo i giudici, «la flagranza del reato può essere desunta sulla base della constatazione da parte delle forze dell’ordine delle condizioni dell’abitazione, delle modalità con le quali è stato richiesto l’intervento d’urgenza o delle condizioni soggettive della persona offesa, costretta a rifugiarsi presso terze persone per sottrarsi all’aggressione dell’indagato».

Tutti questi elementi, però, non erano assolutamente ravvisabili nella vicenda in esame, in cui i carabinieri avevano rinvenuto solo un paio di piatti rotti, troppo poco per potersi avere flagranza di reato e per giustificare un arresto.


note

[1] Cass., sent. n. 45929 del 14 dicembre 2021.

[2] Art. 572 cod. pen.

[3] Art. 382 cod. proc. pen.

[4] Art. 380 cod. proc. pen.

Autore immagine: canva.com/

Cass. pen., sez. VI, ud. 14 settembre 2021 (dep. 14 dicembre 2021), n. 45929

Presidente Di Stefano – Relatore Vigna

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1.Con ordinanza emessa in data 6 maggio 2021 il G.i.p. presso il Tribunale di Taranto non ha convalidato l’arresto di N.S. , eseguito il 5 maggio 2021 dai Carabinieri di (omissis) per il delitto di cui all’art. 572 c.p.. La convalida è stata negata per l’assenza del requisito della flagranza del reato, sul rilievo che i fatti denunziati erano già accaduti nel momento in cui si era verificato l’intervento dei militari, i quali non avevano potuto assistere “neppure a un segmento di azione riconducibile al delitto di maltrattamenti”.

In particolare, la dinamica dei fatti viene così riassunta:

-il 4 maggio 2021 alle ore 10.00 R.C. , coabitante con l’indagato, si recava dai carabinieri, riferendo loro della lite intercorsa con N. la sera precedente all’interno dell’abitazione;

– alle ore 11.00 la R. chiedeva l’intervento degli operanti presso l’abitazione ove vi era anche l’indagato e dichiarava di temere per la propria incolumità, pur soggiungendo di non volere denunciare il compagno il quale insisteva per la riappacificazione;

– all’interno della abitazione i carabinieri notavano unicamente alcuni suppellettili danneggiati.

Il G.i.p. rilevava, poi, l’assenza dei requisiti di colpevolezza difettando il vincolo parafamiliare tra autore del reato e persona offesa.

  1. Avverso la su indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Pubblico ministero presso il Tribunale di Taranto, lamentando l’erronea interpretazione della legge e i vizi motivazionali, per contraddittorietà ed illogicità manifesta, laddove era stato effettuato un giudizio sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ritenendoli mancanti, senza però considerare che le parti convivevano da un mese e che in tale periodo l’indagato aveva maltrattato con abitualità la compagna.

3.La difesa ha depositato – a mezzo PEC – una memoria nella quale si evidenziano l’assenza di flagranza o di flagranza differita, la mancanza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 572 c.p., e la assenza di querela nell’ipotesi di riqualificazione del reato in altro meno grave.

4.Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo.

4.1. Se è vero che il G.i.p. non doveva, in sede di convalida dell’arresto, valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è, del pari, vero che quest’ultimo ha congruamente motivato, come previsto dalla legge, sull’assenza del requisito della flagranza/quasi flagranza, requisito rispetto al quale nulla, invece, si dice nel ricorso.

4.2. Mette conto sottolineare che è configurabile lo stato di flagranza del reato di maltrattamenti in famiglia allorché il singolo episodio lesivo non risulti isolato, ma si ponga inequivocabilmente in una situazione di continuità rispetto a comportamenti di reiterata sopraffazione direttamente percepiti dagli operanti (Sez. 6, n. 7139 del 16/01/2019, G., Rv. 275085).

La flagranza del reato può, quindi, essere desunta sulla base della constatazione da parte delle forze dell’ordine delle condizioni dell’abitazione, delle modalità con le quali era stato richiesto l’intervento d’urgenza o delle condizioni soggettive della persona offesa, costretta a rifugiarsi presso terzi per sottrarsi all’aggressione dell’indagato.

È di tutta evidenza come nel caso in esame non si sia verificato nulla di tutto ciò e come, pertanto, correttamente il G.i.p., escludendo il requisito della flagranza, non abbia potuto procedere alla convalida dell’arresto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Motivazione semplificata.


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1 Commento

  1. tutto questo pero’ mi pare molto riduttivo in quanto, la persona offesa, per poter essere creduta non deve necessariamente avere sempre forti lesioni, per essere creduta ma bisogna effettuare una ricostruzione anche delle vicende precedenti a quella in esame dei carabinieri o altre forze dell’ordine, si pensi a asi di ripetute violenze mai denunciate.

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