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Gli obblighi del datore di lavoro verso il dipendente

10 Novembre 2022 | Autore:
Gli obblighi del datore di lavoro verso il dipendente

Parità di trattamento, conservazione del posto in caso di sospensione, tutela della salute, retribuzione: i principali doveri nei confronti dei lavoratori.

Un contratto di lavoro comporta per entrambe le parti il rispetto di tutti i doveri contenuti sia nell’accordo siglato direttamente tra datore e dipendente sia nel contratto nazionale di categoria, oltre, ovviamente, a quelli dettati dalla legge. In questo contesto, quali sono gli obblighi del datore di lavoro verso il dipendente?

Il vincolo principale che un datore di lavoro deve rispettare è quello di garantire la parità di trattamento tra i lavoratori o, se vogliamo dirlo diversamente, evitare di fare delle discriminazioni tra i propri dipendenti.

Poi, c’è tutta una serie di obblighi di tipo legale che limitano il potere direttivo, di controllo e disciplinare riconosciuto ad ogni imprenditore. Vediamo di seguito i più importanti.

L’obbligo di parità di trattamento

Tra gli obblighi del datore di lavoro spicca, come detto, quello di rispettare la parità di trattamento tra i lavoratori. In altre parole, non è possibile attuare discriminazioni dirette o indirette per ragioni legate a razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, handicap, età e orientamento sessuale. Eventuali atti o decisioni del genere sono da ritenersi nulli. Significa che se il datore impartisce un ordine che comporta una discriminazione, il dipendente non è tenuto ad eseguirlo.

Come appena segnalato, esistono due tipi di comportamenti discriminatori:

  • diretto, quando per uno dei motivi indicati (razza, sesso, religione, ecc.) una persona viene trattata in modo meno favorevole di un’altra che si trova in una situazione analoga;
  • indiretto, quando una disposizione, una prassi, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere in una situazione di svantaggio chi professa una determinata religione o ideologia, i portatori di handicap, le persone di una particolare età o orientamento sessuale.

È importante segnalare che il principio di parità di trattamento riguarda tutti i lavoratori dal momento di accesso all’occupazione, quindi dal momento del colloquio o della trattativa per l’assunzione e poi per l’intera fase di svolgimento del rapporto.

C’è, però, un’eccezione: nel rispetto dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, sono giustificate le differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, quando, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene svolta, si tratta di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività stessa.

Il lavoratore vittima di una discriminazione può ricorrere al tribunale del luogo in cui si trova l’azienda. Sarà tenuto a fornire elementi di fatto dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti contrari alla parità di trattamento. Il datore di lavoro, dal canto suo, dovrà provare l’insussistenza delle accuse.

Con l’ordinanza che definisce il giudizio, il giudice può condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno (anche non patrimoniale) e ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole.

L’obbligo di tutela dell’integrità fisica e morale

Tra gli obblighi del datore di lavoro verso il dipendente c’è anche quello di tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore, pena il risarcimento dell’eventuale danno, anche non patrimoniale.

In pratica, la normativa vieta al datore di mettere in atto dei comportamenti riconducibili al mobbing, vale a dire a tutte quelle condotte vessatorie, reiterate e durature, individuali o collettive, rivolte nei confronti di un lavoratore ad opera di:

  • superiori gerarchici (mobbing verticale);
  • colleghi (mobbing orizzontale);
  • sottoposti (mobbing ascendente).

Questi comportamenti, secondo un’ampia giurisprudenza, si caratterizzano per:

  • la sistematica protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente legittimi;
  • la volontà diretta alla persecuzione o all’emarginazione del dipendente oppure, anche in assenza di un esplicito fine persecutorio, diretta a vessare e mortificare il lavoratore;
  • la conseguente lesione arrecata al lavoratore, attuata sul piano professionale, sessuale, morale, psicologico o fisico;
  • il nesso causale tra condotta del datore di lavoro (o del superiore gerarchico) e pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore.

Il mobbing non può realizzarsi attraverso una condotta istantanea: un periodo di sei mesi è stato ritenuto sufficiente per integrare l’idoneità lesiva della condotta nel tempo (Cass. 17 settembre 2009 n. 20046; Cass. 9 settembre 2008 n. 22858).

Va risarcito anche il danno da straining, una forma attenuata di mobbing in cui viene lesa l’integrità psico-fisica del lavoratore pur mancando il carattere della continuità delle azioni vessatorie. Sono, in sostanza, delle azioni ostili, anche limitate nel tempo, in grado di provocare una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, idonea a pregiudicare il diritto alla salute.

L’obbligo di conservazione del posto in caso di sospensione del rapporto

L’esecuzione del contratto di lavoro può essere sospesa a causa di fatti che riguardano il lavoratore (si pensi alla malattia, alla maternità o ad uno sciopero), oppure il datore di lavoro (il caso più comune è quello della cassa integrazione guadagni).

La sospensione del contratto ha degli effetti soprattutto sulla retribuzione ma anche:

  • sull’obbligo di fedeltà e altri vincoli accessori;
  • sull’anzianità di servizio;
  • sulla maturazione di ferie e permessi;
  • sul Tfr.

Tra gli obblighi del datore di lavoro c’è quello di conservare il posto di lavoro del dipendente per il periodo e con le modalità previsti nelle singole ipotesi di sospensione.

L’obbligo di far godere le ferie ai dipendenti

Il dipendente ha il diritto irrinunciabile di fruire di un periodo annuale di ferie retribuite per recuperare le energie psicofisiche spese nella prestazione lavorativa e partecipare alla vita familiare e sociale. Pertanto, il datore è obbligato a garantire tale diritto.

Le ferie non godute possono essere posticipate entro i termini stabiliti dalla legge. Solo in casi eccezionali possono essere monetizzate con un’indennità sostitutiva.

La fruizione di un adeguato periodo di ferie risponde, comunque, a esigenze di entrambe le parti. Da un lato, il lavoratore ha bisogno di periodi di riposo per recuperare le forze e per partecipare alla vita extra lavorativa. Dall’altro, invece, il datore di lavoro è interessato alla ripresa e al rafforzamento effettivi delle energie del lavoratore, in modo che il suo successivo apporto all’impresa sia più proficuo.

L’obbligo di pagare lo stipendio

Ultimo ma non certo per ordine di importanza, anzi, è l’obbligo del datore di lavoro di pagare lo stipendio. La retribuzione rappresenta il corrispettivo dell’effettiva prestazione fornita dal lavoratore subordinato a favore del datore di lavoro secondo quanto stabilito nel contratto di lavoro. Ovvio che se manca la prestazione (tranne nei casi di ferie, malattia, congedo, ecc.) manca anche la retribuzione.

Di norma, la retribuzione è determinata liberamente dalle parti, nel rispetto però di un limite minimo, che la giurisprudenza ha individuato nei valori di paga base fissati dai contratti collettivi.

L’Accordo quadro per la riforma degli assetti contrattuali, siglato il 22 gennaio 2009, attribuisce alla contrattazione nazionale la funzione di garantire un trattamento retributivo comune per i dipendenti di ogni settore su tutto il territorio nazionale.

Pertanto, il contratto di lavoro subordinato si presume sempre oneroso. Tuttavia, è possibile provare che la prestazione lavorativa è stata effettuata a titolo gratuito, per volontariato o perché ci sono dei vantaggi indiretti per il lavoratore (è il caso del lavoro familiare).



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