CASSAZIONE SENTENZA N. 2929/2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. FUMO Maurizio – Presidente – del 05/11/2018
Dott. SCOTTI Umberto L. – rel. Consigliere – SENTENZA
Dott. CATENA Rossella – Consigliere – N. 2823
Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere – REGISTRO GENERALE
Dott. MOROSINI Elisabetta M. – Consigliere – N. 49679/2017
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G.C. nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 06/06/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale SECCIA DOMENICO, che ha
concluso chiedendo l’inammissibilita’.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 6/6/2017 ha confermato la sentenza del Tribunale di
Monza del 21/4/2015, appellata dall’imputato G.C., che, all’esito di giudizio abbreviato, l’aveva ritenuto
responsabile del reato di diffamazione aggravata ex art. 595 c.p., comma 3, in relazione alla
pubblicazione di espressioni offensive e diffamatorie sul blog “(OMISSIS)”, postate dall’imputato o da
terzi e non opportunamente filtrate, e, concessegli le attenuanti generiche equivalenti alla contestata
aggravante, l’aveva percio’ condannato alla pena di Euro 500,00 di multa e al risarcimento dei danni,
liquidati in Euro 2.000,00 ciascuno, e al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili
C.M. e C.A..
2. Ha proposto ricorso l’avv. Antonio Lucio Abbondanza, difensore di fiducia dell’imputato, svolgendo
quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), il ricorrente lamenta
violazione della legge penale in relazione agli artt. 125, 494, 192, 530 e 546 cod. proc. pen. e art. 110
c.p. e art. 595 c.p., comma 3, nonche’ mancanza e contraddittorieta’ della motivazione.
La contraddittorieta’ della motivazione in ordine al ravvisato concorso dell’imputato nel reato di
diffamazione emergeva dalla stessa sentenza.
Il blog e’ un diario virtuale, pubblicato su internet e periodicamente aggiornato dall’autore del sito, ove
vengono pubblicati interlocuzioni dei lettori, dirette ad esporre commenti e riflessioni generalmente
correlati agli interventi del blogger; solo in alcuni casi tali commenti sono filtrati, piu’ spesso vengono
immessi direttamente dai lettori senza intervento da parte del blogger.
La Corte territoriale non aveva considerato le osservazioni difensive ed aveva ravvisato la responsabilita’
concorsuale dell’imputato per l’erronea circostanza del filtro da lui operato ai commenti dei lettori.
A tal fine la Corte aveva dato rilievo alle dichiarazioni spontanee rese dal G. in dibattimento, inutilizzabili
ex art. 494 cod. proc. pen..
Tale vizio non era superabile con il riferimento introdotto a quanto ammesso dall’imputato in sede di
interrogatorio davanti al Pubblico Ministero, da cui non risultava affatto tale circostanza, mentre
l’imputato aveva assunto di effettuare accessi solo sporadici e di non aver collocato filtri automatici di
blocco di commenti o frasi ingiuriose.
2.2. Con il secondo motivo, proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), il ricorrente lamenta
violazione della legge penale in relazione agli artt. 125, 192, 530 e 546 cod. proc. pen. e art. 110 c.p. e
art. 595 c.p., comma 3, nonche’ mancanza e contraddittorieta’ della motivazione.
L’aggravante della commissione del reato a mezzo stampa era stata ravvisata in assenza di alcuna
motivazione, nonostante specifico motivo di appello presentato dalla difesa, mentre il blog non poteva
essere giuridicamente equiparato alla stampa.
2.3. Con il terzo motivo, proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), il ricorrente lamenta
violazione della legge penale in relazione agli artt. 125, 192, 529, 530 e 546 cod. proc. pen. e art. 110
c.p. e art. 595 c.p., comma 3, nonche’ mancanza e contraddittorieta’ della motivazione.
La Corte territoriale aveva rigettato la richiesta di emettere sentenza ex art. 529 cod. proc. pen. per la
mancanza di autenticita’ delle pagine stampate da Internet e allegate alla querela delle persone offese.
Non erano state prese in esame le allegazioni difensive imperniate sulla deposizione del perito di parte
dott. A. circa la mancanza di autenticita’ degli atti, non essendo stata raccolta con le dovute garanzie,
stante la natura volatile e trasformabile delle informazioni tratte da una rete telematica.
