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Se sono in malattia posso lavorare da casa?

28 Aprile 2022 | Autore:
Se sono in malattia posso lavorare da casa?

Lo svolgimento di attività ludica o lavorativa in favore di terzi durante l’assenza per malattia legittima il licenziamento?

Cosa può fare il dipendente assente dal lavoro perché in malattia? Di certo, deve rispettare gli orari della reperibilità: deve quindi restare a casa per consentire la visita fiscale da parte del medico dell’Inps. E ciò indipendentemente dal tipo di malattia. Anche dinanzi a un braccio rotto, che certo non richiede di stare riparati sotto le coperte come invece la febbre alta, non si può uscire. 

Qualcuno pertanto si chiede: se sono in malattia posso lavorare da casa? La risposta è scritta in diverse pronunce della Cassazione [1]. L’ultima di queste è particolarmente interessante perché sdogana non solo le attività lavorative “secondarie” in proprio o per conto di terzi, ma anche quelle “ludiche”. Ecco cosa ha detto la Suprema Corte sul punto.

Malattia: cosa comporta?

Lo stato di malattia determina la sospensione del rapporto di lavoro e consente di qualificare come legittima l’assenza dal lavoro del dipendente. Il lavoratore malato ha diritto alla conservazione del posto per il tempo previsto dalla legge o dai contratti collettivi. Questo significa che non può essere licenziato solo perché assente a meno che tale assenza non si prolunghi oltre la durata stabilita dal Ccnl (il cosiddetto periodo di comporto), nel qual caso il licenziamento è legittimo senza bisogno di ulteriori motivazioni.

Cosa spetta al dipendente durante la malattia?

Durante l’assenza per malattia decorre normalmente l’anzianità di servizio e al lavoratore spetta un trattamento economico, nella misura stabilita dalla legge o dai contratti collettivi. Questo significa che il lavoratore malato continua a ricevere la normale retribuzione.

La retribuzione da considerare per il calcolo dell’indennità di malattia è quella spettante al lavoratore nel periodo di paga mensile scaduto e immediatamente precedente l’inizio della malattia.

Cosa deve fare il lavoratore in malattia?

Il principale adempimento che deve assolvere il lavoratore al fine di ottenere le tutele previste dalla legge nel caso di malattia è quello di comunicare tempestivamente al datore di lavoro il suo stato di malattia e sottoporsi a visita del proprio medico curante, che rilascia un certificato in formato digitale. È il medico stesso a mettere a disposizione dell’Inps tale certificato, non residuando alcun altro adempimento a carico del dipendente. 

Normalmente, i Ccnl stabiliscono termini e modalità per la comunicazione che, in mancanza di norme, deve essere effettuata tempestivamente anche a mezzo telefono.

Il dipendente in malattia deve poi rendersi reperibile, all’indirizzo indicato nel certificato medico (che può sempre essere modificato in un momento successivo) per la visita di controllo dell’Inps: la cosiddetta visita fiscale.

In quali orari il dipendente malato deve restare a casa?

Gli orari della reperibilità, per sottoporsi alla visita fiscale, sono diversi a seconda che il lavoratore appartenga al comparto pubblico o privato. 

Reperibilità dipendenti privati

  • dalle ore 10:00 alle ore 12:00;
  • dalle ore 17:00 alle ore 19:00.

Reperibilità dipendenti pubblici

  • dalle ore 09:00 alle ore 13:00;
  • dalle ore 15:00 alle ore 18:00.

Le visite vengono effettuate 7 giorni su 7, quindi anche durante il sabato, la domenica e i giorni festivi.

È possibile subire anche due visite nello stesso giorno senza che vi sia obbligo di motivazione. 

Che cosa si può fare dopo la visita fiscale?

Dopo la visita fiscale, il dipendente può uscire di casa solo laddove ciò non pregiudichi la guarigione. Difatti, il dipendente ha l’obbligo di non prolungare la convalescenza e di ritornare il prima possibile al lavoro, senza compiere comportamenti che potrebbero pregiudicare ciò.

Questo significa ad esempio che un lavoratore con un braccio ingessato o affetto da una depressione ben potrebbe uscire di casa, fare una passeggiata o recarsi con gli amici in un locale notturno. Invece quello con una polmonite o con una lombosciatalgia dovrà osservare il riposo in casa, diversamente potendo subire sanzioni disciplinari (anche il licenziamento nei casi più gravi)

Se si è in malattia, si può lavorare da casa?

