TRIBUNALE ORDINARIO di PRATO Sezione Unica civile
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Michele Sirgiovanni – Presidente dott. Giulia Simoni – Giudice
dott. Sara Fioroni – Giudice relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al n. r.g. 3348/2021, promossa da:
M.C., c.f. (…), rappresentata e difesa dall’avv. Stefania Mari (c.f. (…)), elettivamente domiciliata in Prato, via Traversa Fiorentina n. 10, presso lo studio del difensore;
RICORRENTE
nei confronti di
G.C., c.f. (…), residente in P., via C. n. 21; RESISTENTE NON COSTITUITO
con l’intervento del Pubblico Ministero
avente ad oggetto: interdizione
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso depositato in data 29.12.2021 M.C., figlia di G.C., ha adito l’intestato Tribunale chiedendo che sia dichiarata, in tesi, l’interdizione del proprio padre con ogni conseguenza di legge e, in ipotesi, l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno.
A fondamento del ricorso ha allegato: che G.C., dal mese di gennaio 2021, ha iniziato a manifestare seri disturbi di memoria e comprensione, risultando affetto da disturbo neuro-cognitivo maggiore FDT like con associati disturbi del comportamento in encefalopatia vascolare cronica e cardiopatia ischemica cronica, come documentato dal medico curante e dallo specialista; che tale condizione procura al sig. C. grave impedimento nel soddisfare le proprie necessità personali della vita quotidiana (lavarsi da solo, distinguere luoghi atti a determinate funzioni, incapacità di usare il telefono, di gestire i soldi e assumere le terapie mediche), oltre a risultare tutte le funzioni quotidiane e di relazione assolutamente deficitarie; che ciò comporta la non autosufficienza della persona e, quindi, la necessità di un aiuto e di una sorveglianza continua da parte di un accompagnatore.
Instaurato il contraddittorio con la persona interdicenda e con i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo grado, in data 17.02.2022 si è svolto l’esame del sig. C., all’esito del quale il giudice delegato per l’audizione dell’interdicendo ha rimesso gli atti al magistrato assegnatario per riferire al Collegio.
Il giudice relatore designato, quindi, ha riservato la decisione al Collegio, previa trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per le sue conclusioni.
1. Dalla documentazione in atti risulta che G.C. è affetto da disturbo neuro-cognitivo maggiore FDT like con associati disturbi del comportamento in encefalopatia vascolare cronica e cardiopatia ischemica cronica, con perdita progressiva di autonomia funzionale. Tale quadro patologico determina nel sig. C. un’incapacità di attendere e soddisfare in maniera del tutto autonoma le proprie necessità personali della vita quotidiana (come lavarsi da solo, vestirsi da solo, fare il bagno), oltre ad avere un impatto debilitante nella vita di relazione, non essendo il sig. C. in grado di utilizzare autonomamente il telefono, di gestire i soldi e di assumere correttamente la terapia medica giornaliera, necessitando dell’aiuto continuo di un accompagnatore e di sorveglianza costante (cfr. documenti n. 3 e 4)
2. L’esame della persona interdicenda ha confermato il quadro clinico sopra descritto: ed infatti, il sig. C. non ha seguito minimamente il colloquio e ha articolato male le frasi, seguendo un ragionamento del tutto scollegato con quanto gli è stato chiesto (cfr. verbale d’udienza del 17.02.2022).
3. Così delineate le condizioni di salute di G.C., che si trova in una situazione che lo rende incapace di svolgere le attività quotidiane in completa e totale autonomia e indipendenza, ritiene il Collegio che, nel caso di specie, non si ravvisa la necessità di applicare la misura residuale e più invasiva dell’interdizione (o quella dell’inabilitazione) al fine di garantire un’adeguata protezione della
persona, anche alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22332 del 26/10/2011; Sez. 1, Sentenza n. 18171 del 26/07/2013; Cass. 12 giugno 2006, n. 13584; Tribunale Bologna, 8 marzo 2005, in Giur. it., 2005, 2133; Tribunale Bologna, 11 luglio 2005, in Foro it., 2005, I, 3842; Tribunale Vercelli, Sez. I Civile, sentenza 31.10.2014; vd. anche Corte Cost., 9 dicembre 2005, n. 440).