2.4. Con il quarto motivo, proposto ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il ricorrente lamenta mancanza,
contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione, in relazione alla liquidazione del danno all’immagine delle
parti civili, effettuata nonostante la ravvisata equivocita’ della vicenda relativa alla designazione dello
scrutatore, in una somma incongrua rispetto all’eco dell’evento e alla piccola realta’ in cui i fatti si erano
verificati.
3. Con memoria ex art. 611 cod. proc. pen. depositata il 22/10/2018 l’avv. Chiara Motta, difensore di
fiducia di C.M. e C.A., ha chiesto il rigetto del ricorso, con rifusione delle spese del grado, argomentando
in ordine alla ritenuta infondatezza dei motivi proposti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione agli artt. 125, 494,
192, 530 e 546 cod. proc. pen. e art. 110 c.p. e art. 595 c.p., comma 3, nonche’ mancanza e
contraddittorieta’ della motivazione, asseritamente emergente dalla stessa sentenza.
1.1. Il ricorrente ricorda che il blog e’ un diario virtuale, pubblicato su internet e periodicamente
aggiornato dall’autore del sito, ove vengono pubblicati interventi dialoganti dei lettori, diretti ad esporre
commenti e riflessioni e generalmente correlati agli interventi del blogger.
Il ricorrente aggiunge che solo in alcuni casi tali commenti sono filtrati e piu’ spesso vengono immessi
direttamente dai lettori senza intervento da parte del blogger.
1.2. Il termine blog e’ la contrazione di web-log, ovvero “diario in rete”.
Si tratta di un particolare tipo di sito web in cui i contenuti vengono visualizzati in forma anti-cronologica
(dal piu’ recente al piu’ lontano nel tempo), in genere gestito da uno o piu’ blogger, che pubblicano, piu’ o
meno periodicamente, contenuti multimediali, in forma testuale o in forma di post, concetto assimilabile o
avvicinabile a un articolo di giornale.
I tratti strutturali comuni ai blog riguardano principalmente il fatto che si tratta di “diari in rete”: i testi sono
forniti di data e sono presenti sulla pagina web in ordine anticronologico (prima i messaggi piu’ recenti) e
la maggior parte delle volte sono introdotti da un titolo.
Il singolo intervento (articolo, pensiero, contenuto multimediale, ecc.) inserito dal blogger viene definito
post e l’applicazione utilizzata permette di creare i nuovi post identificandoli con un titolo, la data di
pubblicazione e alcune parole chiave (tag).
Qualora l’autore del blog lo permetta, ovvero abbia configurato in questa maniera il blog, al post possono
seguire i commenti dei lettori del blog.
1.3. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale non aveva considerato le sue osservazioni difensive ed
aveva ravvisato la responsabilita’ concorsuale dell’imputato per l’erronea circostanza del filtro da lui
operato ai commenti dei lettori.
A tal fine la Corte aveva dato rilievo alle dichiarazioni spontanee rese dal G. in dibattimento, che erano
invece inutilizzabili ex art. 494 cod. proc. pen..
L’assunto del ricorrente non e’ adeguatamente precisato.
L’art. 494 codice di rito nel prevedere la facolta’ dell’imputato di rendere in ogni stato del dibattimento le
dichiarazioni spontanee che ritiene opportune, purche’ riferite all’oggetto dell’imputazione e non tali da
intralciare l’istruzione dibattimentale, non prevede alcuna forma di inutilizzabilita’ probatoria del loro
contenuto; esse costituiscono normalmente uno strumento di auto-difesa, ma non si puo’ certo escludere
che possano assumere valenza confessoria o comunque contenere elementi di prova a carico
dell’imputato.
Se poi la legge esclude che possano essere rivolte contestazioni o domande delle parti e del Giudice,
non puo’ ritenersi preclusa la facolta’ del Giudice di chiedere all’imputato di precisare o chiarire il
significato e la portata di dichiarazioni altrimenti oscure o non facilmente comprensibili.
Il ricorrente sembra dolersi del fatto che l’elemento a lui sfavorevole desunto dalle sue dichiarazioni sia
scaturito da una domanda rivolta dal Giudice, ma la censura e’ totalmente generica e non
autosufficiente, poiche’ il ricorrente non ricostruisce, neppure per sommi capi, l’andamento delle sue
dichiarazioni e l’oggetto del dialogo asseritamente intervenuto con il Giudice di primo grado.
1.4. Il Giudice di primo grado, a pagina 11, inoltre aveva attribuito rilievo al costante controllo del blog da
parte del G. nei due giorni che venivano in rilievo, ai suoi interventi ripetuti a risposta dei commenti da
altri inseriti, con interventi polemici e a volte offensivi, diretti a fomentare il dibattito, ed inoltre al fatto che
il G. non aveva mai cancellato i post diffamatori inseriti da terzi e non aveva preso le distanze di essi,
continuando a mantenerli fruibili dal pubblico.
