Facebook e le prove nel processo: cosa si può usare


Tradimento e addebito, diffamazione e calunnia, chat, messaggistica, stato e commenti, post e fotografie: tutte le relazioni tra Facebook e il processo.
Facebook può essere usato come prova? Una bella domanda, ma la risposta non è così immediata come sembra. Tutto dipende da “cosa si vuole usare” e “per quale scopo”. In questo breve e schematico articolo, cercheremo di fare alcune distinzioni onde spiegare cosa si può utilizzare in causa contro il proprio avversario e cosa, invece, si deve per forza lasciare sul monitor del computer.
Indice
1 | IL TRADIMENTO
Possibile l’addebito per il tradimento virtuale?
Inutile dirlo: Facebook è nato per “rimorchiare” e tale – in buona parte – è rimasto per molta gente. Così i tradimenti che si consumano nelle quattro pareti telematiche del social network sono all’ordine del giorno.
Ed ecco il primo quesito: la relazione virtuale di amorosi sensi (quella cioè, scoperta prima ancora dell’atto carnale) può fondare una richiesta di addebito a carico del partner “provolone”? La risposta è stata fornita più volte dalla Cassazione [1]: secondo i giudici, perché possa scattare la condanna al mantenimento del coniuge tradito, non è necessario un adulterio fisico vero e proprio, ma è sufficiente porre in essere un comportamento che offenda la dignità e l’onore dell’altro coniuge.
Quindi, il rapporto platonico, se anche non raggiunge il tradimento in senso biblico, è vietato. Detto in parole ancora più crude: se il vostro partner vi becca mentre chattate con allusioni sessuali chiare, può chiedere la separazione e farvela pagare cara.
Per approfondimenti sul tema leggi:
– Il tradimento in chat su internet o whatsapp vale per l’addebito?
– Tradimenti in chat: legittimo l’addebito della separazione
– Adulterio? Conta quello che pensa la società
La prova del tradimento: la chat
Appurato che il tradimento virtuale è vietato, il problema – come sempre – è la prova, ossia come dimostrare al giudice che c’è stato il comportamento fedifrago.
Ed ecco il secondo quesito: si può chiedere al tribunale di ordinare, all’altra parte in causa, di mostrare tutte le proprie conversazioni in chat e la messaggistica privata? Secondo il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, la risposta è negativa [2]. Chat, conversazioni e messaggi privati sul social network sono coperti da privacy e neanche il giudice civile potrebbe violare questo segreto.
Qualcuno ritiene anche che si possa procedere ad ispezioni [3], ma solo in casi davvero eccezionali e solo se indispensabili ai fini del decidere. In ogni caso, tali attività non potrebbero violare segreti tutelati dalla legge come, appunto, quello della corrispondenza (tale è, infatti, la chat privata).
Per approfondimenti sul tema leggi:
– Chat, conversazioni e messaggi su Facebook: mai come prova in tribunale
– Profilo Facebook: le informazioni coperte dalle impostazioni sulla privacy non sono segrete
– Tradimenti: indagini su email, Facebook, tabulati di telefonate e sms del partner
Ma se a recuperare questi dati segreti non è un ordine del giudice, ma il partner? Se quest’ultimo, di nascosto, è riuscito a entrare nel profilo utente del coniuge, a criptare le relative password, a “fotografare” tutte le conversazioni private? La risposta, a nostro giudizio, dovrebbe essere sempre la stessa: il divieto di utilizzare le prove acquisite illegalmente ricade su qualsiasi tipo di impiego, anche quello rivolto alla tutela dei diritti in processo. Ma non è stato questo l’orientamento del tribunale di Torino dell’anno scorso [4], secondo cui le prove acquisite con “intercettazioni non autorizzate” possono essere usate per tutelare dei diritti non necessariamente costituzionali.
Per approfondimenti sul tema leggi:
– Utilizzabili nel processo civile prove acquisite tramite reato contro la privacy
– Password di email sottochiave: da oggi le intercettazioni sono prova nel processo civile
– Attenzione a sms e email: anche se acquisiti in violazione della privacy fanno prova
Stato e fotografie
Al contrario delle chat private (considerate come corrispondenza privata), lo “stato” di Facebook, i post, la cosiddetta “situazione sentimentale” e le eventuali fotografie pubblicate sul proprio profilo possono essere utilizzate come prova. E ciò vale anche se tali “documenti scottanti” sono coperti da privacy e visionabili solo da un numero ristretto di persone [2]. In altre parole, se le impostazioni di account sono “chiuse”, esse comunque si intendono pubbliche e, pertanto, possono essere usate come prova in un processo.
Ciò ovviamente non vale solo per i tradimenti, ma anche per altri comportamenti illeciti come la diffamazione, la calunnia, l’offesa al proprio datore di lavoro, ecc.
Per approfondimenti sul tema leggi:
– Ammesse come prova le foto postate su Facebook
– Facebook come prova: foto e situazione sentimentale inchiodano l’ex
2 | LA DIFFAMAZIONE
Attenti ai post: la prova è facile
Per quanto riguarda la diffamazione, il problema si semplifica. Il reato, infatti, scatta solo se l’autore infanga la reputazione della vittima alla presenza di più persone. Pertanto è improbabile che ciò avvenga in una chat privata, che normalmente riguarda solo due utenti. Non scatta, infatti, alcun reato nel parlare male di un’altra persona con un’altra ancora. Diverso discorso è ovviamente se, invece che in una “chat a due” si parla in un “gruppo di discussione”, anche se attraverso la chat privata. In tal caso, è necessario procurarsi la prova, la quale potrebbe essere anche la testimonianza di uno dei soggetti che era presente alla discussione. Non c’è dunque bisogno necessariamente di una prova documentale. Anche se il metodo migliore resta sempre quello di andare dal notaio e farsi autenticare la pagina stampata con il commento offensivo.
Nel caso, invece, in cui l’offesa sia pubblicata attraverso un post o un commento, il gioco è più facile: basta procurarsi uno screenshot della pagina, una stampa e, qualora il titolare del contenuto abbia cancellato la prova, provare con la testimonianza di qualche utente che abbia letto l’offesa.
Per approfondimento sul tema leggi:
– Come provare un post offensivo su Facebook se l’autore ha cancellato il testo
– Quando l’offesa è pubblicata su Facebook
– Prove: come garantire che una stampa di una pagina web è identica all’originale
– Diffamazione su Facebook: come accertare l’identità del colpevole
note
[1] Cfr. Cass. sent. n. 8929 del 12.04.2013.
[2] Trib. S. Maria Capua Vetere sent. del 13.06.2013.
[3] Art. 118 cod. proc. civ.
[3] Trib. Torino, ord. del 8.05.2013.
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