4. Il legislatore, con l’introduzione del complesso di norme oggi racchiuse sotto il titolo XII del libro primo del codice civile, Capo I (“Delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia”), ha inteso perseguire la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente (art. 1, L. 9 gennaio 2004, n. 9). A tale scopo è stato introdotto il nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno (art. 404 c.c.: “La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio”) volto a fornire una protezione commisurata alle concrete esigenze di tutela della persona (cfr. gli artt. 405, 4 e 5 co., 407, 2 co., 408, 1o co., 410 c.c.) senza determinare in via automatica e generale una privazione o riduzione della capacità di agire (cfr. art. 409 c.c.: “Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno. Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”; v. anche l’art. 411, 4 co., c.c.). Contestualmente, è stato riformulato in termini più stringenti l’art. 414 c.c., non solo perché è venuto meno (nella rubrica e nel testo) il riferimento alle persone che “devono” essere interdette (cfr. anche l’art. 415 c.c. in ordine alle persone che “possono” essere inabilitate), ma soprattutto perché non potrà pronunciarsi l’interdizione quando ciò non sia necessario ad assicurare alla persona una adeguata protezione e dunque quando sia possibile ricorrere ad una diversa e meno invasiva misura di tutela, da individuarsi in linea generale nell’amministrazione di sostegno.
5. La Suprema Corte, in particolar modo, nella sentenza n. 13584/2006, ha affermato che “l’amministrazione di sostegno, introdotta nell’ordinamento dall’articolo 3 della L. n. 6 del 2004 ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali la interdizione e la inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli articoli 414 e 417 del c.c.. Rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazionedell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all’apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività
che deve essere compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie”. Si è escluso, quindi, che la linea di demarcazione tra le varie misure di protezione vada individuata sulla base di “un criterio “quantitativo”, correlato, cioè, al diverso grado di incapacità manifestato dal soggetto di cui si tratta, ritenendosi corrispondere ad una minore gravità della patologia invalidante la meno invasiva misura dell’amministrazione di sostegno, e, per converso, ad una maggiore gravità della infermità la interdizione. Soluzione, questa, a prima vista piana e ragionevole, ma che, a ben vedere, finisce con il mettere in ombra la specificità dell’istituto in esame, trascurando una serie di elementi di interpretazione offerti dalla lettera e dallo spirito della legge. Anzitutto, dall’esame testuale delle già richiamate disposizioni che rispettivamente fissano i presupposti dei due istituti emerge quello che costituisce uno dei punti cardine della legge, e cioè la estensione del regime di protezione degli incapaci a soggetti che sono impossibilitati a provvedere ai propri interessi anche per cause diverse dalla infermità di mente, quali la infermità fisica e la menomazione fisica e psichica (soggetti tra i quali possono menzionarsi, a titolo esemplificativo, i portatori di handicap), i quali non sono in nessun caso assoggettabili ad interdizione. Ma, per effetto della definizione contenuta nell’articolo 404 c.c., beneficiari dell’amministrazione di sostegno sono altresì i soggetti affetti da infermità psichica che li pone in una situazione di “impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”. Ora, a prescindere dall’uso del termine “impossibilità” – che, pur diversificandosi sul piano lessicale dal concetto di incapacità cui è fatto riferimento nella disposizione dell’articolo 414 c.c. in tema di interdizione, non sembra costituire un reale segnale di graduazione della disabilità – la prevista possibilità di ricorso all’amministrazione di sostegno anche nei casi di infermità (o menomazione, fisica o psichica), determinante una impossibilità anche parziale o temporanea di attendere efficacemente ai propri interessi sicuramente non ne esclude l’ammissibilità ove questa sia invece totale o permanente. In questo secondo caso, non appare configurabile una sostanziale differenza tra i presupposti dei due strumenti di tutela sulla base della diversa gravità della impossibilità, o incapacità, di provvedere ai propri interessi. Del resto, la ricordata disposizione dell’articolo 427, comma 1, c.c., con il prevedere la possibilità di stabilire che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento, o con la semplice assistenza, del tutore, ha ritenuto ammissibile l’adozione di un provvedimento di interdizione in presenza di un grado di incapacità non assoluta”. Occorre piuttosto, secondo la giurisprudenza di legittimità, “valorizzare l’inciso contenuto nell’articolo 414 c.c., che collega la interdizione alla necessità di assicurare l’adeguata protezione del soggetto maggiore di età che si trovi in condizioni di abituale infermità di mente che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, ciò che equivale ad affermare che l’ordito normativo esclude che si faccia luogo alla interdizione tutte le volte in cui la protezione del soggetto abitualmente infermo di mente, e perciò incapace di provvedere ai propri interessi, sia garantita dallo strumento della amministrazione di sostegno. Sicché, parte della dottrina, muovendo dal presupposto del carattere del tutto residuale della misura della interdizione, ormaidestinata a collocarsi quale extrema ratio cui ricorrere in casi limite, è giunta a mettere in discussione la scelta legislativa di mantenere comunque in vigore l’istituto de quo, additando come esempio cui ispirarsi la esperienza di alcuni Paesi europei, che lo hanno definitivamente ripudiato, siccome una sorta di “marchio”, in favore di strumenti più moderni e rispettosi della dignità dell’individuo. Deve, allora, concludersi che il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che si distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello
