Cass. pen., sez. V, ud. 11 maggio 2022 (dep. 15 giugno 2022), n. 23366
Presidente Palla – Relatore Belmonte
Ritenuto in fatto
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino ha confermato la decisione del G.U.P. del Tribunale di quella stessa città, che aveva dichiarato M.R. colpevole di atti persecutori ai danni di A.S., con cui aveva avuto una relazione sentimentale, condannandolo alla pena di giustizia, con le statuizioni in favore della parte civile.
2.Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con il ministero del difensore di fiducia, che svolge un unico motivo, con il quale denuncia vizi della motivazione nella affermazione di responsabilità. Sostiene che la sentenza impugnata non ha adeguatamente scrutinato l’evento del reato, omettendo di replicare alle doglianze dell’appellante, e fornendo una motivazione contraddittoria, laddove ha individuato nella persona offesa la vittima di atti persecutori, pur dando atto della reciproca conflittualità e gelosia.
Considerato in diritto
1.II ricorso è inammissibile, vuoi perché finalizzato a una diversa, quanto inammissibile, ricostruzione in fatto, sia perché reiterativo di motivi già proposti dinanzi al giudice dell’appello, e da questi congruamente vagliati e puntualmente disattesi. Motivi del genere più che specifici, come richiede l’art. 581 c.p.p., risultano soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; conf. Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019 Rv. 277710). La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di a-specificità, conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1 lett. c) all’inammissibilità (ex plurimis, Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Rv. 255568; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019 Rv. 277710).
2. Omette il ricorrente di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata che ha ben spiegato le ragioni per cui la versione dell’imputato – tendente a sminuire i fatti e a ricondurli nell’ambito di un rapporto sentimentale fortemente conflittuale – sia smentita dagli altri risultati istruttori. La Corte di appello ha individuato la causa scatenante della condotta dell’imputato nella asfissiante gelosia dell’uomo, e nel desiderio di possesso manifestatosi attraverso condotte ossessive e minacce anche di morte fino alla lite con il nuovo compagno della donna, a seguito della quale M. venne arrestato.
3.Parimenti puntuale lo scrutinio dell’evento del reato, in relazione al quale la sentenza impugnata ha posto in luce lo stato di ansia, la preoccupazione, la condizione di prostrazione nel quale era caduta la persona offesa a seguito della condotta petulante, molesta, asfissiante dell’imputato, anche connotata da angherie, come quando la donna si vide costretta a chiudersi nell’auto per sfuggire alle minacce del ricorrente, armato di un coltello. D’altro canto, la Corte di appello ha anche dato atto del cambiamento di abitudini della persona offesa, in tal senso venendo in rilievo il cambio del numero di utenza cellulare, il trasferimento presso amici e parenti, anche in (omissis), da (omissis), e finanche la perdita del lavoro, quale conseguenza della condotta dell’imputato che impediva alla persona offesa di andare a lavorare. Non è superfluo ricordare che, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, trattandosi di delitto che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ognuno di essi è idonea ad integrarlo, e che la prova dell’evento non può che essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, atteso che non può scandagliarsi diversamente “il foro interno” della vittima. Assumono allora importanza, ai fini della prova, sia le dichiarazioni della stessa vittima del reato, sia i “comportamenti conseguenti e successivi alla condotta posti in essere dall’agente e anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata” (Sez. 5, n. 14391 del 28/02/2012, Rv. 252314).
4.Con tale solida struttura argomentativa il ricorso non si confronta realmente, limitandosi a sostenere le proprie ragioni difensive in modo incoerente con i risultati dibattimentali, secondo uno schema deduttivo inammissibile, per le ragioni anzidette, e per la genericità estrinseca derivata dalla aspecificità (sul tema, cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 11951 del 29/1/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sannmarco, Rv. 255568; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; vedi, altresì, più di recente, Sez. 2, n. 42046 del 17/7/2019, Boutartour). A fronte di una motivazione conforme ai criteri fissati dall’art. 192, c.p.p., che impone una valutazione unitaria e non atomistica della prova, principio cardine del processo penale (cfr. Cass., sez. VI, 28.9.1992, n. 10642, rv. 192157), le doglianze difensive sul punto (peraltro di natura prevalentemente fattuale), non colgono nel segno, laddove fanno riferimento alla gelosia della persona offesa e a un suo atteggiamento ambivalente, e non si rivelano idonee a scardinare la ratio decidendi della sentenza, che ha tratto la sussistenza del delitto previsto dall’art. 612 bis c.p. da una compiuta ricostruzione della condotta dell’imputato, prendendo in considerazione la condizione della persona offesa e il contesto di riferimento.
5.Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma che si stima equo liquidare in Euro 3000,00.