1.5. Secondo il ricorrente il vizio non era superabile, come aveva ritenuto possibile la Corte di appello,
con il riferimento introdotto a quanto ammesso dall’imputato in sede di interrogatorio in data 4/10/2012
davanti al Pubblico Ministero, da cui non risultava affatto tale circostanza, mentre l’imputato aveva
assunto di effettuare accessi solo sporadici e di non aver collocato filtri automatici di blocco di commenti
o frasi ingiuriose.
La contestazione del ricorrente alla ricostruzione delle sue dichiarazioni e’ autoreferenziale e apodittica,
nel rimproverare, nella sostanza, alla Corte territoriale, un travisamento della prova, senza adempiere
agli oneri di specificita’ e autosufficienza, allegando o almeno riportando integralmente il contenuto delle
dichiarazioni.
1.6. Ai fini della configurabilita’ del vizio di travisamento della prova dichiarativa, e’ necessario che la
relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non
controvertibile difformita’ tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con
conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del
significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 – dep. 2018,
Grancini, Rv. 272406; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017 – dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 5, n.
9338 del 12/12/2012 – dep. 2013, Maggio, Rv. 255087); si tratta dell’errore cosiddetto “revocatorio”, che
cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente
per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio (Sez. 5, n. 18542 del
21/01/2011, Carone, Rv. 250168).
In forza della regola della autosufficienza del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che
intenda dedurre in sede di legittimita’ il travisamento di una prova testimoniale ha l’onere di suffragare la
validita’ del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni
rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo
apprezzamento del vizio dedotto (Sez. 1, n. 25834 del 04/05/2012, P.G. in proc. Massaro, Rv. 253017;
Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023; Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006, Salaj, Rv. 234115;
Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Sez. F, n. 37368 del 13/09/2007, Torino,
Rv. 237302).
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione agli artt. 125,
192, 530 e 546 cod. proc. pen. e art. 110 c.p. e art. 595 c.p., comma 3, e mancanza e contraddittorieta’
della motivazione.
2.1. L’aggravante della commissione del reato a mezzo stampa era stata ravvisata in assenza di alcuna
motivazione, nonostante specifico motivo di appello presentato dalla difesa, mentre il blog non poteva
essere giuridicamente equiparato alla stampa.
2.2. L’equivoco in cui incorre il ricorrente e’ evidente.
Il Giudice di primo grado, alle pagine 6 e seguenti della sentenza di primo grado, ha diffusamente
argomentato, fra l’altro in modo ineccepibile e alla luce della giurisprudenza di questa Corte, per
escludere l’equiparazione del blog all’attivita’ di stampa e ha fatto leva su tali principi per negare una
responsabilita’ del gestore di blog equiparabile a quella propria del direttore responsabile ex art. 57 cod.
pen..
E’ stata invece ravvisata nell’uso della rete Internet l’aggravante dell’uso di uno strumento di pubblicita’,
pure prevista dalla seconda ipotesi dell’art. 595 cod. pen., comma 3 che in effetti prevede tre ipotesi
alternative di aggravamento del reato in relazione al mezzo con cui e’ arrecata l’offesa: a) col mezzo
della stampa, b) con qualsiasi altro mezzo di pubblicita’, c) in atto pubblico.
2.3. Tale valutazione era del tutto corretta.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di
una bacheca facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 c.p., comma 3,
sotto il profilo dell’offesa arrecata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicita’” diverso dalla stampa, poiche’
la condotta in tal modo realizzata e’ potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o
comunque quantitativamente apprezzabile, di persone e tuttavia non puo’ dirsi posta in essere “col
mezzo della stampa”, non essendo i social network destinati ad un’attivita’ di informazione professionale
diretta al pubblico (Sez. 5, n. 4873 del 14/11/2016 – dep. 2017, P.M. in proc. Manduca, Rv. 269090.
2.4. La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado, mentre l’appellante non aveva affatto
censurato con apposito e specifico motivo l’applicazione dell’aggravante in questione, con la
conseguente preclusione ex art. 606 c.p.p., comma 3.
3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale in relazione agli artt. 125, 192,
529, 530 e 546 cod. proc. pen. e art. 110 c.p. e art. 595 c.p., comma 3, nonche’ mancanza e
contraddittorieta’ della motivazione.