funzionale: ciò induce a non escludere che, in linea generale, in presenza di patologie particolarmente gravi, possa farsi ricorso sia all’uno che all’altro strumento di tutela, e che soltanto la specificità delle singole fattispecie, e delle esigenze da soddisfare di volta in volta, possano determinare la scelta tra i diversi istituti, con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura”. La Suprema Corte, inoltre, esplicita ulteriormente che la scelta tra le varie misure di protezione “non può non essere influenzata dal tipo di attività che deve essere compiuta in nome del beneficiario della protezione. Ad un’attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto – vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione), e per l’attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati dell’attività di sostegno nei suoi confronti -, e, in definitiva, ad una ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità del soggetto, corrisponderà l’amministrazione di sostegno, che si fa preferire non solo sul piano pratico, in considerazione dei costi meno elevati e delle procedure più snelle, ma altresì su quello etico-sociale, per il maggior rispetto della dignità dell’individuo che, come si è osservato, essa sottende, in contrapposizione alle più invasive misure dell’inabilitazione e della interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, concernente, nel primo caso, i soli atti di straordinaria amministrazione, ed estesa, per l’interdizione, anche a quelli di amministrazione ordinaria. Detto status non è, invece, riconoscibile in capo al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, al quale viene comunque assicurata la possibilità di compiere, ove ne sia in grado, quelle attività nelle quali si estrinseca la c.d. contrattualità mimina, attraverso il riconoscimento allo stesso, a norma dell’articolo 409, comma 2, della L. n. 6, della possibilità di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana. Per converso, ove si tratti – sempre, ovviamente, che il soggetto si trovi in “condizioni di abituale infermità” che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi – di gestire un’attività di una certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere contatti con l’esterno, ovvero in ogni altra ipotesi in cui il giudice di merito, con una valutazione che compete a lui solo e che è incensurabile in sede di legittimità, se logicamente e congruamente motivata, ritenga lo strumento di tutela apprestato dalla interdizione l’unico idoneo ad assicurare quella adeguata protezione degli interessi della persona che la legge richiede, è quest’ultimo, e non già l’amministrazione di sostegno, l’istituto che deve trovare applicazione”. A queste conclusioni non è nemmeno di ostacolo “il rilievo che l’amministrazione di sostegno postula un continuo confronto tra il beneficiario, l’amministratore e il giudice, attraverso la già esaminata previsione, ad opera dell’articolo 410 c.c., della informazione al primo (o al giudice in caso di dissenso) da parte del secondo degli atti da compiere, che sembra presupporre un certo grado diconsapevolezza da parte del beneficiario. L’argomento non ha carattere decisivo, dovendosi ritenere detta previsione riferibile alle sole ipotesi in cui un dialogo sia concretamente possibile per le condizioni psico-fisiche del beneficiato, e non operativa in caso contrario. Del resto, la non imprescindibilità del consenso del beneficiario risulta desumibile anche dalla considerazione che, in caso di dissenso con quest’ultimo, l’amministratore informa il giudice tutelare per l’adozione dei provvedimenti ritenuti necessari. L’evidenziato criterio del tipo di attività da compiersi in nome del beneficiario, quale
elemento di valutazione ai fini della scelta dello strumento meglio rispondente alle esigenze di tutela dello stesso, non esclude, peraltro, la necessità della considerazione, in via concorrente, di quelli concernenti la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento”.
6. Le attuali esigenze di cura e di assistenza personale, materiale e sanitaria del sig. C., così come quelle di carattere patrimoniale, ben possono essere soddisfatte con l’intervento di un amministratore di sostegno, considerando anche che non sono ipotizzabili da parte del resistente condotte a sé pregiudizievoli, attesa la sua attuale condizione di vita e di salute, già limitativa della capacità di espressione, comprensione e della vita di relazione e la costante supervisione da parte dei familiari. La misura di amministrazione di sostegno, quindi, si mostra essere maggiormente protettiva del soggetto bisognoso.
7. In conclusione, alla luce della nuova disciplina delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia e del quadro giurisprudenziale richiamato, l’adito Tribunale ritiene che tramite l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno si possa assicurare e garantire un’adeguata tutela della persona di G.C. (cfr. l’art. 418, 3 co. c.c.).
8. La domanda di interdizione, quindi, deve essere respinta e deve essere disposta la trasmissione di copia degli atti al giudice tutelare.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione collegiale, sulla domanda proposta da M.C., ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando, così provvede:
1. rigetta la domanda di interdizione proposta da M.C. nei confronti di G.C.;
2. dispone la trasmissione di copia degli atti del procedimento, compresa la sentenza, al giudice tutelare ai sensi dell’art. 418, comma 3, c.c.
Conclusione
Così deciso a Prato nella Camera di Consiglio del 16 marzo 2022 tenuta mediante l’applicativo Microsoft Teams su relazione della dott. Sara Fioroni.
Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2022.