Il comportamento del lavoratore assente per malattia deve essere improntato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede nonché di quelli di diligenza e fedeltà. Se viola queste regole, può essere soggetto a sanzioni disciplinari e, nei casi più gravi, al licenziamento. Ne consegue che lo svolgimento di altra attività lavorativa del dipendente in malattia può giustificare il licenziamento, oltre che nell’ipotesi in cui l’attività sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche quando la medesima attività possa pregiudicare o ritardare la guarigione e con essa il rientro del lavoratore in servizio.

Secondo la Cassazione, l’espletamento di attività extra lavorativa durante la malattia viola i doveri di correttezza e buonafede e giustifica il recesso del datore solo ove si riscontri che l’attività espletata costituisce indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e ai relativi doveri di cura e di non ritardare la guarigione. 

Se l’attività svolta è assolutamente incompatibile con la malattia, è possibile presumere che il certificato medico sia falso, o meglio che esso attesti una malattia inesistente: ragion per cui il dipendente può essere licenziato.

Se non sussistono tali ipotesi, il dipendente malato può lavorare da casa: può ad esempio chiedere allo stesso datore di lavoro di assegnargli dei compiti compatibili con la sua malattia; può svolgere un’attività in proprio o, addirittura, per conto di un’altra azienda. In quest’ultimo caso, però, soggiace a un’importante condizione: il lavoro per terzi non deve essere in concorrenza con quello del proprio datore di lavoro. Questo perché ogni dipendente ha l’obbligo di non concorrenza con l’azienda presso cui lavora. 

Ai fini della potenzialità del pregiudizio, non importa se l’attività sia resa a titolo gratuito o dietro pagamento. 

La prestazione di attività presso terzi con lo svolgimento delle medesime mansioni è di per sé stessa idonea a compromettere o comunque a ritardare la guarigione, legittimando il licenziamento del dipendente. 

Al contrario, lo stato di malattia è compatibile con l’esercizio di altre attività lavorative e non lavorative allorché non pregiudichino la guarigione o la sua tempestività: amatoriali, hobbistiche e persino sportive [1].

La presenza quotidiana, costante e prolungata presso una palestra, ancorché avente natura di ente no profit, la collaborazione attiva nella gestione della stessa nonché il possesso delle chiavi, sono elementi incompatibili con un hobby o un momento di svago tollerabile durante un periodo di assenza per malattia [2]. 

Non è passibile di licenziamento il lavoratore che, assente per una distorsione alla caviglia, venga sorpreso mentre si sposta in città, anche a piedi, per effettuare acquisti o per altre attività riferibili alle ordinarie esigenze della vita quotidiana [3]. 

Secondo la Cassazione, non sussiste nel nostro ordinamento un divieto generale di svolgimento di altra attività – anche a favore di terzi – da parte del lavoratore assente per malattia; pertanto, il datore di lavoro che per tale ragione irroghi il licenziamento deve provare non solo l’effettivo svolgimento di altra attività da parte del dipendente, ma anche un ulteriore elemento, e cioè o che lo stato di malattia fosse simulato oppure che la diversa attività espletata fosse potenzialmente idonea a pregiudicare, anche in termini di mero ritardo, il rientro in servizio.

In particolare, secondo i giudici di legittimità, è necessario effettuare una valutazione circa l’idoneità della condotta contestata (indice di scarsa attenzione del dipendente ai doveri di cura, anche nell’interesse della controparte contrattuale) a pregiudicare, anche potenzialmente, la fine della malattia, secondo un giudizio che non potrà che svolgersi ex post.

È onere del datore di lavoro fornire la prova dell’incidenza della diversa attività svolta durante la malattia nel ritardarne la guarigione.

Offerta al datore di una prestazione ridotta

Nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede il dipendente in malattia che, seppur inidoneo temporaneamente alle mansioni alle quali è abitualmente assegnato, intenda svolgere un’attività presso terzi essendo idoneo a mansioni diverse, il cui espletamento non sia pregiudizievole al fine di un più rapido recupero della piena idoneità fisica, deve offrire tale prestazione parziale al datore di lavoro, il quale potrebbe temporaneamente assegnare il lavoratore proprio a quelle mansioni (equivalenti a quelle originarie) per le quali egli sia idoneo.


note

[1] Cass. 5106/2008. Cass. civ., sez. lav., sent., 26 aprile 2022, n. 13063

[2] Cass. 22029/2010.

[3] Cass. 6375/2011.


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