Cassazione contro studi di settore: accertamento nullo se non indica gli standard


Nullo l’atto impositivo che non indica né motiva sugli standard utilizzati: l’Agenzia delle Entrate deve rispettare il principio di buona amministrazione.
Dura presa di posizione della Cassazione contro gli studi di settore, lo strumento utilizzato dal Fisco per rilevare i parametri fondamentali di reddito dei professionisti, autonomi e aziende, mediante la raccolta dei dati caratterizzanti l’attività svolta e il contesto economico.
L’accertamento (detto “induttivo”) e il conseguente atto impositivo inviato dall’Agenzia delle Entrate – in caso di scostamento tra il reddito dichiarato dall’autonomo/libero professionista e quello degli studi di settore – è nullo se non indica né motiva sugli standard utilizzati.
L’Agenzia delle Entrate è tenuta a rispettare – sostiene nella sentenza la Corte – il principio di buona amministrazione. E pertanto l’atto deve contenere l’indicazione dei parametri utilizzati nonché i motivi della richiesta. Difatti, il semplice scostamento dagli standard è insufficiente a sorreggere una pretesa tributaria da parte dell’amministrazione nei confronti del contribuente.
L’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore – continua la Cassazione – costituisce un sistema di presunzioni semplici: la sanzione, quindi, non può scattare automaticamente con il solo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – i quali sono semplici strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo dopo il necessario incontro con contribuente (cosiddetto contraddittorio), da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento.
note
[1] Cass. sent. n. 22003 del 17.10.2014.
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