3.1. La Corte territoriale aveva rigettato la richiesta di emettere sentenza ex art. 529 cod. proc. pen. per
la mancanza di autenticita’ delle pagine stampate da Internet e allegate alla querela delle persone
offese.
Non erano state cosi’ prese in esame le allegazioni difensive imperniate sulla deposizione del perito di
parte dott. A. circa la mancanza di autenticita’ degli atti, poiche’ la riproduzione non era stata raccolta
con le dovute garanzie, stante la natura volatile e trasformabile delle informazioni tratte da una rete
telematica.
3.2. Il ragionamento del ricorrente posto a base della pretesa di emanazione di una decisione ex art. 529
cod. proc. pen. non e’ logico e consequenziale.
Quand’anche la documentazione allegata alla querela non potesse considerarsi munita di adeguato
valore probatorio perche’ costituita da una mera stampa di videate tratte da Internet, senza l’adozione
delle particolari tecniche forensi di estrazione e riproduzione del dato digitale, non ne deriverebbe affatto
l’improcedibilita’ dell’azione penale per difetto di querela, in presenza di rituale e tempestiva espressione
della volonta’ delle persone offese di persecuzione in sede penale dell’autore del reato.
3.3. In ogni caso, anche sul terreno prettamente probatorio, i Giudici del merito hanno chiarito, da un
lato, che le stampate prodotte dalle parti civili erano pur sempre documenti, non sforniti di valore
probatorio, e non erano stati impugnati, e, dall’altro, e soprattutto, che non vi era dubbio alcuno circa il
fatto che le espressioni oggetto di imputazione fossero comparse sul blog “(OMISSIS)” dell’imputato, alla
luce delle numerose deposizioni testimoniali rese in tal senso.
Tale assunto e’ rimasto indenne da specifiche censure e per cio’ solo il motivo appare viziato da
genericita’.
4. Con il quarto motivo cod. proc. pen., il ricorrente lamenta mancanza, contraddittorieta’ e illogicita’ della
motivazione, in relazione alla liquidazione del danno all’immagine delle parti civili, effettuata nonostante
la ravvisata equivocita’ della vicenda relativa alla designazione dello scrutatore, in una somma incongrua
rispetto all’eco dell’evento e alla piccola realta’ in cui i fatti si erano verificati.
La liquidazione e’ avvenuta in via equitativa, in importo obiettivamente contenuto (Euro 2.000 per
ciascun imputato) ed e’ stata corredata, sia in primo grado, sia in secondo grado, da una sintetica e
comunque adeguata motivazione, correlata al numero dei messaggi, all’eco dell’evento e al risalto della
notizia a livello locale.
Occorre tener presente il principio per cui la liquidazione del danno morale e’ affidata ad apprezzamenti
discrezionali ed equitativi del giudice di merito il quale ha, tuttavia, il dovere di dare conto delle
circostanze di fatto considerate in sede di valutazione equitativa e del percorso logico posto a base della
decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente i calcoli in base ai quali ha determinato il
quantum del risarcimento (Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli e altro, Rv. 263450).
Pertanto la valutazione del giudice in tema di liquidazione del danno morale, in quanto affidata ad
apprezzamenti discrezionali ed equitativi, costituisce valutazione di fatto sottratta al sindacato di
legittimita’ se sorretta da congrua motivazione (Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, P.G., Fontana e altri,
Rv. 258170; Sez. 3, n. 34209 del 17/06/2010, Ortolan, Rv. 248371), salvo il caso del totale difetto di
giustificazione o di macroscopico scostamento dai dati di comune esperienza o di radicale
contraddittorieta’ (Sez. 5, n. 35104 del 22/06/2013, R.C. Istituto Citta’ Studi, Baldini e altri, Rv. 257123).
5. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile; ne consegue la condanna del ricorrente ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro
2.000,00= in favore della Cassa delle ammende, cosi’ equitativamente determinata in relazione ai motivi
di ricorso che inducono a ritenere il ricorrente in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilita’ (Corte cost. 13/6/2000 n. 186).
Il ricorrente dovra’ inoltre rifondere le spese sostenute dalla parte civile, che ne ha fatto puntuale
richiesta con la memoria depositata il 22/10/2018, liquidate congruamente in complessivi Euro 840,00,
oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e
della somma di Euro 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende, oltre al rimborso delle spese
sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 840,00, oltre accessori come per legge.
Cosi’ deciso in Roma, il 5 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2019