Canone di affitto pagato in nero: cosa succede se il locatore, in caso di morosità, vuol procedere con lo sfratto?
Un nostro lettore ci ha scritto dicendoci che è «in affitto tramite comodato» e che, a fronte di ciò, il locatore è intenzionato a sfrattarlo per morosità. Ci chiede quali siano i tempi e le tutele, atteso che, sino ad oggi, ha sempre pagato in nero il canone che gli è stato chiesto e che solo di recente non è riuscito a far fronte a tutti gli importi.
In verità, la legge non prevede l’affitto tramite comodato: si tratta di un controsenso. Affitto e comodato sono due contratti distinti e autonomi: o c’è l’uno o c’è l’altro. Si ha «affitto» (o meglio, locazione) quando, a fronte della disponibilità dell’appartamento, il titolare richiede un canone. Si ha invece «comodato» quando tale disponibilità viene concessa a titolo gratuito, senza cioè una controprestazione (salvo eventuali oneri come ad esempio la ristrutturazione. Leggi sul punto Il comodato è sempre gratuito?).
Dunque, se l’affittuario, nel caso di specie, paga un canone – seppur in nero – il rapporto concluso con il locatore non può essere classificato come comodato, nonostante quanto scritto sul contratto. Si tratterà allora di una simulazione che nasconde un affitto in nero.
Venendo agli aspetti pratici, cosa prevede la legge quando si ha un “affitto tramite comodato” (almeno secondo l’impropria terminologia che, come detto, viene utilizzata)? Cerchiamo di fare il punto della situazione.
Come anticipato, se il conduttore viene costretto a pagare un canone, al di là di ciò che sia scritto nell’eventuale scrittura a questi sottoposta siamo in presenza di un contratto di locazione irregolare, ossia in nero. E siccome i contratti di locazione non registrati sono nulli tra le parti, tutte le clausole in esso inserite non hanno valore.
Da ciò discendono due importantissime conseguenze. La prima: seppur il locatore può ugualmente ritornare in possesso del proprio immobile occupato abusivamente dall’inquilino senza contratto, non gli è consentito di farlo con l’ordinaria azione di sfratto. Lo sfratto infatti presuppone l’esistenza di un contratto di locazione scritto e registrato. Questi dovrà quindi agire con una ordinaria causa civile (detta «azione di occupazione senza titolo») che richiede tempi più lunghi (di solito non meno di due anni).
La seconda conseguenza è ancora più importante: il conduttore, entro sei mesi dal rilascio dell’immobile, può chiedere – anche tramite il giudice – la restituzione di tutti i canoni di locazione corrisposti in nero. Chiaramente dovrà prima fornire la prova del pagamento, prova che potrà essere costituita da ricevute firmate dal locatore, da eventuali sms o chat di conferma nonché – anche se più improbabile – dalla tracciabilità dei pagamenti effettuati tramite bonifico.
Ne consegue peraltro che, nell’azione del locatore per il recupero della disponibilità dell’immobile, questi non potrà chiedere al giudice una ingiunzione di pagamento per i canoni non corrisposti, derivando questi da un accordo nullo, ma una semplice indennità di occupazione che è di gran lunga inferiore ai prezzi di mercato.
Si potrebbe in ultimo configurare una situazione mista in cui, pur a fronte di un contratto di locazione regolarmente stipulato, solo una parte del canone sia stata dichiarata mentre l’altra risulti convenuta verbalmente (e quindi in nero). Anche in tal caso, il conduttore potrà rifiutarsi di pagare il surplus senza subire pregiudizi come lo sfratto o un decreto ingiuntivo. E per le quote già corrisposte in nero avrà sempre i sei mesi dalla cessazione dell’affitto per chiederne la restituzione.