Non è sufficiente che gli ex coabitino sotto lo stesso tetto per mettere in discussione la sentenza di separazione.
Non sempre nel giudizio di separazione si pone il problema dell’assegnazione della casa familiare fra i coniugi. Se, infatti, non ci sono figli (minori o maggiorenni non autosufficienti) cui garantire la conservazione dell’habitat familiare e, quindi, la necessità di assegnare la casa al genitore con cui vivranno, in genere, alla prima udienza, il giudice si limita ad autorizzare i coniugi a vivere separatamente.
Non è detto, tuttavia, che la cosa poi avvenga in concreto. Può ben darsi, infatti, che gli ex – anche per ragioni di risparmio economico – scelgano di continuare a coabitare senza che, per questo motivo, la causa di separazione cessi il suo corso.
In altre parole, se la coabitazione tra i coniugi prosegue anche dopo la separazione, questo non implica che tra gli stessi sia sopraggiunta una riconciliazione. Ricordiamo, infatti, che la riconciliazione di fatto tra gli “ex” – ossia il tornare a vivere sotto lo stesso tetto, con ripresa dei rapporti – è circostanza che impedisce il successivo divorzio. Anche il termine di tre anni per poter divorziare subisce un’interruzione.
È quanto ricorda la Cassazione in una recente pronuncia [1]. La Corte chiarisce che, ai fini della riconciliazione, non è sufficiente la semplice coabitazione, ma occorre che venga ripristinata, dalla coppia, la comunione di vita spirituale e materiale su cui si fondava il rapporto coniugale.
Ma come provare che tale comunione di vita non è stata di fatto ripristinata?
Sicuramente può essere di aiuto fornire al giudice prove o indizi inequivocabili (si pensi, ad esempio, a testimonianze relative al fatto che i coniugi, o uno solo di essi, abbiano intrapreso una nuova relazione sentimentale). Ma, precisa la Corte, va data rilevanza anche a comportamenti in netto contrasto con l’idea del ripristino di una comunione di intenti e di vita della coppia: basti pensare alla domanda di addebito, proposta da uno o entrambi i coniugi.
Non basta, quindi, che uno dei due non abbia vissuto la condizione di disaffezione al matrimonio e di intollerabilità alla sua prosecuzione; è sufficiente invece che l’altro insista nella domanda di addebito, che rappresenta una condotta del tutto in contrasto con l’ipotesi di una riconciliazione.
La sola circostanza che gli ex coabitino non basta a provare la loro riconciliazione e, di conseguenza, a far cessare gli effetti della sentenza di separazione.
Occorre, invece, dimostrare che si è ricostituita tra i coniugi una comunione di vita spirituale e materiale e, di certo, la richiesta di addebito reiterata nel corso del giudizio è del tutto in contrasto con l’idea di una riconciliazione.
note
[1] Cass. sent. n. 19535/14.