Covid-19: perché la campagna vaccinale è rallentata?


Una ricerca conferma il collegamento tra le bufale via web e la resistenza all’iniezione.
La divulgazione di fake news a sfondo anti-vax alimentata su web e social network rallenta la campagna vaccinale anti-Covid-19. A dimostrarlo è uno studio condotto sui dati Usa pubblicato su ‘Scientific Reports’ (rivista del gruppo Nature) a cura di Francesco Pierri, ricercatore del Dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria (Deib) del Politecnico di Milano, in collaborazione con l’Indiana University, nell’ambito del progetto Horizon 2020 Periscope.
Scopo della ricerca era capire l’esistenza di un possibile legame tra la qualità dell’informazione proposta online e il sentimento no vax della popolazione statunitense, con conseguenti ricadute sulla campagna vaccinale anti Sars-CoV-2.
Come si è svolta l’indagine sui dati americani?
Dall’inizio del 2021 – dettaglia una nota – i ricercatori del Politecnico meneghino e dell’Observatory on Social Media (Osome) hanno raccolto milioni di post condivisi su Twitter e relativi ai vaccini con l’intento di studiare gli effetti delle informazioni inattendibili e/o inaccurate sulla campagna vaccinale statunitense iniziata alla fine del 2020.
Utilizzando una lista di siti di notizie segnalati da giornalisti, fact-checkers e altri accademici come portali che diffondono notizie false e inattendibili, gli autori hanno individuato milioni di post dal contenuto potenzialmente dannoso (articoli che dichiarano che i vaccini non funzionano o causano la morte) condivisi da milioni di utenti Twitter nei primi mesi del 2021, che si erano geolocalizzati nei vari stati e contee Usa.
Gli scienziati sono ricorsi a milioni di risposte a sondaggi giornalieri somministrati su Facebook in cui veniva richiesto agli utenti geolocalizzati se intendessero o meno vaccinarsi.
I risultati
I risultati dimostrano che esiste «un’associazione statisticamente significativa tra la quantità di disinformazione condivisa online e la tendenza a rifiutare o ritardare il vaccino negli Stati Uniti. In particolare, negli stati e nelle contee in cui viene consumata più disinformazione online si registrano livelli più alti di esitazione vaccinale e, conseguentemente, livelli più bassi di copertura vaccinale».
«I risultati del modello di regressione lineare multipla, che comprende altre variabili socio-economiche come la ricchezza media e la composizione etnica di ogni stato/contea – riassume Pierri – mostrano che la percentuale di disinformazione condivisa in media dagli utenti di una determinata area è correlata positivamente con la percentuale di persone che dichiara di non avere intenzione di vaccinarsi e, in maniera simile, correlata negativamente con la quantità di dosi di vaccino somministrate».
Tuttavia, la correlazione tra la disinformazione che corre su Internet e la resistenza alla vaccinazione appare un sentimento condiviso dalla popolazione globale, non solo di quella a stelle e strisce. Come riporta l’agenzia di stampa Adnkronos, gli autori precisano che «molti studi pubblicati durante la pandemia di Covid-19 hanno evidenziato come la cosiddetta ‘infodemia’ di notizie false o fuorvianti sul virus abbiano rallentato gli sforzi fatti dai governi per ridurre il contagio, dal rifiuto delle mascherine alla violazione delle misure restrittive».