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Cos’è la contrattazione collettiva?

10 Novembre 2022 | Autore:
Cos’è la contrattazione collettiva?

Chi stipula il Ccnl applicato nelle aziende? Quali sono i contenuti? Fino a che punto datore e lavoratore rimangono vincolati?

Un rapporto di lavoro non si regge soltanto sul contratto firmato tra dipendente e datore: ci sono a monte degli accordi siglati tra i rappresentanti delle aziende di un determinato settore e i sindacati di categoria in cui si stabiliscono delle regole che valgono per tutti e che riguardano prevalentemente le condizioni economiche e normative di base. Si tratta dei cosiddetti Ccnl, cioè contratti collettivi nazionali di lavoro. Ma, di preciso, cos’è la contrattazione collettiva? Quali vincoli comporta per datori e dipendenti? E può essere modificata con accordi individuali tra le parti?

In linea generale, lo scopo della contrattazione collettiva è duplice. Da un lato, fissare, come detto, le condizioni economico-normative del rapporto di lavoro subordinato, diventando in questo modo il punto di riferimento per la regolamentazione del contratto individuale. Dall’altro, serve a regolare i rapporti tra i soggetti protagonisti della contrattazione stessa. Può anche succedere, però, che debba essere utilizzata per compiti diversi, come ad esempio la risoluzione di singoli conflitti. In questo caso, la trattativa può essere condotta da organi di rappresentanza diversi dai sindacati: si parla di contrattazione informale.

I due livelli di contrattazione collettiva

Esistono due livelli gerarchici di contrattazione collettiva, liberamente individuati dalle parti stipulanti e corrispondenti, in genere, ai relativi livelli dell’organizzazione sindacale.

Al primo livello appartengono gli accordi interconfederali e i Ccnl. I primi, noti anche come AI, sono stipulati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, con la frequente partecipazione dello Stato in funzione di mediatore e garante. Di norma, vengono fissate delle regole comuni per i settori produttivi di attività di ciascun datore di lavoro (Commercio, Industria, ecc.) e disciplinano in modo uniforme alcuni standard minimi di trattamento dei lavoratori.

Il Ccnl, cioè il contratto collettivo nazionale di lavoro, invece, è siglato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro come espressione di autonomia privata. Si tratta di un accordo atipico di natura privatistica: le norme che lo disciplinano sono esclusivamente quelle del Codice civile sui contratti in generale. Il Ccnl disciplina i trattamenti economici e normativi minimi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati.

Del secondo livello fanno parte, invece, gli accordi:

  • territoriali, stipulati da organizzazioni distrettuali, provinciali e regionali dei lavoratori e dei datori di lavoro e destinati ai dipendenti di una determinata categoria delle aziende che operano nel territorio di riferimento;
  • aziendali, stipulati dal singolo datore di lavoro, da un’eventuale associazione del datore di lavoro e dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e destinati ai dipendenti della singola azienda;
  • di prossimità, anch’essi stipulati dal singolo datore di lavoro, da un’eventuale associazione del datore di lavoro e dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e destinati ai dipendenti dell’azienda o delle aziende dell’ambito territoriale di riferimento.

C’è da dire, comunque, che la contrattazione in generale è regolata dalla consuetudine e da prassi consolidate. Tuttavia, le linee guida per i Ccnl e per i contratti di secondo livello sono contenute negli accordi interconfederali stipulati da Governo e parti sociali, mentre la contrattazione di prossimità è stata introdotta dalla legge.

Quali tipi di contratti collettivi?

Per quanto riguarda i contenuti, la contrattazione collettiva ha due tipologie:

  • la contrattazione delegata dalla legge a regolare determinati istituti, che è solo quella sottoscritta dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, oppure a livello aziendale dalle rappresentanze sindacali (le Rsa) che a queste ultime fanno riferimento o, ancora, dalla rappresentanza sindacale unitaria (Rsu);
  • la contrattazione libera, che può essere esercitata su tutte le altre materie, anche da associazioni prive del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi sul piano nazionale.

La contrattazione delegata, ad esempio, tratta materie come:

  • orario di lavoro;
  • durata delle ferie;
  • lavoro straordinario e supplementare;
  • ipotesi di assegnazione di mansioni inferiori;
  • maggiorazioni per lavoro straordinario supplementare, notturno, domenicale e festivo;
  • integrazione a carico del datore di lavoro in caso di malattia, maternità e infortunio:
  • premi di risultato detassabili e convertibili in welfare;
  • lavoro intermittente;
  • durata massima cumulativa dei contratti a termine;
  • intervalli tra contratti a termine successivi;
  • numero massimo di rapporti di lavoro a termine
  • regole per il part-time;
  • numero massimo di lavoratori somministrati;
  • disciplina dell’apprendistato;
  • retribuzione imponibile ai fini contributivi.

La contrattazione libera, invece, si occupa di materie non espressamente delegate dalla legge, come ad esempio:

  • trattamenti retributivi;
  • organismi di conciliazione delle controversie;
  • tutele economiche e normative in caso di assenza dal lavoro.

È importante sottolineare che l’accordo raggiunto tramite la contrattazione collettiva ha forza di legge tra le parti e produce i suoi effetti solo nei confronti delle parti direttamente stipulanti, nonché dei soggetti individuali che appartengono alle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro (o di un singolo datore di lavoro) che lo hanno stipulato.

Il contratto, inoltre, si applica anche nei confronti di coloro che, pur non iscritti alle associazioni sindacali stipulanti, implicitamente o esplicitamente hanno aderito allo stesso, ad esempio accettando quanto riportato in merito sulla lettera di assunzione.



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